
Ma negli ultimi tempi, diversi esperimenti hanno riguardato le possibilità nuove di una storiografia condivisa e sono stati portati avanti tentativi di sharing aneddotici intorno a cui costituire documentazione per sviluppare visioni storiche. E se le cose sono messe su questo piano, allora noi di ninja ci interessiamo anche di storiografia.
Un esperimento degno di nota è quello del quotidiano tedesco “Der Spiegel” con uno spazio web sul proprio sito, in cui tutti gli utenti possono lasciare una testimonianza e scrivere aneddoti che riguardano le loro microstorie durante i granitici anni ’80. Tali storie, come tutti i migliori e peggiori scrittori d’assalto sanno, sono gocce nel mare della Storia con la “S” maiuscola (sì, esageriamo col populismo).
Nella stessa direzione si è mosso il Museo virtuale della memoria collettiva che chiedeva al pubblico di mandare testimonianze scritte, orali, acustiche, fotografiche per organizzarle in aree tematiche.
E in maniera più strutturata e dinamica qualcosa di analogo accade in Memoryshare, allestito dalla Bbc. I singoli contributi possono essere uplodati in spazi appositi e poi ricercati attraverso keywords, ambiti di interesse e prossimità e per data.
La domanda che si pone dopo la presa visione di queste iniziative è: che valore ha una storiografia 2.0 che punti allo sharing dei ricordi e alla co-creazione di una memoria collettiva?
Questi esperimenti sono alla base di una visione parallela della scienza storica oppure è aneddotica da prendere con le molle?
In che modo lo storico deve avvicinarsi a questi documenti/testimonianze e attraverso quali filtri di senso usarli per le sue ricerche?
Queste sono domande a cui gli uomini di marketing possono ipotizzare risposte, anche se è chiaro che sono le parole degli storiografi a poter dire qualcosa di più profondo e credibile. Il problema della discriminazione dei fatti, polemica che subito salta alla mente, è reale fino a un certo punto. Le testimonianze, le foto e le registrazioni personali sono sì uno specchio troppo conforme di un’epoca e di un tempo, ma attraverso di loro, i fili della storia, pensiamo noi, possono essere tirati verso qualche spiegazione possibile.
Siamo in pratica d’accordo con Chiara Somajni, che sul Domenicale di questa settimana ha scritto: “Il problema non risiede nel singolo mezzo di comunicazione, ma negli strumenti di analisi e di organizzazione dei contenuti impiegati. Navigare nel mare degli aneddoti in rete ha senso se c’è massa critica sia nel loro numero sia nel numero di chi li fruisce e valuta (a beneficio collettivo); cui è da aggiungere la ricchezza di strumenti critici, storici e delle fonti che possono essere direttamente linkati”.
Una storiografia 2.0 è possibile, basta capire gli strumenti e le modalità di approccio ad una nuova mole di materiale, potenzialmente immensa ma dalla quale carpire il gusto del tempo.











