Questo articolo è scritto da Federico Di Bisceglie, Ninja Guest.
L’economia, nel mercato globale, presuppone una grande e talvolta vertiginosamente rapida mutazione di scenari, di difficile comprensione anche per coloro che di fatto si rendono fautori in prima persona di tali cambiamenti. Le variabili sono enormi, in quanto le esigenze che l’utenza reclama a gran voce sono di sempre più difficile realizzazione e sempre più disomogenee. Ecco allora nascere risposte come quella della cosiddetta Switching economy.
Se le aziende si trovano sempre più spesso a dover soddisfare richieste difficoltose e sempre più specifiche, è anche vero che soprattutto i grandi colossi non hanno sempre saputo adeguarsi a ciò che il mercato richiedeva.
Così, nel 2015, secondo i dati raccolti da Global consumer pulse research, in Italia il 24% del reddito netto a famiglia è stato destinato a spese per cambiare una società erogatrice di un servizio. Il tutto per un ammontare complessivo di oltre 250 milioni di euro all’anno, dato in aumento esponenziale, con un 10% in più rispetto al dato 2014.
La risposta del mercato e il ritorno al rapporto umano nella Switching economy
In un mondo sempre più dominato dall'avanzare delle nuove tecnologie, sembra che il consumatore sia in un certo senso saturo e che abbia bisogno di tornare all’antico rapporto umano vis-à-vis con chi fornisce un determinato tipo di servizio, sebbene anche in questo caso non manchino le eccezioni.
Nella ricerca di Accenture, infatti vengono delineati tre diversi macro-tipi di consumatore, ognuno con differenti peculiarità ed esigenze:
- il tradizionalista, che non ama la tecnologia e desidera il rapporto umano e un sostegno per ciò che riguarda la parte informatica;
- chi vorrebbe invece il massimo del servizio, ma talvolta non è in grado di usufruirne appieno, a causa della sua incapacità di sfruttare adeguatamente gli strumenti informatici potenzialmente a sua disposizione;
- infine l’appassionato di tecnologia, che può fare a meno del rapporto umano, in quanto connettersi e usufruire di un servizio online non gli crea alcun tipo di problema, anzi.
Il consumatore, richieste e volontà di cambiamento
L’utenza che si affaccia ad un determinato tipo di servizio è sempre più esigente e sempre meno fedele. Le cause di questa sfiducia e della conseguente volontà di cambiamento sono dimostrate anche da un o studio condotto da Capgemini nel 2015: i programmi di fidelizzazione delle aziende nei confronti del digital consumer sono sempre più inadeguati.
L’era digitale è complessa da gestire anche per i principali attori, in quanto gli scenari e le aspettative cambiano in maniera rapida e repentina. L’insoddisfazione che emerge dalle statistiche elaborate dallo studio Fixing the Cracks: Reinventing Loyalty Programs for the Digital Age potrebbe essere uno dei fattori che hanno determinato un incremento così evidente di switcher, ovvero utenti che hanno preferito cambiare e provare qualcosa di diverso.
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Perché anche la tua azienda deve fare i conti con la Switching economy
Il termine Switching economy è stato coniato proprio da Accenture per descrivere il crescente numero di consumatori che intraprende la scelta di passare da un fornitore ad un altro a causa di un insoddisfazione di qualche tipo.
Un dato molto interessante per le aziende sta nel fatto che non sono solo questioni di costo i motivi che spingono il consumatore a cambiare, ma che si tratta soprattutto di esigenze legate ad una differente tipologia del rapporto con chi eroga un servizio.
In questo senso, è interessante notare che la Switching economy ha numerosi seguaci negli utenti che vengono delusi da promesse di un determinato tipo di servizio, che vengono poi nei fatti disattese.