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  • Clickbait ed echo chambers: i fenomeni social che influenzano l’opinione pubblica

    Intrappolati all'interno della Facebook bubble

    15 Novembre 2016

    A una settimana dalle elezioni degli Stati Uniti che hanno designato Donald Trump nuovo presidente, la domanda che molti cittadini americani (e non solo) si stanno ponendo è sempre la stessa: come è potuto accadere, considerate le statistiche che vedevano come favorita la candidata democratica Hillary Clinton? Le motivazioni ovviamente sono moltissime: alcune, però, sono legate anche ai social media. Vediamo perché.

    Clickbait e notizie bufale: il fenomeno dell’echo chambers

    Facebook-and-clickbait Facebook ha ribadito più volte di essere “una compagnia tech e non un media”. In realtà, pur non producendo contenuti editoriali, Facebook esercita più influenza dei media stessi. Grazie alla sua funzione di “distributore di contenuti”, infatti, Facebook permette agli utenti di ricevere agevolmente informazioni, più facilmente che attraverso i media tradizionali (TV, radio, giornali) e, per certi versi, anche da Google. Non sempre, però, questo porta a risultati virtuosi. Nelle settimane scorse, ad esempio, molti utenti hanno visto popolare i propri social newsfeed di un meme di Trump, in cui era pubblicata una quote del nuovo presidente, rilasciata al People Magazine nel 1998 e in cui affermava che se mai si fosse candidato, lo avrebbe fatto da repubblicano poiché essendo l’elettorato di quel partito fondamentalmente stupido, avrebbe creduto ad ogni stupidaggine che avrebbe detto. trump people magazine In realtà tutto ciò non è mai accaduto. La quote era falsa, così come l’intervista. Un esempio non isolato: questa non è stata infatti l’unica bufala circolata durante il periodo prelettorale. Le bufale, talvolta, sono frutto di una sistematizzazione totale. Il caso che ha raccontato un recente articolo di Buzzfeed in questo senso è emblematico: un gruppo di giovani in Macedonia ha creato nei mesi scorsi 140 (centoquaranta!) siti di notizie pro-Trump. Le notizie venivano per lo più copiate direttamente da siti di estrema destra americani, e riportati con un titolo “sensazionale” per incoraggiare click, condivisioni ed engagement senza preoccuparsi del contenuto, al semplice scopo di generare traffico.
    Getty Images / BuzzFeed News
    Getty Images / BuzzFeed News
    È il fenomeno del “clickbait”: articoli il più delle volte fasulli con titoli teaser, che incoraggiano il click da Facebook verso siti-capestro (un po’ come i centoquaranta sopra citati) che veicolano quasi sempre notizie fasulle. Un problema che può generare danni irreparabili: gli utenti si abituano a interagire con determinate notizie e perdono la capacità di distinguere il vero dal falso, soprattutto in momenti socialmente rilevanti come le elezioni, in cui i media propongono un alto numero di notizie ed è necessaria – per orientarsi – una capacità di discernimento maggiore. Alla luce di tutto questo, è corretto affermare che la diffusione di “clickbait news” siano state un fattore influenzante l’andamento delle elezioni? Certamente, è vero che negli ultimi anni è cambiato il modo con il quale accediamo alle notizie. In passato si faceva riferimento ai quotidiani o ai TG: ora per lo più ci si rivolge al nostro Facebook o Twitter newsfeed. Secondo un recente sondaggio del Pew Research Centre, le notizie e i messaggi che appaiono sui social riescono effettivamente ad influenzare l’opinione degli utenti, o almeno di 1 su 5. Il 20% di coloro che ha risposto al sondaggio, ha affermato che i social media hanno c0ntribuito a far cambiare l’opinione su una questione politica; il 17% per cento ha cambiato direttamente la propria opinione su un candidato.
    pew research center
    pew research center
    Nonostante ciò, giovedì scorso alla Calfornia conference of Techology, Zuckerberg ha affermato a proposito della responsabilità di Facebook sul risultato delle elezioni che:
    “C’è una profonda carenza di empatia nell’affermare che l’unica ragione per la quale qualcuno ha votato nel modo in cui ha fatto, è per aver letto delle notizie bufale”.
    Affermazione forte, ma che sottovaluta in certi casi un fenomeno alimentato proprio da tutte le notizie clickbait, quello della Echo chamber: situazione in cui le informazioni, idee o credenze si amplificano e rinforzano grazie alla loro trasmissione e ripetizione in un sistema “chiuso”, e in cui vengono censurati  punti di vista diversi o concorrenti. Più la penso in un determinato modo, più quell’idea si rafforzerà, perché corroborata da contenuti che mi arrivano dal network digitale in cui sono inserito e in cui i pareri dissonanti riescono a non entrare. Nel mondo di Facebook, tutto quello che ci piace si trasforma in articoli a cui potremmo essere interessati: un mondo incantato dove nessuno ci contraddice. Forse anche per questo, molti supporter del candidato democratico Clinton sono stati colti di sorpresa dal risultato. Il Wall Street Journal ha documentato benissimo il fenomeno dal punto di vista politico tramite il Blue feed, Red Feed: un tool in grado di generare e raffrontare un newsfeed liberale ed uno conservatore, visualizzando i post più attinenti a seconda del personaggio politico scelto. feed Un esperimento che dimostra come in entrambi i feed fossero moltissime le notizie fasulle e i post clickbait. In questo caso, Facebook ha mostrato ciò che ogni utente voleva vedere, diminuendo la visualizzazione di opinioni opposte e rafforzando, di conseguenza, il punto di vista già acquisito: sostanzialmente, una fonte di contenuti fortemente autoreferenziale e non in grado di informare correttamente. È facile alzare le mani e dire “Facebook non è un media”, ma in quanto distributore di contenuti Facebook dovrebbe fare uno sforzo maggiore nell’evitare la diffusione di bufale e magari non lasciare la selezione editoriale nelle mani di un algoritmo. Ma aspettare le risposte senza cercarle è adagiarsi nell’ignoranza: è decisivo che anche gli utenti facciano uno sforzo per tenersi informati, anche attraverso fonti credibili (a prescindere dalle proprie posizioni). Il rischio è, altrimenti, di assuefarsi a una fruizione passiva e orientata da posizioni già precostituite: rischio che non va d’accordo con l’esigenza di essere cittadini consapevoli.