Che i Social Network stiano cambiando le nostre abitudini è un dato di fatto evidente per chiunque li utilizzi un minimo. Che essi stiano anche modificando il nostro modo di percepire il mondo e ricevere informazioni su di esso è chiaramente dimostrato dagli ultimi fatti di cronaca (per l’Italia basti pensare al terremoto in Abruzzo).
Ora pare che i vari Facebook, Twitter e compagnia bella stiano effettuando un ulteriore passo nel loro perfetto inserimento nell’ambito della società contemporanea.
A metà aprile Amazon, uno degli e-shop più grandi del mondo, aveva messo un filtro che escludeva di fatto dai suoi cataloghi più di 50.000 libri con argomenti o autori omosessuali. Scrittori del calibro di Gore Vidal, James Baldwin e E. M. Forster non erano più rintracciabili nella classificazione della libreria virtuale.
Ufficialmente, la decisione era stata presa perché i libri contenevano materiale per adulti e i filtri servivano a non molestare la sensibilità della base di clienti di Amazon. Ovviamente la cosa non è sfuggita agli utenti del sito, che non hanno preso affatto bene la mossa della più grande biblioteca online del pianeta.
E qui arriviamo al punto che più ci interessa. Se a bandire i libri gay fosse stata una biblioteca comunale, probabilmente i cittadini in disaccordo con tale decisione si sarebbero riuniti davanti alla sede per protestare contro i responsabili.
Stavolta, invece, la protesta non si è svolta dinanzi ai cancelli della sede fisica di Amazon. Contro la censura si sono mobilitati Facebook e Twitter, oltre ovviamente a numerosissimo blogger sensibili all’argomento. E così intorno a Pasqua il tag più ricercato su Twitter era Amazonfail (più o meno traducibile in "figuraccia di Amazon"), mentre su Facebook fioccavano i gruppi che invitavano ad inondare Amazon di mail di protesta contro la censura.
Di fronte alle proporzioni di una protesta che si faceva via via più imponente, Amazon cambiava la propria versione ufficiale, comunicando che si era trattato di un grossolano disguido di classificazione.
A seguito dell’inevitabile sarabanda di voci incontrollate e improbabili che circolavano per il web (dall’attacco di un gruppo di hacker africani all’errore di un impiegato francofono che avrebbe sbagliato la scelta delle tag a causa della scarsa conoscenza dell’inglese), Amazon rinnova le scuse e decide di rimuovere i filtri, rendendo di nuovo rintracciabili i libri della discordia in cataloghi e classifiche.
Probabilmente, senza la mobilitazione dei Social Network, molte persone non sarebbero neanche venute a conoscenza del filtro di Amazon e i libri sarebbero ancora censurati. Si tratta di una dimostrazione di quanto mezzi come Facebook e Twitter possano funzionare da sistemi di informazione e contemporaneamente di aggregazione per portare avanti istanze e proteste comuni da parte dei propri iscritti.
Ma dalla Moldavia arriva una notizia che, se possibile, rende in maniera ancora più efficace la portata del fenomeno di cui stiamo parlando. Proprio nello stesso periodo in cui, in tutto il mondo, cresceva la protesta nei confronti di Amazon, sui Social Network dell’ex repubblica sovietica montava un altro tipo di malumore, per certi versi molto più serio.
Stiamo palrando di una forte protesta nei confronti del Partito Comunista Moldavo, giunto al potere dopo elezioni politiche giudicate da molit poco chiare.
Il 7 Aprile, un gruppo di attivisti ha assaltato l’ufficio del Presidente e il Parlamento, cercando di occuparli. Contemporaneamente, una folla di manifestanti si è radunata nella piazza principale della capitale moldava Chisinau.
Il tutto è stato organizzato grazie a comunicazioni attraverso Twitter, Livejournal e Facebook. Dall’account di #pman (acronimo di Piaţa Marii Adunări Naţionale, nome della piazza principale della capitale) sono stati diffuse numerosissimi tweets che facevano notare, fra l’altro, come le autorità avessero tentato di bloccare le proteste bloccando la copertura dei telefoni cellulari nel centro della città.
Gli attivisti hanno utilizzato anche Cloudapp, un aggregatore che serve a riunire in un’unica pagina web messaggi di Twitter, post sui blog, video e fotografie. Su Livejournal (social network molto utilizzato nei Paesi dell'Est) è parecchio attivo il gruppo I am an Anti-Comunist, che però attraverso una delle organizzatrici, Natalia Morar, ha dichiarato di non avere nulla a che fare con le manifestazioni di violenza.
Nel corso degli scontri, molti utenti lanciavano i loro tweets con aggiornamenti in diretta dal centro di Chisinau, informando i lettori sulla situazione e sui movimenti delle forze dell’ordine.
Nei giorni successivi la Rete (specialmente quella dell’Est europeo) si è interrogata sull’importanza di questa protesta. È interessante notare come sia venuta fuori l’impressione che probabilmente quest’ultima sia stata più importante per il modo in cui è stata organizzata, attraverso i social network, che per i motivi che l’hanno generata e i risultati ottenuti.
La conclusione è che i Social Network possono essere utilizzati non solo per organizzare forme di aggregazione e protesta relative a problematiche interne alla rete, ma anche come media e mezzi di comunicazione. Essi possono mettere in contatto persone che vogliono organizzare azioni reali e concrete, sia in fase di organizzazione che durante e dopo la protesta stessa.
Si tratta di un fenomeno per certi versi prevedibile, visto che proprio per la natura dei social network, ovvero reti che mettono in contatto persone, essi si prestano facilmente ad essere utilizzati per scopi politici o comunque per portare avanti un qualsiasi tipo di movimento.
Ciononostante, questo tipo di utilizzo dei social media ci dovrebbe far riflettere, più che sulla loro natura, sull’importanza che essi stanno assumendo nella società contemporanea e nella nostra quotidianità.
Non si tratta più di uno svago con cui giocare nel tempo libero, ma di un qualcosa che sta forse, se non sostituendo, perlomeno affiancando i media e i mezzi di comunicazione ai quali eravamo abituati fino a non molti anni fa.
E in futuro anche le modalità di partecipazione alla vita politica e perchè no alla vita democratica potrebbero cambiare. Questo sempre che qualcuno decida di limitare in qualche modo le attività di social democracy. Voi che ne pensate?