Se sei uno startupper e il tuo sogno di una vita é quello di sbarcare nella Silicon Valley avrai sicuramente avuto a che fare con le rigide leggi sull’immigrazione applicate negli Stati Uniti.
L’ingresso e la permanenza sul territorio statunitense, a meno che tu non sia un turista, passa attraverso il rilascio da parte dell’Ufficio Immigrazione Americano (USCIS) della Visa. Il possesso della Visa ti concede, oltre al permesso di residenza temporanea sul territorio statunitense, anche la possibilità di costituire dei formali rapporti di lavoro, di stipulare contratti o di ricevere finanziamenti.
Ad oggi si registrano differenti tipi di Visa per chi vuole trasferirsi a lavorare negli Stati Uniti, alcuni di questi riassunti nell’ottimo articolo di Stefano Passatordi al quale vi consigliamo di dare uno sguardo. Una in particolare ha attirato la nostra attenzione, sia per i modi in cui è avvenuta la discussione, sia per la rilevanza che essa, una volta approvata, può avere sui nostri startupper che intendono trasferirsi nella tanto amata Silicon Valley: ovvero la Startup Visa.
Tutto inizia con un disegno di legge presentato il 24 febbraio 2010 dai senatori John F. Kerry e Richard G. Lugar che, in seguito alla pressione di alcuni protagonisti dello scenario startup americano ed in particolare di Paul Graham e Brad Feld, decidono di modificare i requisiti di ingresso degli imprenditori immigrati, allargando i criteri di assegnazione della Visa a coloro che potessero beneficiare di un finanziamento minimo di 250.000$ effettuato da parte di un investitore statunitense qualificato. Viene in questo modo introdotto lo StartUp Visa Act 2010.
Il presupposto sul quale si fonda il cambiamento introdotto dal primo disegno di legge Kerry-Lugar poggia sugli effetti negativi che la politica di immigrazione statunitense provoca in termini di competitività, innovazione, creazione di posti di lavoro ed introiti derivanti dalla tassazione.
Una ricerca effettuata dal Bloomberg Businessweek rivela difatti che il 25,3% delle imprese, nate in America tra il 1995 e il 2005 nel settore delle ICT, sono state create da persone immigrate negli Stati Uniti ed hanno sviluppato un giro di affari di circa 52 bilioni di $ creando 450.000 posti di lavoro. Con questi numeri è chiaro che la politica statunitense si sia preso carico del problema cercando di preservare il capitale economico e tecnologico che gli startuppers immigrati apportano all’economia statunitense.
Il disegno di legge iniziale viene successivamente migliorato in seguito anche ai perfezionamenti suggeriti da altre personalità dello scenario startup americano. In particolare dopo un articolo apparso su TechCrunch a firma Vivek Wadhwa i requisiti per la concessione della Visa scendono a 100.000$ di finanziamento minimo effettuato da un investitore qualificato. Per ottenere il rilascio della Visa l’imprenditore avrà dovuto sviluppare, nei successivi due anni, cinque posti di lavoro e 500.000$ in finanziamenti o in fatturato annuale.
A questo punto mi sembra inutile dire quanto gli Stati Uniti possano rappresentare un esempio da seguire per dialogo e concertazione tra gruppi di interesse e classe dirigente ma soprattutto per i risultati che un tale approccio alla politica possono apportare.
Ad oggi lo scenario complessivo della campagna per la promozione del disegno di legge è sintetizzato sul sito startupvisa.com al quale vi consiglio di dare uno sguardo. Non vi nascondo che ho provato a supportare la proposta tramite Votizen ma purtroppo richiede la residenza negli USA e mi sono dovuto accontentare di un semplice ma sicuramente efficace tweet: Yes, I support #startupvisa!!