Una mattina come tante, una donna, che può essere una mamma, una moglie, ma che nel suo posto di lavoro dovrebbe essere solo una professionista, si ritrova a vivere un’esperienza come tanti, come troppi giovani in questa società e in questo paese negli ultimi anni.
Paola Caruso, giornalista da 7 anni lavora per la redazione del Corriere, e vista la crisi in cui imperversa Visualizza articolola sua redazione, attende solo di poter migliorare le sue condizioni contrattuali, dato che si tratta di un co.co.co con scadenza annuale. Qual è l’unico modo per cambiare, per farsi assumere? Farsi notare. Sei brava prima o poi arriverà il tuo turno.
Ma una mattina quando si libera una posizione a tempo determinato a causa delle dimissioni di una collega, quel posto tanto sognato e atteso va ad un “pivello di un master in giornalismo”.
Quando Paola chiede spiegazioni alla sua redazione, il motivo per cui non offrissero quella opportunità a lei a ai tanti precari che da anni lottano e si sacrificano, la risposta è stata.
“Tu non sarai mai assunta”!
Una storia come tante, un’ingiustizia come tante altre nel nostro Paese, allora perché decidiamo di parlarne! Il motivo è semplice: Paola ha deciso di protestare e far sentire la propria voce.
Ma anche questo secondo elemento della storia non sembra tanto insolito, molti decidono di ribellarsi alle proprie condizioni lavorative, ma Paola ha individuato uno strumento insolito, ha scelto di usare la Rete!
Attraverso il suo blog tumblr “Diario di uno sciopero” racconta la sua storia e la scelta di iniziare uno sciopero della fame e della sete per protestare contro il suo datore di lavoro, il Corriere della Sera.
La blogosfera ha lanciato e continua a lanciare messaggi chiari e diretti, tutti siamo come Paola! Tutti noi giovani precari ci sentiamo sottovalutati, sfruttati e nonostante i sacrifici e spesso le notevoli competenze, ci viene riservato un trattamento da collaboratori occasionali. Il sentimento diffuso di rabbia e sconcerto stimola la nascita di un movimento pronto a dire basta.
Amici, conoscenti, estranei, giovani precari, tutti stanno facendo sentire la propria voce attraverso i canali della rete, Twitter con un hashtag #iosonopaola, un gruppo su Facebook, la creazione di un wiki sull’evoluzione della vicenda, molti blogger hanno deciso di oscurare il proprio blog per far emergere solo la voce di Paola, come macchianera, paolo valenti e darkaplles e su friendfeed nasce il gruppo “Io sono Paola”.
Appelli di solidarietà, articoli di informazione, il movimento e la lotta partono dalla rete. L’analisi si incentra non solo sulle enormi opportunità di diffusione delle notizie e quindi della relativa possibilità di condividerle, ma nasce l’esigenza di dare un nome a questo movimento. La blogosfera impone una controinformazione solida e partecipativa, che non si identifica nell’informazione delle nostre testate nazionali.
Oggi in prima pagina leggiamo articoli di politica, di cronaca, ma anche notizie legate al mondo delle donne, ma a quali donne? Donne come Ruby che ricevono cachet da star per fare ospitate nei locali milanesi!Nessun tg nazionale parla di una donna, una giornalista, ma soprattutto una professionista che lotta oggi per affermare i suoi diritti e per dar voce al popolo dei precari!
Il popolo della Rete ridefinisce l’agenda dei nostri tg, esplicitando un interesse per notizie diverse da quelle che vengono diffuse quotidianamente attraverso i media, riscrive la scaletta, ridefinisce i palinsesti e offre una seconda lezione : la democrazia del confronto e del contradditorio. Un blogger non vede chiarezza in questa protesta, dissente dal messaggio di Paola e dell’intera rete, come è uso comune in Italia, cercando del marcio, e il suo blog viene diffuso, commentato, criticato, sostenuto.
Nel frattempo la storia continua. Il secondo giorno dello sciopero gli amici convincono Paola a bere, almeno per riuscire a stare in piedi e a continuare la sua battaglia. Sul suo blog c’è un’immagine di una bilancia con il suo peso, l’evidente dimagrimento dopo due giorni di sciopero.
Si parla del movimento di protesta nato e diffuso in rete come di una reazione scatenata da un’ondata emotiva di solidarietà, io credo che questa spiegazione sia banale e riduttiva.
Come persone che lavorano nel settore marketing, come giornalisti, come esperti o amanti degli strumenti social o come semplici cittadini, non possiamo banalizzare un evento di tale importanza.
La possibilità di lanciare una battaglia, di farsi ascoltare, di creare condivisione, di stimolare opinioni anche differenti e opposte è una lezione di giornalismo, ma anche della grande opportunità offerta da un utilizzo etico e consapevole degli strumenti social.
E oggi mi sento di dire che siamo testimoni di un nuovo modo di fare informazione, una nuova modalità di scuotere le coscienze, sottovalutare questo fenomeno, ignorarne il valore sociale e linguistico, potrebbe voler dire creare una spaccatura definitiva tra i contenuti imposti dall’alto e la forza creativa generata dal basso.