Eternità aumentata, così il Dott. Rahnama del MIT Media Lab ha battezzato la tecnologia che permetterà di creare bot che, alimentati dalle tracce digitali lasciate sui social e nel web da una persona, la renderanno immortale.
I social network sono sempre di più una estensione digitale del nostro essere. Una dimensione virtuale che si fonde con quella reale in un continuum in cui ogni aspetto della nostra vita è presente.
Amicizia, amore, lavoro, odio, sesso varcano i confini sempre più labili tra entrambi i mondi, rendendoli quasi indistinguibili.
Ora la tecnologia associata al machine learning, reti neurali e intelligenza artificiale promette di abbattere l’ultima barriera, la morte, e di realizzare il sogno dell’immortalità. Chi vorrà, potrà vivere in eterno. Tutti potremo dialogare con chi, anche se morto da millenni, avrà lasciato sufficienti tracce di sé da poter essere resuscitato digitalmente.
Come funziona l'eternità aumentata
Il concetto non è nuovo. Della possibilità di trasferire la mente di una persona ne discuteva già Norbert Wiener, uno dei padri della teoria dell'informazione, negli anni 50. Argomento caro a molti scrittori di fantascienza, lo riprese anche l’inventore e futurologo Raymond Kurzweil, che sognava di creare una replica del padre morto.
La novità dell'eternità aumentata, se così vogliamo definirla, è che Rahnama abbandona la via “classica” del mind uploading, cioè la replica fedele della mente di una persona in un mezzo digitale, per adottare una alternativa forse più semplice ed efficace: ogni mail, tweet, status di facebook, post di Instagram, messaggi e altre tracce digitali lasciate da una persona sono date in pasto a una rete neurale.
Questa li analizza e impara a interagire con gli altri, reagendo come se fosse la persona reale e di cui ha analizzato le caratteristiche.
Maggiore è la quantità di dati da analizzare, migliore sarà la fedeltà dell’alter ego digitale.
Le possibili applicazioni
L’applicazione ideata da Rahnama non trasferisce nei propri database (non ne esistono proprio) i dati che analizza. Ad ogni sessione di conversazione, a seconda del contesto, l’analisi condotta servirà a generare la risposta più adeguata e in armonia con la personalità, esperienza e conoscenza della persona di cui si utilizzano i dati.
Egli immagina sosia digitali, bot che, per esempio, possano rispondere ai colleghi di una persona assente dall’ufficio sulla sua area di competenza. Facciamo un esempio concreto: Maria tratta abitualmente ordini e contratti con i fornitori. Mentre è in vacanza potrebbe lasciare un suo avatar a disposizione dei colleghi che, leggendo le email e chat passate, fornisca le risposte corrette per concludere un nuovo ordine o contratto.
L’eternità aumentata potrebbe trovare applicazione anche nella formazione, immagina Rahnama, creando avatar di esperti e autori che possano essere interrogati dagli studenti. Questi potrebbero così interagire con dei tutor digitali che mimino lo stile e la conoscenza di grandi scienziati o letterati del passato. Immaginate di poter chattare direttamente con Shakespeare o con Einstein per chiedere spiegazioni su come interpretare un particolare sonetto o un passaggio oscuro della teoria della relatività.
La difficoltà, più si va indietro nel tempo, è la disponibilità della quantità sufficiente di dati da analizzare per ricreare un sosia digitale che sia credibile: è più facile avere un bot ispirato a Trump, insomma, che ad Abramo Lincoln.
Altri, un po’ come nell’episodio “torna da me” della serie Black Mirror, hanno immaginato e realizzato applicazioni che possano fare le veci di una persona deceduta.
Un bot che, sulla base di tutto ciò che una persona abbia in vita pubblicato e reso disponibile sui propri canali social possa fornire il conforto di un simulacro digitale a chi è rimasto.
Uno dei primi bot di questo tipo è stato creato dal fondatore della startup Luka, che non rassegnandosi alla perdita di un amico in un incidente stradale a Mosca, ha generato un suo fantasma digitale.
La stessa azienda, dopo essersi trasferita a San Francisco, ha creato un bot che, utilizzando i testi delle sue canzoni, permette di chattare con il cantante Prince.
Volete vivere per sempre?
Due diverse aziende vi danno la possibilità di farlo grazie all'eternità aumentata.
eterni.me ed eter9.com sono due piattaforme, ancora in versione beta, che vi permettono di creare un vostro avatar e metterlo a disposizione delle persone a voi care, nel lontano futuro in cui non sarete più in questo mondo.
Entrambi i servizi dichiarano di utilizzare sistemi di Intelligenza Artificiale per creare il vostro sosia.
Nel primo caso però il sistema utilizza i dati dei vostri account Facebook e Twitter, che dovrete rendere completamente accessibili mentre nel secondo caso il sistema impara a conoscervi attraverso le vostre interazioni e pubblicazioni nel social network creato ad hoc.
Ad eterni.me potete iscrivervi ma sarete messi in lista d’attesa, come è successo a noi, che non abbiamo quindi potuto provarlo. La lettura dei termini di utilizzo però induce a raccomandare prudenza data la quantità ed estensione di permessi che l’applicazione chiede per funzionare.
Eter9 invece è immediatamente utilizzabile dopo l’iscrizione e la conferma del proprio indirizzo Email. Non c’è alcuna richiesta di accesso ai vostri profili social poiché, come si è scritto, il sistema impara da ciò che pubblicate e caricate al suo interno. A differenza di eterni.me dichiarano che l’utilizzo della piattaforma è e resterà gratuito.
Per poter creare un proprio sosia grazie all'eternità aumentata occorre avere pazienza, insomma.
E se l'eternità aumentata non fosse un sogno?
Abbattere la barriera della morte (o di una temporanea assenza) sembra la realizzazione di un sogno.
Poter continuare a dialogare con un proprio caro defunto, oppure sopravvivere noi stessi attraverso una replica digitale che offra conforto a chi abbiamo lasciato non sembra avere risvolti negativi.
Alcuni apprezzano l’idea, e applicazioni del genere avrebbero grande successo tra coloro che oggi si accontentano di leggere e rileggere gli status del profilo di chi è mancato, qualche volta continuando ad inviare o condividere messaggi in una bacheca altrimenti inerte.
Una versione diversa e digitale dei fiori, regali e bigliettini che si lasciano nel luogo di un incidente, per esempio.
Altri rifiutano questa possibilità considerandola alquanto macabra ed inopportuna.
Superando le proprie convinzioni e pensieri al riguardo è però d’obbligo esplorare tutti gli aspetti di questa nuova possibilità che la tecnologia offre.
Giovanni Ziccardi, professore associato di Informatica Giuridica presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano lo fa molto bene nel suo “Libro digitale dei morti”.
Un vademecum per chi vuole sopravvivere in rete o, forse, scomparire del tutto, recita la quarta di copertina. Dalla privacy al diritto al oblio, il diritto degli eredi agli asset digitali del defunto, sono molte le domande a cui si da risposta, e tante quelle che nascono.
Sopravvivere in questo modo potrebbe, per esempio, non permettere un distacco e una elaborazione del lutto, ma anzi generare una dipendenza dall’avatar digitale.
Novelli medium digitali potrebbero sfruttare un avatar digitale per truffare i parenti di un defunto. Un fenomeno che non sarebbe nuovo: Houdini dedicò gran parte delle sua vita proprio a smascherare truffatori di questo genere. La tecnologia non rende meno creduloni e vulnerabili coloro che soffrono per un lutto.
Rendere in questo modo immortale una persona potrebbe andare contro la sua volontà e violare la sua privacy e il diritto a scivolare nell’oblio.
Sopratutto per i sistemi che generano l’avatar basandosi sull’ombra digitale che la persona ha lasciato dietro di se, c’è da domandarsi quanto il simulacro possa essere aderente alla persona che intende rappresentare: anche in presenza di una grande mole di dati da analizzare, essi non sarebbero che la porzione che la persona stessa ha voluto rivelare di se.
Alcuni film sono stati conclusi nonostante l’attore protagonista fosse morto durante le riprese, come nel caso di Paul Walker, altri sono stati girati facendovi partecipare attori defunti anni prima, come nel caso di Peter Cushing, ricreato digitalmente per interpretare Tarkin in Star Wars rogue one.
Potrebbe una azienda, con queste nuove tecniche, continuare da utilizzare i profili social degli influencer a contratto?
E i termini di servizio, quelli che nessuno legge mai, non potrebbero essere aggiornati dal vostro social network preferito in modo da continuare ad usare voi stessi come testimonial nei confronti dei vostri amici come già accade da vivi, per esempio, su Facebook?
Queste sono solo alcune delle domande e problemi che l’esplorazione di questa ultima frontiera obbliga a porre.
Ma voi… vorreste vivere per sempre? Continuiamo a parlarne sulla nostra pagina Facebook e nel nostro gruppo LinkedIn!