L'Italian Innovation day 2013, è stata l'occasione per analizzare i nuovi comportamenti degli startupper italiani, sempre più affascinati dal mito del sogno americano applicato alle idee innovative legate alle nuove tecnologie, sull'esempio dei nomi ormai leggendari del panorama web mondiale.
L'11% delle startup italiane analizzate ha deciso di emigrare verso gli States. Questo il dato emerso dalla presentazione di una interessante ricerca sulle dinamiche imprenditoriali in Italia, durante la manifestazione dello scorso marzo organizzata da Mind The Bridge.
La fondazione, nata a San Francisco nel 2007 dalla volontà di Marco Marinucci con lo spirito del “give back” e l’idea di sostenere la crescita di una nuova generazione di imprenditori italiani mettendo al loro servizio le esperienze di chi aveva avuto successo nella mitica Silicon Valley, ha voluto fare il punto sullo stato delle startup nostrane, per evidenziare i vantaggi di uno spostamento all'estero rispetto alle prospettive di creazione d'impresa in Italia.
Ma la Silicon Valley è davvero la miniera d'oro per le startup?
Certamente i famosi esempi positivi di attività iniziate in un garage per poi diventare indiscussi leader e protagonisti del web mondiale ispirano le ambizioni di tutti i giovani startupper, che sognano un futuro a dieci zeri grazie alle loro brillanti idee.
Analizzando più da vicino i dati forniti dal Prof. Onetti, docente dell'Università Insubria di Varese e chairman di Mind the Bridge, emerge come gli italiani siano tra i meno preparati nell'affrontare praticamente la complessità delle operazioni legate alla gestione di un'impresa, specie in fase di sviluppo.
Gli startupper italiani sono sicuramente i più preparati a livello accademico, rispetto ai loro concorrenti internazionali, ma trascurano un percorso formativo finalizzato alla creazione di impresa che in altri Paesi si svolge già in ambito scolastico, tant'è che ben il 59% dei giovani aspiranti imprenditori non dedica almeno sei mesi all'incubazione del progetto di impresa e alla preparazione del suo lancio sul mercato.
Sebbene sia innegabile che negli Stati Uniti le maglie larghe di una burocrazia più snella e di una fiscalità più incoraggiante favoriscano le iniziative di impresa dei giovani, puntare tutto sul mito di un luogo idealizzato come fucina di attività imprenditoriali vincenti, rischia di diventare una moda infruttuosa.
Fondi per le startup: utile risorsa o ultima spiaggia?
D'altra parte, non si può certamente affermare che in Italia la situazione per gli startupper sia dorata, dato che a fronte dei 300.000 aspiranti imprenditori emersi dall'indagine di Italia Startup, l'accesso ad incubatori e fondi per la creazione di impresa diventa l'ultima spiaggia di un Paese in crisi occupazionale che spinge all'autoimpiego come alternativa ad altre forme di lavoro più stabili ma difficilmente raggiungibili.
Una startup diventa davvero di successo solo se costruita e progettata su un'idea consolidata e basata su precisi presupposti finanziari che ne garantiscano una fase iniziale sopportabile dal punto di vista dei capitali. In più è importante che lo sviluppo e la gestione dell'iniziativa di impresa siano accompagnate dall'entusiasmo di chi propone la propria idea, consapevole del suo valore, lontano dall'improvvisazione che a volte caratterizza gli aspiranti imprenditori italiani.
Un ultimo dato poco lusinghiero per le startup made in Italy riguarda le imprese al femminile, che si attestano appena all'11% contro il dato americano che vede le donne impegnate nella conduzione di ben un'impresa su tre.
La fuga dei cervelli, quindi, non riguarda più solo ricercatori e dottorandi, ma oggi sembra investire in maniera sempre più consistente anche startupper e imprenditori, sebbene più che di fuga per necessità rispetto a una mancanza congenita di fondi destinati, si tratti di una vera e propria scelta, inseguendo il sogno di una più facile realizzazione in terra straniera.
Immagini da Italian Innovation Day