A una settimana dalla scomparsa di Giovanni Sartori ci sembrava importante una riflessione - aperta, imperfetta - su quello che è stato tra i testi rivoluzionari del politologo e sociologo italiano.
Nel 1997 usciva Homo Videns, la disanima cruda e potente del nuovo, rivoluzionario, primato dell'immagine sulla parola. Negli anni '90 la televisione ha cambiato radicalmente il modo di comunicare, creando un contatto apparentemente disintermediato tra notizia, o testo (in senso semiotico del termine, ovvero ogni forma di messaggio che sia scritto, immagini, video ecc), e lo spettatore. Tele-vedere, cioè vedere da lontano, secondo Sartori non è altro che un video-vedere, ed è il frutto di un lungo percorso che ha portato all'evoluzione del linguaggio umano in termini visivi.
Non utilizziamo la parola evoluzione in termini positivistici, perchè si tratta di fatto di una involuzione delle capacità espressive dell'homo sapiens, che passa dalla comunicazione complessa della parola a quella semplice - elementare - dell'immagine. Questa è un simbolo, ed è la forma primaria di comunicazione: se la capacità simbolica dell'uomo è quanto lo differenzia dagli altri animali è stata lo sviluppo del simbolo in testo complesso a definirlo sapiens. L'homo videns è dunque il risultato di una involuzione espressiva.
L'immagine sovrana dei social
Sartori era un politologo e applicava le sue riflessioni sul ruolo dell'immagine soprattutto alla comunicazione mediatica della politica. Il suo lavoro è però importante anche per la comunicazione digitale, che discende da quello che in Homo videns aveva tratteggiato senza tuttavia approfondire: il ruolo di Internet. Se la generazione di tele-vedenti delineata con precisione dal sociologo è nient'altro che i millennial, la generazione Y è una nuova evoluzione della prima.
Il progressivo ruolo dell'immagine è diventato così centrale da contaminare tutta la comunicazione digitale che si aggiorna continuamente, dando sempre più spazio all'elemento visivo: i diari di Facebook ampliano lo spazio riservato alle foto, le anteprime dei link ingrandiscono le immagini a scapito dell'anteprima di testo, le case di produzione di videogame embeddano nelle home giochi visivi, Twitter amplia le anteprime dei video, YouTube crea il medio formato e la versione cinema per i video, così da estendere l'immagine fino ai bordi dello schermo. Intanto sorgono potenti nuovi social: un esempio è Instagram che vanta 400 milioni di utenti al mese puramente basato sulle immagini.
Immagine obesa
Siamo così saturi di immagini che i nostri occhi ne sono diventati obesi. Questo "disordine visuale" ci porta a non prestare una vera attenzione alle immagini e a un drastico calo della nostra attenzione e concentrazione. Le immagini, infatti, sono fruite il 90% più velocemente di un testo e il loro messaggio è recepito dal nostro cervello con una rapidità istantanea. L'immagine è, di fatto, l'unico vero codice davvero universale (altro che matematica!): del resto, è per questo che i segnali stradali sono composti da immagini. Questa rapidità crescente di fruizione porta, di conseguenza, a una progressiva eliminazione di tutto quello che è complesso dalla nostra comunicazione e a una non-capacità da parte dei più giovani - abituati alle immagini - di concentrarsi in maniera continuata su testi complessi.
Quella che ci sembra possa essere un risultato di questo progressivo smantellamento delle capacità comunicative complesse è la gif. La gif è una portentosa invenzione degli anni '90 passata del tutto inosservata: era appannaggio di una cerchia di nerd che la usava dei forum e di alcuni signori attempati che avevano blog pseudo-erotici da uomini tormentati e maledetti che utilizzavano gif di rose rosse brillantinate e occhi che si spalancavano nel buio (ebbene sì, i 50enni avevano internet anche negli anni '90 e non erano meno scoppiettanti di adesso). La gif dunque ha attraversato nell'indifferenza gli utlimi vent'anni per essere riscoperta con grande prodigio dalla nuova generazione: i video sono diventati troppo complessi, si sono accorciati, contratti, è nata per gli adetti la regola del video "di massimo un minuto o nessuno lo guarda" ed ecco che la gif ha fatto il suo rientro in scena fastoso. Una breve figura in movimento, muta, tutta immagine di qualche secondo attira l'occhio obeso in una promessa di compimento che non si mantiene. Il messaggio visivo diviene anche troncato.
Anche il testo diventa immagine
In questo percorso di evoluzione del linguaggio, Facebook ha lanciato l'ultima novità: lo status diventa immagine. Lo avrete già visto, la possibilità di scrivere su uno sfondo colorato. Cosa significa questo in termini comunicativi? Forse il percorso tratteggiato da Sartori non solo è giunto al compimento ma si è superato: l'immagine non solo ha soppiantato la parola, ma l'ha anche sostituita, sollevata dal suo compito gravoso di essere nero su bianco.
Eppure, se l'immagine è un linguaggio semplice e immediato, puramente simbolico, con il tempo è in realtà divenuto sempre più complesso. In altre parole con l'evoluzione del linguaggio se da una parte è vero che l'immagine ha divorato gli spazi della comunicazione, è anche vero che il suo simbolismo si è evoluto e stratificato in centinaia di strati di sottotesto. Dietro le nuove immagini c'è una grande complessità di messaggi chiave e narrazioni testuali, che noi fruitori letteralmente "beviamo" in maniera sempre più rapida.
Siamo diventati autostoppisti al bordo strada dei social con cartelli colmi di richieste. Richieste d'attenzione. Svuotati da un linguaggio sempre più complesso e al contempo sempre più semplificato, rincorriamo l'attenzione degli automobilisti che viaggiano troppo rapidamente per fermarsi a leggere dove siamo diretti. Eppure, in un mondo d'immagine, nel 2016 la quota lettori in Italia risulta superiore proprio la generazione Y, con il 50% secondo l'Istat. Forse siamo homo mutimedialis, nè sapiens nè videns, ma in continuo adattamento evolutivo in un linguaggio che, forse, sta diventando davvero universale. Immaginifico, stratificato, complesso.
Primo: il vedere non è conoscere. Secondo: il conoscere può essere aiutato dal vedere. Terzo: il che non toghe [sic!] che conoscere per concetti (il conoscere in senso forte) si dispiega tutto quanto oltre il visibile.Giovanni Sartori, Homo videns.