Facci indovinare: soffri di dipendenza da social.
E sai come lo sappiamo? Non lo sappiamo, ma lo immaginiamo e con buona probabilità abbiamo ragione.
Social victim
Ti è certamente capitato, almeno una volta nella vita, di entrare su Facebook dal tuo smartphone mentre lo avevi già aperto davanti agli occhi, sullo schermo del pc. Si tratta di un fenomeno piuttosto comune e denota quanto sia diventato abitudinario il gesto di entrare a curiosare nei social quando si ha un attimo di tempo.
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Lo facciamo al volante, in bagno, qualcuno persino mentre si fa la doccia. Lo facciamo a letto, per strada, sui mezzi pubblici e nelle sale d’attesa o in coda alla posta o in banca. Ovunque, quando ne abbiamo la possibilità (e talvolta anche quando in teoria non l’avremmo) tiriamo fuori il cellulare e clicchiamo sulle icone dei nostri social network preferiti.
Siamo “social addicted”. Siamo dipendenti da qualcosa che ci dà piacere e tormento al tempo stesso. Scrollare la home di Facebook o quella di Instagram, non sempre è per ingannare il tempo: a volte è per solitudine, altre per ficcanasare nelle vite altrui, altre ancora per invidia. Questo non fa bene e ci porta ad allontanarci sempre di più dal contatto umano.
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Perché ci piace tanto?
Secondo l’imprenditore Ben Angel, il nostro continuo bisogno di prendere in mano il telefono è la conseguenza della “ricompensa” ottenuta nel farlo. Ogni interazione positiva che le persone hanno con un nostro post o una nostra condivisione, ci fa sentire appagati. Questa piacevole sensazione diventa un ghiotto pasto per il nostro cervello e lui la ricerca sempre più spesso.
Questa tecnologia ci distrugge?
Un interessante articolo di Jean M. Twenge, docente di psicologia all’Università di San Diego, ha affrontato la tematica da un punto di vista più allarmante, quello della distruzione di un’intera generazione.
Lo studio di Twenge parte infatti dall’analisi dei comportamenti della iGen, la generazione dei nati tra il 1996 e il 2012. I ragazzi della iGen non hanno mai conosciuto il mondo senza smartphone e la maggior parte di loro ne possiede uno dagli 11 anni d’età. Si tratta di giovani che passano più tempo in solitudine col telefono in mano, che in compagnia.
In seguito ad alcune interviste coi diretti interessati, Twenge ha constatato come i ragazzi preferiscano sentire gli amici comodamente da casa piuttosto che uscire con loro. Inoltre, in base ai dati raccolti, pare che la ricerca dell’indipendenza da parte dei giovani abbia perso importanza.
Una delle conseguenze principali è, per esempio, il ritardo con cui viene conseguita la patente di guida, uno dei simboli di libertà per eccellenza della cultura popolare americana.
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C’è un iGen in ognuno di noi
Ammettiamolo, non serve far parte della iGen per riconoscere di avere un rapporto vagamente morboso con i nostri dispositivi tecnologici, soprattutto con lo smartphone. Sempre più spesso, sui social, il confine tra solitudine e vanità tende ad assottigliarsi.
Dobbiamo preoccuparcene? La serie Netflix Black Mirror la dice lunga a riguardo.