Digital for Italy: una grande occasione per il marketing italiano nelle PMI
Digital for Italy è stato lanciato pochi giorni fa: si tratta di un’iniziativa che vede come protagonisti, solo ad oggi, ben 85 tra i migliori professionisti del marketing digitale italiano che hanno deciso di offrire, gratuitamente, il loro apporto professionale alle piccole e medie imprese italiane che ne faranno richiesta e che saranno selezionate come soggetto di intervento da parte di questi professionisti.
Una bellissima iniziativa, che rappresenta innanzitutto un grande atto di fiducia nei confronti del tessuto economico italiano, costituito per la maggior parte da piccole e medie imprese: scegliere di lavorare per queste aziende, e per di più gratuitamente, da parte di professionisti impegnati già nelle loro attività, significa credere che queste aziende, se ripartono, se si sviluppano come meritano, potranno costituire davvero un volano economico determinante per la crescita dell’economia italiana.
E questa iniziativa costituisce anche un banco di prova non soltanto per l’industry del digitale italiano, ma anche per il marketing italiano nel suo complesso: ogni azione di digital marketing è necessariamente e prima di tutto anche un’azione di marketing e si tratta quindi di inserirla all’interno di una strategia di marketing più generale, all’interno di un piano di azione più ampio rispetto allo specifico raggio di azione del marketing digitale.
Ogni professionista che presterà la sua collaborazione in Digital for Italy si troverà quindi a dovere rispondere alla domanda: quale marketing può essere utilizzato efficacemente nelle PMI italiane?
Il corpo centrale del marketing è nato e pensato per la grande impresa industriale
Nel corso di questi venti anni di consulenza, e molta di questa svolta nelle PMI, mi è capitato spesso di sentire questa esclamazione di sconforto: “Ho letto e studiato Marketing Management di Kotler, ma nella mia azienda non so da che parte cominciare ad applicarlo”. Personalmente ho sempre risposto che non c’era da stupirsi: quel marketing è nato in certe aziende e per quelle aziende, e si tratta di aziende grandi e grandissime, perlopiù operanti nel settore industriale. Non c’è da stupirsi se in una piccola o media impresa risulti praticamente inapplicabile.
La strategia dei Gorilla Brand: lancio per la dominanza
Vediamo un esempio di lancio di una grande impresa, che descrive bene come le strategie di lancio, il cuore di ogni strategia di marketing, ed i loro strumenti così come previsti dal paradigma di marketing management industriale non siano affatto alla portata delle PMI. C’è un libro molto bello che descrive la strategia di lancio di Procter&Gamble, scritto da Charles L.Decker, manager che ha lavorato per molti anni in questa azienda. Il libro in questione porta il titolo “Winning with P&G 99”; non è stato tradotto in italiano e qui riporto la descrizione del lancio di Ariel in Austria:
“Per il lancio di Ariel in Austria, come d’abitudine nella maggior parte dei lanci P&G, la distribuzione di campioni presso le famiglie costituiva parte essenziale del programma di marketing. Il sampling è uno strumento di marketing estremamente costoso, e per questa ragione fu circoscritto a circa il 40% delle famiglie, quelle che si supponevano potenzialmente più suscettibili di diventare consumatrici fedeli della marca.
Il programma di sampling ebbe un successo straordinario, così P&G campionò un ulteriore 20% di famiglie. Anche questa volta fu un grande successo, e quindi P&G continuò fino quasi a raggiungere il 100% delle famiglie. Non fu certo un il programma di marketing più efficiente, ma fu certamente quello più efficace. E Ariel diventò il brand dominante.”
Per molte altre aziende, l’investimento di marketing è visto molto spesso come un’attività da diluire nel tempo in base ai ritorni. C’è una minore concentrazione dell’investimento sul lancio. Da questo atteggiamento deriva anche una minore attenzione nell’analisi di marketing, nella messa a punto del prodotto e nella gestione delle attività precedenti al lancio. Ed il leverage delle attività di marketing- ovvero il ritorno di ogni dollaro speso in marketing- è più importante dell’ottenere la posizione dominante.”
Da questa descrizione si capiscono due cose molto importanti: la prima è facile da capire e consiste nel fatto che lanciare un prodotto come Ariel richiede enormi risorse di marketing. La seconda cosa è meno intuitiva: quando un’azienda come P&G lancia un prodotto, il suo obiettivo è la dominanza. Questo significa che i Gorilla Brand, l’espressione con la quale Decker descrive le grandi marche industriali che lottano per la dominanza del mercato devono entrare nel mercato per dominarlo, ottenere cioè la leadership, e che per fare questo devono essere in grado di spendere enormi risorse:
“I Gorilla Brand che dominano la loro categoria merceologica ottengono efficienze ed economie di scala che portano loro un significativo vantaggio competitivo nei confronti dei loro competitor più piccoli - non soltanto economie di scala produttive ma anche di marketing e comunicazione.
Le marche dominanti sono di solito le più redditizie perché i costi di marketing e gestionali sono distribuiti su di un più ampio volume di unità di prodotto. Inoltre, le marche dominanti hanno una più forte presenza e credibilità agli occhi del consumatore, ed anche i rivenditori preferiscono trattare le marche dominanti. È per questa ragione che P&G investe pesantemente per acquisire la leadership. L’investimento spesso non porta profitti per anni.”
Ricapitoliamo: una grande azienda che lancia un nuovo prodotto per creare un Gorilla Brand deve lanciare per ottenere il dominio del mercato e per fare questo deve essere in grado di investire budget enormi, sia al lancio, sia negli anni successivi, come spiega ancora Decker:
“La Brand dominance è un principio importante in P&G. L’enfasi dell’azienda è sui volumi e sulla market share piuttosto che sulla profittabilità. Questo perché, alla fine dei conti, i brand dominanti, con alto volume di vendita sono i brand più profittevoli.”
La ragione di questa assoluta necessità di lanciare per la dominanza dipende da un concetto economico molto preciso: l’economia di scala. Chi riesce a conseguire i volumi di vendita più alti, consegue anche i costi di produzione più bassi: ciò permette, anche parità di prezzo di vendita, di avere margini più alti e quindi anche maggiori risorse da investire in attività di marketing. Ciò a sua volta permette di fissare prezzi di vendita più alti della concorrenza.
Risulta evidente a questo punto che una PMI non può certo lanciare per la dominanza e che dovrebbe anche evitare di entrare in concorrenza con le grandi aziende che sono in grado di ottenerla. Una PMI dovrebbe evitare di operare nelle aree di mercato dove sono presenti i Gorilla Brand. Ma a questo punto ci si potrebbe chiedere: dove può andare ad operare, a lanciare prodotti, una PMI, in un mondo che vede ormai presenti i Gorilla Brand in ogni settore merceologico? La risposta richiede un’analisi più precisa di quello che può essere definita un’area di mercato, e con questo cominciamo a delineare una strategia di marketing specifica per le PMI.
Dove dorme un gorilla di 800 libbre?
La risposta è: dove vuole!
In questa battuta americana c’è la sintesi della strategia del marketing industriale dei Gorilla Brand: queste aziende hanno una tale forza economica che possono decidere di operare nelle aree di mercato che preferiscono. Detto questo, quello che una PMI deve fare è capire bene quali siano queste aree ed evitarle accuratamente. Si tratta di aree descrivibili non soltanto in termini merceologici o geografici: sono aree strategiche, che devono essere individuate in base ad una serie di caratteristiche del prodotto, della sua strategia di lancio, del suo prezzo, della sua comunicazione. Vediamo quindi dove esattamente, da un punto di vista strategico, dormono i Gorilla Brand.
Dove dormono i Gorilla Brand: sulla cima della Curva di Moore
Quello che segue è stato descritto molto efficacemente da Seth Godin nel suo celebre libro “La Mucca Viola”: in questo libro Godin descrive la strategia di quello che definisce “il complesso industriale-televisivo”:
“Il sistema era semplice e si basava su questo meccanismo: individuare un’ampia nicchia di mercato in fase di espansione e non ancora dominata da alcun produttore, costruire una fabbrica e acquistare una quantità consistente di spazi pubblicitari televisivi."
Godin evidenzia come questo tipo di strategia funzioni soltanto se il prodotto da lanciare può essere acquistato da una grande massa di persone: e qui introduce un concetto fondamentale, ovvero la diversa propensione all’innovazione dei consumatori, descritta dalla Curva di Moore.
La Curva di Moore è un concetto nato per descrivere il processo di diffusione delle innovazioni tecnologiche che mostra come la popolazione dei consumatori è segmentabile in base al loro diverso livello di apertura all’innovazione: i consumatori possono essere quindi nei diversi segmenti degli Innovatori, Adottatori Iniziali, Maggioranza Anticipatrice, Maggioranza Ritardataria e Conservatori. Questa segmentazione implica che, se lanci un prodotto innovativo, avrai inizialmente come audience e come acquirente soltanto una piccola nicchia di consumatori, quella degli Innovatori.
La Curva di Moore ci dice anche che il processo di diffusione delle innovazioni è un processo sociale, che avviene per imitazione, per contagio sociale. In pratica, i primi ad acquistare sono i consumatori Innovatori che poi contagiano, per imitazione, gli Adottatori Iniziali, i quali a loro volta trasmettono l’innovazione alla Maggioranza Anticipatrice. Si tratta di un processo che non può andare bene per un lancio per la dominanza, per le seguenti ragioni: in primo luogo, rivolgersi in fase iniziale ad una piccola nicchia di consumatori non consente di programmare ampi volumi di produzione; in secondo luogo, senza ampi volumi di produzione, non si possono stanziare ampi budget di comunicazione, anche perché andrebbero a rivolgersi comunque ad un piccolissimo numero di consumatori, gli Innovatori appunto.
Un lancio per la dominanza da parte di un Gorilla Brand richiede quindi di rivolgersi necessariamente alla maggioranza dei consumatori, cioè alla Maggioranza Anticipatrice e Ritardataria. Soltanto in questi segmenti ci sono i milioni di consumatori che possono permettere un lancio per la dominanza.
Sotto la cima della Curva di Moore c’è la cima della Curva del Ciclo di Vita del Prodotto
A questo punto dobbiamo chiederci: cosa comprano i consumatori della Maggioranza Anticipatrice e Ritardataria, ovvero il corpo centrale del mercato? La risposta ce la fornisce la curva del Ciclo di Vita del Prodotto: comprano prodotti che si trovano ormai nella fase di Maturità e non nella fase di Introduzione.
Da questa osservazione ne segue un’altra: se devi effettuare un lancio per la dominanza non devi lanciare un prodotto fortemente innovativo o disruptive, ovvero che crea una nuova categoria merceologica: devi lanciare un prodotto che rientri nelle categorie merceologiche già esistenti. L’innovazione che puoi introdurre è quindi di natura migliorativa, definibile come Brand Extension Strategy, il miglioramento incrementale di categorie di prodotti già esistenti. Un’innovazione che deve creare certamente qualcosa di nuovo, ma di non troppo disruptive.
Questo significa che le grandi imprese industriali devono essere molto prudenti quando effettuano un lancio: dal momento che devono conquistare prima possibile la grande massa del mercato, devono rivolgersi a grandi masse di consumatori non innovatori e devono farlo con prodotti che siano da questi comprensibili, accettabili e acquistabili senza che ci sia il bisogno di contagio sociale ma semplicemente attraverso esperienza diretta gestibile dall’azienda, come il sampling o l’advertising. Si tratta di lanciare novità che possono essere adottate facilmente dalla maggioranza dei consumatori senza mediazione sociale.
I Gorilla Brand devono essere molto prudenti: le PMI invece devono essere coraggiose
Arrivati a questo punto, cominciamo a intravedere le aree dove una PMI può, e direi anzi deve, andare ad operare: nelle aree che riguardano l’innovazione.
Questo perché, in quanto a tutto ciò che è stato espresso in precedenza, le grandi imprese industriali non possono correre il rischio di effettuare lanci per la dominanza che implichino anche una minima possibilità di fallimento. Immaginate, ad esempio, la situazione di un’impresa automobilistica: i costi per lo sviluppo delle piattaforme industriali per il lancio di un nuovo modello sono enormi, i costi di marketing sono colossali. Sbagli un lancio: è un disastro. Ne sbagli due: è probabile che ti troverai in grande difficoltà.
Questa necessaria avversione al rischio dei Gorilla Brand lascia quindi uno spazio alla PMI: uno spazio che risiede nell’innovazione del prodotto. Per sfruttarlo, le PMI devono fare innovazione, correre maggiori rischi, sia perché possono farlo, dati i minori investimenti necessari per rivolgersi alla piccola nicchia degli Innovatori, sia perché non possono certo andare a fare concorrenza alle grandi imprese industriali sul loro terreno.
Perché la ricerca di mercato non è così utile per l’innovazione (e quindi anche per le PMI)
Quando prima ho affermato che le PMI devono essere coraggiose non mi riferivo soltanto al fatto che sono chiamate a lanciare prodotti innovativi, ma anche alla limitata utilità delle ricerche di mercato proprio nel caso di lancio prodotti innovativi.
C’è un esempio che trovo molto efficace, una case-history che appartiene al settore automobilistico, spiegato da C.H. Prahalad nel suo libro “Alla conquista del futuro” (Edizioni Sole 24 Ore):
“Sentite quanto ha da dirci Hal Sperlich, il padre delle monovolume, il quale trasferì tale concetto da Ford a Chrysler, quando Ford rinunciò alla possibilità di trasformare tale concetto in realtà: “(Ford) temeva che non esistesse il mercato, perché non esisteva il prodotto. L’industria automobilistica attribuisce grande importanza agli studi storici sui segmenti di mercato. Ma questi non potevano fornire delle prove sull’esistenza di un mercato per le monovolume perché non esisteva nessun segmento storico da poter citare come esempio.
A Detroit, la maggior parte degli investimenti stanziati per lo sviluppo dei prodotti viene spesa per apportare piccole modifiche ai prodotti già esistenti e i fondi destinati alle ricerche di mercato vengono impiegati per capire quali prodotti i clienti preferiscono fra quelli esistenti. Nei dieci anni dedicati allo studio delle monovolume, non abbiamo mai ricevuto nessuna lettera in cui qualche casalinga ci chiedeva di inventarne una. Per gli scettici questa era la conferma del fatto che non esisteva mercato per questo prodotto.”
A presto per la seconda parte dell’articolo!