Donne e digitale? Un sogno! Flessibilità, dinamicità, diplomatismo: sembra proprio che questo connubio sia perfetto, capace di garantire progetti di ampio respiro e di forte impatto per aziende e società.
E la recente Digiwomen 2017, la lista con cui ogni anno sono indicate 15 eccellenze tra le donne italiane a cui guardare per prendere ispirazione, cita persone molto diverse per lavoro e percorso. Ricercatrici, imprenditrici, giornaliste, manager, politiche. Persone che hanno fatto del digitale la propria passione, e che attraverso il digitale stanno cercando di cambiare le cose all'interno dei propri perimetri di competenza.
L'occasione della citazione in Digiwomen 2017 è stata ottima per fare una chiacchierata con Michela Guerra, Regional Head Digital Marketing, Content & Communication in SAS.
Ne è nata una conversazione molto interessante, in primis per me. Basta, non mi dilungo ulteriormente: sarai tu a dirmi cosa ne pensi. Intanto, buona lettura!
Buongiorno Michela, benvenuta su Ninja Marketing. Essere citata come una delle donne più influenti del digitale in Italia è al contempo un onore e un "onere". Parlando di onori, cosa pensi che abbia influito nella decisione di includerti in questa classifica di prestigio? Parlando di "oneri", che cosa vorresti cambiare dalla tua prospettiva personale e professionale, e come ti impegnerai a fare in modo che tale cambiamento avvenga?
Ciao Alberto e buongiorno a tutti i lettori e le lettrici!
Parto dall'onore: assolutamente sì. Essere nella lista mi ha sorpresa, non lo sapevo. È un primo dato molto interessante: chi fa il mio mestiere sa che spesso per arrivare a un traguardo c’è dietro un programma, un percorso. Noi non lo avevamo. L’onore anche perché la lista di donne è bellissima: donne di tutte le età, che hanno fatto qualche cosa che ha lasciato il segno. Non sono una persona che ama i generi. Avere 80, 18 o 65 anni poco importa: se fai una bella cosa, se riesci a comunicare un messaggio positivo, bello, hai già raggiunto il vero risultato. Il risultato non è essere un Millennial, o una donna. Appena letta la lista, avevo scritto in un post: “questo per me è il migliore 8 marzo”. Non amo l’8 marzo. Amo pensare che tutti i giorni ci sia qualcuno che fa qualcosa di speciale.
L’onore è anche di fare parte di un’azienda come SAS, di avere un team – non solo di marketing e comunicazione ma allargato – che davvero mi fa essere in una posizione privilegiata. È una pratica di B2P: sono riuscita a coinvolgere molte persone creando momenti diversi e strutturati. Il messaggio che vorrei dare è quello della co-creazione: oggi più che ieri, mi arricchisco tutti i giorni. L’onore è quello di potere lavorare in un contesto dove a 40 anni sto ancora imparando e dove mi sento costantemente stimolata, oltre che stimolante. Una possibilità e opportunità non banale. Nel mio team, ad esempio, ho costantemente ragazzi in stage. Questa per me è un’opportunità pazzesca perché hanno sempre tanta voglia di imparare e tanto da insegnare.
E qua arrivo all’onere: il senso di responsabilità. Se c’è una caratteristica che noi donne abbiamo innata è il prendersi carico di tutto. Cercherò di vivere con leggerezza consapevole questo onere.
E poi c’è l’impegno costante nei confronti del cliente: voglio potere arrivare a quella persona chiedendole come posso aiutarla con un messaggio più puntuale, vero, in linea con il suo bisogno specifico. Ma senza perdere il divertimento, forse una delle cose che mi ha permesso di essere inclusa nella lista.
In cosa pensi che le donne negli ambienti digitali abbiano "una marcia in più"?
Forse le donne sono maggiormente capaci di co-creare perché abbiamo meno la sindrome di primeggiare: un po’ quello che facciamo in famiglia. La cultura, l’antropologia insegnano che le donne hanno una grande capacità relazionale. Abbiamo capito che da sola non vai da nessuna parte.
Non che la competizione femminile non ci sia, naturalmente.
Se dovessi riassumere per parole chiave, dunque, direi: capacità di co-creare, relazionale, di “tenere botta” e auto-motivazione.
Si parla sempre più spesso di future of work: in che modo un'organizzazione può fare la differenza per fare in modo che i propri dipendenti diano il meglio? E come le tecnologie digitali possono abilitare tale condizione virtuosa?
Torno alla persona. In SAS veniamo considerate persone.
Non sto parlando solo di welfare aziendale. La nostra azienda è best place di work: mia figlia è andata all'asilo nido aziendale e abbiamo tanti altri servizi utili. Queste però sono leve tattiche: quello che fa la differenza è la possibilità di conciliare davvero vita lavorativa e vita privata. Anche perché noi siamo "always on", non è sempre possibile scendere dal treno della vita lavorativa e del digitale.
L’azienda può supportarti riconoscendo in primis che sei sul treno, permettendo di unire vita lavorativa e privata: qualche giorno fa sono uscita serenamente dall’ufficio alle 17 e sono andata a fare la lezione di prova con mia figlia di 8 anni di hip hop. Questo per molte persone è ancora un lusso. Io ho avuto l’opportunità di vivere quel momento con leggerezza, pur mantenendo un solido coordinamento del team. A questo proposito, il mobile è una cosa eccezionale: abbiamo dei sistemi di sharing e comunicazione pazzeschi.
Un’altra mia fortuna è quella di essere in un contesto internazionale, in cui vedi le innovazioni in tempo reale.
Rappresentando un'eccellenza digitale, non può mancare una tua prospettiva personale sui top trend digital che caratterizzeranno il 2018.
Vedo tantissima confusione, anche a livello di nomenclatura.
Cosa significa digitale? Siamo su un treno, andiamo molto veloce, ma mi accorgo che a volte siamo troppo scollati al mercato. Quando sono entrata in SAS facevo fatica a comunicare gli analytics: oggi vedo che i temi sono caldissimi, ma ci sono anche tante mode. Treni mancati da un lato, mercato non pronto dall’altro e trend che sono veri ma ancora acerbi, solo sulla carta ma non a livello di execution.
L’AI e il machine learning (chatbot) sono sicuramente temi di trend, ma la domanda è: il trend è il chatbot o la Customer Experience in real time? E l’imprenditore o il manager come la etichetta questa cosa? La chiama chatbot, AI, digital transformation o in altro modo? La fortuna, per me, è lavorare nel B2B: ho l’opportunità di dirlo a una persona. Ma uno che fa B2C come fa? Cosa dice alla propria audience, con quali parole? E siamo certi che venga compreso?
Un altro esempio: i video. Si parla tantissimo di video, di video strategy etc. Ma il trend sottostante quale è? La gente non ha più tempo e gli smartphone consentono di parlare e interagire come e quando vogliono. Oppure il tren è il video in sé? Molti preferiscono chiamarlo Visual Marketing, poi che si tratti di un video, di un’icona, di una app, o di un visual scribing poco importa.
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Altro trend è il tema degli influencer e degli ambassador: tutti parlano di "democratizzazione" degli influencer, ma le cerchie (i network) non sono democratiche - anzi, piuttosto snob. Impossibile entrare in certi gruppi e cercare di proporre specifiche novità. Esistono influencer e ambassador di lungo periodo, e poi ci sono gli influencer occasionali realmente "democratici", che si attivano per esempio attraverso le recensioni lasciate su Amazon o Tripadvisor. E questi due gruppi vanno in parallelo. Torno al tema della nomenclatura. Quando parliamo di “coinvolgere gli influencer” a chi ci stiamo riferendo? Sono importanti entrambi, ma si tratta di persone e portate molto differenti.
In relazione ai diversi trend, forse la mia fortuna è di stare in mezzo: ho visto il mondo "vecchio" e sto vivendo quello nuovo. Integrare al meglio questi due mondi, queste due anime: anche questo è un trend che si sta diffondendo a grande velocità.
Comunicare gli analytics, l'AI, il machine learning non è certamente semplice rispetto ad altri prodotti e servizi. Quale è il tuo segreto?
La co-creazione. Da soli non si va da nessuna parte.
Ho capito che prima bastava fare un’ottima comunicazione istituzionale con il mio team, ma non arrivavo al cuore delle persone. Poi ho avuto un'illuminazione: ho capito che la comunicazione istituzionale da sola non va da nessuna parte. Serve forse più tempo (che spesso non c’è :-) ) per coinvolgere chiunque possa aggiungere valore: sia interno, sia esterno all’azienda/progetto. Con competenze, esperienze e bisogni diversi. Se no, resta un esercizio di “stile” ma le parti interessate non la comprendono pienamente, non la “sentono” e non riescono a trasferirla.
Il valore sta nel mezzo: nessuno ha ragione, ma vince (e deve guidare) l’esperienza complessiva che riusciamo a offrire al cliente.
La sfida è mettere a servizio le migliori competenze di marketing e comunicazione e, attraverso queste, creare un primo draft di comunicazione. Tale draft viene poi condiviso con altre figure professionali, come ad esempio il data scientist. Ognuno aggiunge un pezzo e arricchisce il draft: le persone vogliono partecipare. Fare la differenza. Se fai la migliore comunicazione possibile ma è solo tua, hai fallito.
Terminata la condivisione interna all'azienda, dobbiamo poi dare in pasto l’elaborato a qualcuno fuori, che abbia una visione imparziale e che sia dunque capace di aggiungere ulteriore valore: nascono quindi spunti nuovi in ottica di open innovation.
L’unica cosa difficile di questo processo bellissimo è il tempo, sempre tiranno. Ma vogliamo portare sul mercato questa co-creazione: è un percorso, non siamo e non saremo mai arrivati. Ma anche questo è bellissimo, no? ;-)