Per due anni i ricercatori di Share labs hanno studiato Facebook per cercare di svelare cosa si nasconda dentro quella che è, in definitiva, una colossale scatola nera: se gli utenti sono oramai di una trasparenza quasi imbarazzante per il colosso dei social network, in realtà, a parte alcuni numeri, a parti inverse il risultato cambia. Gli utenti, infatti, non conoscono molto del funzionamento di Facebook.
Per questo, noi ninja abbiamo pensato di presentarvi la "mappa" risultato dello studio: un colpo d’occhio semplice e inquietante, utile per capire tutto ciò che Facebook sa di ciascuno di noi. Anche quando non lo usiamo.
I numeri di Facebook
Conosciamo molto bene i numeri impressionanti di Facebook. Oltre un miliardo e mezzo di utenti che generano 300 petabyte di dati, che ogni giorno mettono più di 4 miliardi di like, e generano quasi 5 miliardi di condivisioni.
Ma secondo Vladan Joler e i suoi colleghi, autori della ricerca, i numeri non bastano per capire ciò che succede dietro le quinte. Dichiarano, nel loro studio, infatti che “dietro quelle mura invisibili, in ogni momento, degli algoritmi decidono quali informazioni debbano apparire nella nostra infosfera, quanti e quali dei vostri amici vedranno i vostri post, quali contenute diverranno parte della vostra realtà e quali saranno censurati o cancellati”.
Il dubbio è che, nascosti tra i vari strati di algoritmi, ci siano potenziali violazioni dei diritti umani, nuove forme di sfruttamento e manipolazione sulla vasta scala che i quasi due miliardi di utenti rendono possibile.
Nell’era della società degli algoritmi, sostengono traendo ispirazione dalle teorie di Marx, non sono più gli esseri umani che creano prodotti (o servizi): sono gli algoritmi che macinano i dati che noi stessi seminiamo nel web e nei social network (la nostra impronta digitale) e producono profili, rilevano anomalie, realizzano previsioni.
A creare ricchezza sono gli algoritmi, alimentati da oltre 300 milioni di ore di lavoro gratuito svolto dai miliardi di utenti social: una quantità impressionante se pensate che è calcolata su una media di 20 minuti di uso quotidiano per ciascun utente.
Tutti noi siamo materiale grezzo che, con la nostra complicità e con il lavoro degli algoritmi, diventiamo profili da vendere al miglior offerente.
La mappa di Facebook
La ricerca ha preso in considerazione tre aree specifiche del funzionamento di Facebook: la raccolta di dati, il loro immagazzinamento e analisi, e il targeting degli utenti.
Non c’è stato bisogno di whistleblowers o di chissà quali intrighi per carpire queste informazioni. Vladan e compagni hanno sfruttato documenti che sono disponibili pubblicamente: policy di Facebook e aziende collegate, ricerche pubblicate dai loro partner, il report finale dell’inchiesta “Europe Vs Facebook”.
I ricercatori hanno preso in considerazione i dati che Facebook raccoglie direttamente, attraverso le aziende acquisite o le centinaia di aziende partner.
Così, attraverso le controllate Facebook Payments Inc., Atlas, Instagram LLC, Onavo, Parse, Moves, Oculus, LiveRail, WhatsApp Inc. e Masquerade possono essere raccolti e scambiati dati sui pagamenti che fate, i numeri di carta di credito, i movimenti fisici che fate (Oculus) e tutto ciò che, coi permessi concessi da noi stessi alle varie app può essere utile a creare un profilo.
Grazie a partner come Datalogix e Acxiom è possibile per Facebook utilizzare anche informazioni derivanti da azioni compiute al di fuori del social. I punti accumulati con le carte fedeltà, i cookies nel vostro browser, l’iscrizione ad una mailing list o le informazioni pubbliche su di voi (in alcuni casi compresi i registri di proprietà immobiliare o automobilistici) sono usati e scambiati per creare profili sempre più precisi.
Quindi?
Non c’è niente di male - può pensare l'utente medio - tanto non ho nulla da nascondere e, anzi, forse mi fa anche comodo avere delle informazioni o pubblicità che per me siano rilevanti e significative in un dato momento.
Ma anche concedendo piena e totale fiducia al management attuale di queste aziende, che ci rassicurano dichiarando che i nostri dati sono ben protetti e usati a fin di bene, la preoccupazione di Vladan Joler è sul lungo termine: che potrebbe succedere con un nuovo management o un cambio di proprietà in futuro? Se le intenzioni non fossero più così benevole?
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