Viviamo in una società dove il valore dell’esperienza sta aumentando esponenzialmente, in tutti i campi. Nella quotidianità tutti i ruoli che assolviamo (padre/madre, fidanzato/a o marito/moglie, impiegato/imprenditore, compagno/a di squadra etc) vengono accompagnati dalla necessità di essere vissuti in un contesto speciale, altamente custom e - se possibile - secondo un carattere di “condivisiblità”: tutto ciò che faccio deve poter diventare oggetto di uno share, premiando la nostra “vita parallela” sui social.
Esagerato? Pensateci. Tutte le piattaforme hanno tentato di fornire agli utenti strumenti che potessero immortale ogni attimo (le “Stories” in ogni formato e salsa ne sono un esempio) facendo sì che l’esperienza potesse elevare il proprio valore, forti di un apprezzamento portato da piogge di like, commenti ed emoticons. Il passaggio fra esperienza reale e digitale diventa così booster della propria percezione: l’approvazione portata dagli altri ci gratifica, ergo impreziosisce il nostro vissuto.
Non a caso il 14esimo rapporto Censis sulla comunicazione ha fotografato nel nostro Paese una situazione mutata sostanzialmente rispetto anche solo a dieci anni fa: sono i social media, ora, alla base dell’immaginario collettivo.
L’innesco di un meccanismo di condivisione da parte degli utenti dipende quindi dal tipo di esperienza che vivono. Laddove il percepito è di valore, ecco che si attiva il processo di sharing verso la propria rete, nella speranza che l’effetto raccolto sia essenzialmente positivo: ed è qui che le marche combattono la propria quotidiana battaglia per guadagnarsi un posto al sole. Maggiore è infatti il numero di ambassador che si raccolgono grazie a questo meccanismo, migliore sarà il posizionamento su quei canali che nel gergo del content marketing definiamo Earned Media, i media guadagnati.
Calare il jolly dell'esperienza di marca: unire il contesto del consumatore allo storyworld di marca
Nel testo “Customer Experience Design. Progettare esperienze di marca memorabili sui media digitali” viene spiegato con chiarezza ed efficacia l’aspetto di un’esperienza di marca che sia altamente memorabile. Addirittura, si propone un framework efficace per la sua progettazione che ci sentiamo di consigliare a tutti.
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Al centro di tutto rimane comunque l’aspetto del valore percepito dall’utente, che deve evidentemente essere messo in una condizione agevolata per interagire con il brand e soddisfare i suoi bisogni.
È a questo livello che emerge la necessità di superare il confine fra ordinario e straordinario, andando a costituire un’esperienza che possa diventare veramente memorabile: ed essendo l’esperienza la base per la nascita e lo sviluppo di qualsiasi narrazione, ecco che capiamo quanto sia basilare per ogni marca costituire un flusso fatto di touchpoint e di meccaniche che possano costituire non un semplice passaggio di stato basato sulla soddisfazione di un bisogno (la leva su cui si basano essenzialmente tutti gli acquisti che facciamo) ma un’evoluzione a 360°, che coincida con quella che possiamo definire narrazione di marca.
Entro nella dimensione di un brand per elevarmi, cambiare, trasformarmi: attraverso l’uso dei suoi prodotti e un viaggio nel suo storyworld, vivo una storia che diventa la mia.
L’impiego degli HyperContent può in questo senso diventare una leva decisiva: perché?
I contenuti che trovano senso anche nella relazione che si instaura con lo spazio e il tempo circostante, cioè con il contesto in cui l’utente è calato, possono diventare l’occasione per rendere tangibile i pillar su cui l’immaginario di marca viene costituito.
Il match fra contesto spazio-temporale dell’utente e input del brand possono infatti costituire un’esperienza che oltre a risultare altamente personale, potrebbe costituire un importante ponte per condurre nello storyworld di marca, proponendo così call to action altamente personalizzate che portino l’utente/consumatore a diventare ambassador di marca.
Come spiegato nel post Fra social media e retail: nuovi equilibri fra online e offline, tutto questo è già possibile oggi, grazie a nuove feature sulle piattaforme digitali attualmente in uso. Il legame fra rete online e retail ad esempio è più vivo che mai, con l’anno prossimo che potrebbe rivelarsi l’anno uno della nuova era dell’augmented reality “di massa”, grazie a device mobile sempre più performanti e wearable device che si diffonderanno in maniera più capillare.
Ogni azienda quindi dovrebbe incominciare a interrogarsi, nel momento in cui si stilano i budget e si studiano le strategie (di contenuto, e non solo), su come la propria customer experience è progettata, e in particolare come questa incrocia l’opportunità di costruire hypercontent, cioè come si può sfruttare il contesto dell’utente a proprio a vantaggio.
Quali sono i plus di questa presa di coscienza è presto detto:
- l’opportunità di guadagnare advocate altamente qualificati, perché sospinti da un alto valore percepito;
- la memorabilità dell’esperienza, che porterebbe il brand a guadagnarsi un vantaggio non indifferente;
- last but not the least, la capacità di ogni hypercontent di diventare collettore di dati, in grado di produrre molte info per ogni utente coinvolto e profilarlo così con altissima precisione.
Cosa serve per entrare nel mondo dell’HyperContent Marketing?
Lo sveliamo nella prossima puntata ;-)