Dall’annuncio di lavoro che l'agenzia di advertising tedesca Jung von Matt ha nascosto in un sito quotidianamente utilizzato da migliaia di designer alle Career Instructions in pieno stile IKEA che la stessa azienda svedese ha inserito all’interno di ogni scatola, spesso aziende grandi e piccole hanno saputo stupirci con strategie di recruiting particolarmente creative.
Mai però avreste pensato che una ricerca su Google, magari nata dalla frustrazione nel non riuscire a risolvere un grattacapo sul lavoro, potesse portarvi a lavorare nella sede del colosso del web: così è successo a Max Rosett, che in un suo post pubblicato su The Hustle ha raccontato come si è guadagnato una scrivania a Mountain View googlando informazioni relative al linguaggio di programmazione Python (... sì, il nome è proprio in onore dei Monty Python, alla cui serie televisiva era molto appassionato l’inventore), che ad oggi rappresenta una delle tecnologie principali del core business di Google.
«But then something unusual happened. The search results split and folded back to reveal a box that said “You’re speaking our language. Up for a challenge?”»
Dopo qualche momento di esitazione Max ha accettato la sfida - al contrario di chi, tra i commenti al suo articolo, sfoga la sua frustrazione per aver chiuso la finestra pensando ad uno scherzo - e, dopo aver cliccato su “"I want to play", ha visto aprirsi sul suo schermo la finestra di foo.bar, un test ormai non più così segreto che uno studente italiano attualmente impegnato al Cern di Ginevra ha provato a sviscerare condividendo anche qualche soluzione:
"Google foo.bar currently consists of 30 problems articulated in eight levels, (...). One of these problems asks to calculate the number of integer points within a triangle (...) another problem asks how much water gets trapped in a given landscape, represented by an array of integers (...). Choosing the right algorithm and implementing it correctly were usually enough to advance to the next level."
Dopo aver risolto sei livelli del test (due in meno degli 8 attuali) entro il tempo limite di 48 ore, Max ha potuto inserire i proprio dati personali e, pochi giorni dopo, ha ricevuto dall’ufficio del personale di Google l’invito ad inviare il proprio CV. Da lì all’assunzione sono passati tre mesi e, come conferma anche il suo profilo Linkedin, da Agosto 2015 Max è un dipendente di Google.
A quanto pare Google utilizza questa tecnica ormai da tempo su termini di ricerca legati a linguaggi di programmazione quali Python e Java. I primi post nei forum di discussione risalgono allo scorso Novembre, quando c’era chi credeva che potesse trattarsi di un’attività promozionale legata a The Imitation Game, il film sul padre dei computer.
Le risposte pervenute ad alcune testate che chiedevano a Google commenti in merito non potevano che essere altrettanto enigmatiche. Mentre alcuni ha dovuto risolvere una stringa di codice che generava come output l’acronimo di “Good Luck, Have Fun!”, altri hanno dovuto interpretare un messaggio in codice con il sistema numerico esadecimale:
u0050u0075u007au007au006cu0065u0073u0020u0061u0072u0065u0020u0066u0075u006eu002eu0020u0053u0065u0061u0072u0063u0068u0020u006fu006eu002e
Traduzione? "Puzzles are fun. Search on".
Non stupisce che le aziende, in possesso di un numero sempre maggiore di informazioni sui propri utenti, sfruttino i dati a loro disposizione non solo per migliorare l’esperienza del cliente ma anche per individuare talenti e selezionare quelli più affini alle strategie di business. Ad esempio pare che Goodreads, social network dedicato ai libri, selezioni i propri dipendenti basandosi anche sui libri che gli utenti aggiungono alla propria libreria.