Il nome del secondo album di Lady Gaga, Fame Monster, è uno di quei classici titoli che si propone di leggere la società. Legge quindi anche le dinamiche dei consumi postmoderni, inserite in uno scenario dove i prodotti si snaturano dai propri confini materiali, per ottenere il ruolo di attori protagonisti sulla ribalta scenica dell'economia esperienziale.
Lady Gaga ha non solo introdotto la performance art nella musica pop, ma ha anche definitivamente sdoganato il music video product placement.
Così, in uno sconfinare quasi naturale dal punto di vista estetico ed artistico, i prodotti sono immersi non più solo nei blockbuster movie ma anche, e sempre più di frequente, nei videoclip musicali. Si tratta di un percorso, quello del product placement, che inizia con Andy Warhol, passa per Matrix e Sex and the City, per continuare oggi nelle rappresentazioni visive della musica. Sempre alla ricerca del difficile equilibrio narrativo tra espressione artistica e pubblicità.
Prendiamo Bad Romance di Lady Gaga, dove compaiono casse wireless Parrot di Philippe Starck, calici di vodka Nemiroff, controller Wii, occhiali Carrera e tacchi traballanti direttamente dalla passerella di Alexander McQueen. Anche un trench Burberry, ma solo i più attenti riusciranno ad intravederne la trama a scacchiera.
Individuare queste opportunità di matching tra il target dei prodotti e quello dei musicisti, tra identità di marca ed identità dell'artista, sta diventando la core competency di molte agenzie di comunicazione, tra le quali spicca la Kluger Agency di Los Angeles. Quest'ultima poi compie un passo in più, scorporando dal music video product placement l'attività di brand dropping, ossia la gestione delle citazioni di marche nelle lyrics delle canzoni- cosa che avviene specialmente nel rap e nell'hip hop, generi che hanno la cultura del possesso e dell'aspirazione sociale nel loro DNA - o addirittura nei titoli delle canzoni (ad esempio, My Adidas di Run-DMC).
Spesso il brand dropping deriva da scelte artistiche spontanee, ma ad esse si affiancano oggi precise strategie di branding, regolate da accordi commerciali. E' il caso di Rudebox: nel testo Robbie Williams gioca con le rime tra Semtex, Durex, Playtex, TK Maxx ma poi nel video indossa capi Adidas Original e canta "Rock three stripes, not the Asics - A.D.I.D.A.S.".
A favorire il trend in questi anni vi è sicuramente il diffondersi di strategie di lifestyle branding e di band ed artisti in grado di assecondare le logiche di segmentazione intermercato e di rivolgersi ad un target culturalmente e tecnologicamente omogeneo, seppur geograficamente lontano. I gotta feelin' dei Black Eyed Peas, che deve la sua popolarità anche alla viralità del video sul flash mob organizzato a Chicago per l'Oprah Winfrey Show, indica chiaramente i prodotti che Fergie, Will.I.Am. & co. usano per organizzare e vivere la festa rappresentata nel video: Nokia N97, cosmetici MAC e netbook HP Vivienne Tam Edition.
L'universalità della musica sembra dunque essere il nuovo linguaggio attraverso il quale veicolare prodotti, consolidarne il posizionamento e la personalità di marca. Questo fenomeno sicuramente evidenzia da un lato la necessità per l'industria discografica di scovare fonti alternative di ricavi, dall'altro il bisogno dei brand di assicurarsi una visibilità ed un'esposizione senza precedenti, rafforzando al contempo le associazioni sensoriali, emotive e relazionali della marca attraverso strategie innovative.