Questo articolo è stato scritto da Davide Rubini, padre, surfista e scrittore. Autore, tra gli altri, de Il fischio finale.
Per molti scrivere un romanzo è un’esperienza individuale. Nonostante questo ogni tanto torna alla ribalta qualcuno convinto di poterlo trasformare nel risultato di un esercizio collettivo. Il caso italiano più noto è quello di Wu Ming, ma numerose sono le alternative.
Gli amici de La casa dei sognatori suggeriscono un percorso di editing da parte altri autori che intervengono in più fasi della costruzione di una storia. Scrittura Industriale Collettiva sostiene che i migliori risultati si ottengono mettendo nelle mani di uno o più compositori il lavoro di più scrittori che scrivono tutto e poi si affidano ad un processo di sistematizzazione ex-post. Scrittura collettiva parla di progressivi avvicinamenti alla versione finale di un testo a cui collaborano in molti e che arriva solo quando qualcuno ha il coraggio di bloccare le parole su un supporto materiale. Ad Intertwine sono convinti di poter trovare in piattaforme online lo strumento utile per unire la creatività di molti.
Senza partire da una sintesi metodologica definitiva negli ultimi dieci anni ho completato cinque romanzi scritti a quattro mani con tre compagni di viaggio diversi. Con il tempo ho scoperto che ogni volta tornavo a ripetere gli stessi passaggi. Più o meno consciamente ho cominciato a pensare che la messa a sistema della fatica di più persone potrebbe essere la via necessaria per scrivere testi migliori. Insieme, ho osservato che spesso i limiti di un romanzo hanno a che vedere più con quelli del suo autore che con quelli della storia.
Ho cominciato a parlarne in giro e da più parti ho ricevuto l’incoraggiamento a mettere su carta il mio personalissimo modo di interpretare la scrittura a più mani. A grandi linee questo è quello che al momento mi passa per la testa.
Scrivere è un gioco e i solitari non mi sono mai piaciuti
Quando non costituisce lo sfogo di un tormento o di un momento di rabbia inventare una storia è prima di tutto un gioco. Sto parlando del classico “facciamo che io ero un avvocato londinese in cerca di una nuova missione e tu una ragazza ucraina appena arrivata in circa all’inseguimento di una vita migliore”. Il modo migliore per farlo è andare in ritiro in un bel posto per tre o quattro giorni in due o tre in compagnia di buon cibo e qualche bottiglia di vino e sforzarsi di ripartire con una trama convincente e appassionante da chiudere in un testo di due o tre pagine.
Scrivere è organizzare, maneggiare, palpeggiare
Ci sono scrittori in grado di avanzare in maniera lineare fino al punto finale senza che all’inizio della storia sappiano dove andare a parare. Le mie esperienze di scrittura di gruppo suggeriscono che lavorando a più mani c’è bisogno di una struttura rigorosa. È necessario trattare la trama come un puzzle a soluzione multipla da rimaneggiare fino ad arrivare ad una struttura composta da microcapitoli di circa 250 parole l’uno che gli autori si distribuiscono in vista della stesura. La libertà degli autori resta confinata nella scaletta concordata e nel limite di circa 2500 parole a capitolo, ma all’interno di ciascuna sezione la creatività non ha confini.
Scrivere è soprattutto vederci chiaro
Mentre si avanza con la scrittura del romanzo è bene continuare a sentirsi facendosi crescere la febbre con la continua visualizzazione di quello che nel dettaglio potrebbe succedere in ognuno dei microcapitoli. Telefonarsi mentre si esce dall’ufficio, collegarsi via Skype alle due di notte, creare un gruppo whatsapp in cui condividere ogni epifania serve a vedere la storia prima di metterla in parole. Questo passaggio è necessario per sviluppare un sentire comune rispetto a trama e personaggi, per vedere tutto prima di arrivare al prossimo punto e soprattutto vederlo nello stesso modo.
Scrivere è un esercizio che richiede compattezza esecutiva
Le scadenze sono fondamentali per tenere il passo e far sì che lo tengano tutti gli autori. Se ci si prende l’impegno di scrivere un romanzo a più mani è fondamentale capire fin dall’inizio che non ci si possono permettere ritardi. È così per due ragioni. In primo luogo tenere il passo significa tenere alto il livello di concentrazione necessario per ottenere un testo organico ed equilibrato. In secondo luogo il ritardo di uno degli autori può compromettere la velocità di stesura dei compagni di viaggio e dunque la loro capacità di essere efficaci. La stesura non deve durare più di quattro o cinque mesi.
Scrivere è alla fine una questione di pulizia
A scrittura ultimata si torna insieme, dieci giorni al mare o in montagna per estenuanti sessioni di lettura ad alta voce – anche per dieci ore di fila – a cui deve seguire la distribuzione di compiti specifici per migliorare le parti su cui non si è potuto intervenire durante la lettura. Chi è più bravo con i dialoghi si occupa dei dialoghi, chi va meglio sulle descrizioni si prende a cuore quelle e via di seguito. La revisione deve essere portata avanti senza pietà, tagliando tutto quello che non è strettamente necessario per far stare in piedi la storia. Per questo motivo è necessario scegliere tra gli autori un revisore finale, generalmente il più maturo, perché al posto della penna imbracci l’accetta.
Nulla di scientifico, ma sicuramente delle abitudini testate diverse volte con sempre maggiore rigore e risultati sempre più soddisfacenti. Mi piacerebbe continuare a rifletterci, magari in compagnia di altri autori.