Era stata annunciata tra squilli di trombe, fuochi d’artificio e fiumi d’inchiostro sul web e sulla carta (riciclata). Ma Rio+20, la grande conferenza organizzata dall’ONU sui temi ambientali, della green economy e della crescita sostenibile chiude i battenti sulle parole di Samuele Bersani “vorrei, ma non posso”.
Perché tutti vorrebbero parlare e straparlare di green economy, perché fa moda, perché aiuta con l’opinione pubblica. Ma pochi possono, o vogliono, convertire i proclami e le buone intenzioni in parole, in frasi, figurarsi in fatti.
Vorrei... ma non posso
Il segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon ammette che “avrebbe voluto un documento più ambizioso, ma che il consenso raggiunto è comunque importante”.
Sarà, ma fuori dal grande albergo pompato ad aria condizionata (non proprio un inno alla sostenibilità), i rappresentanti delle ONG e della società civile brasiliana chiosano sul fallimento della manifestazione, poco di nuovo rispetto alla prima conferenza sul clima di Rio, appunto, 20 anni fa, che però aveva almeno avuto il merito di avviare i dibattito sul cambiamento climatico.
Rio+20 è stata soprattutto lo scontro tra i paesi ricchi ed i poveri (ma emergenti) del sud del mondo.
I primi, grassi ed affannati, non intendono liberare risorse per sostenere la sostenibilità del paesi poveri, che dal canto loro non intendono scendere a compromessi che possano inibire la propria crescita, quali ad esempio, standard produttivi ed ambientali in linea con i paesi sviluppati.
E poco importa che dossier e studi griffati indichino proprio nell’economia verde, nel risparmio delle risorse, e nella circolarizzazione dei processi produttivi le chiavi della crescita mondiale dei prossimi 30 anni.
Insalata indigesta
I brasiliani, padroni di casa, faticano a non tradire l’imbarazzo di un evento che sembra più un’insalatona mista di buoni (a volte) propositi. Il tutto proprio mentre incalzano le proteste delle popolazioni contro lo scempio, continuato ed inesorabile, della foresta amazzonica, dove la deforestazione continua e si progettano anche le mega dighe, progetti che stravolgerebbero per sempre la natura dei luoghi.
Che cosa è stato ottenuto?
Per la prima volta la definizione della “green economy” entra in un documento ufficiale, si ribadisce l’importanza della tutela degli oceani e delle acque internazionali, sostegni alle rinnovabili.
Può bastare? Certamente no, per 150 milioni di dollari spesi per i preparativi. Si tratta per lo più di misure effimere, generiche, rinviate al futuro.
Il documento finale del vertice ha sostanzialmente ricalcato, e possibilmente sgrossato, la bozza predisposta dagli sherpa e dai negoziatori alla vigilia.
Molte le occasioni perse, per ridurre le emissioni inquinanti ed il consumo delle risorse, in primis l’eliminazione dei sussidi alla produzione e vendita di carburanti fossili.
Gravi anche le omissioni su forste ed ocenani (rinviati al 2014).
Se ci si mette il vaticano...
A scaldare la platea solo alcuni interventi di ospiti illustri e politici, come Hillary Clinton, che ha parlato dei diritti della riproduzione delle donne (ebbe si, a Rio+20 c’è spazio per ogni tipologia di argomento) rivendicando il diritto all’indipendenza ed alla libera decisione del come e quando avere figli e crescere la propria prole.
Un “woman must have the power” capace di unire i cuori e destare i vecchi diplomatici dal torpore di un pomeriggio di luglio, ma anche di far sobbalzare dalla sedia gli emissari del vaticano, al punto da spingerli a tessere un’improbabile ragnatela di veti incrociati (ad esempio con i paesi musulmani più conservatori) per lo stralcio della nota, che forse sapeva un po’ troppo di un via libera all’aborto.
Per fortuna che nessuno ha proposto la bibbia in carta riciclata.