Simone Lenzi aveva 19 anni e studiava Marketing all’Università Bicocca di Milano.
Simone Lenzi era un ragazzo che, come tutti i ragazzi della sua età, il sabato sera usciva con gli amici per far serata e divertirsi: locali, pub, discoteche e tanta voglia di sorridere alla vita e abbracciare l’umanità intera.
Simone Lenzi è morto la notte tra Sabato 10 e Domenica 11 Marzo 2007 sull’Autostrada dei Laghi, che a conclusione della serata passata in giro per Milano a divertirsi con gli amici, lo avrebbe riportato a casa, ma così non è stato, purtroppo.
L’intento di questo post vuol essere commemorativo in un certo senso – ed è inevitabile che lo sia -, ma, allo stesso tempo, vuole portare ad un momento di riflessione e meditazione sulla fragilità della nostra effimera vita e, soprattutto, sulla natura della nostra socialità, su cosa essa si fonda e di cosa essa si alimenta, di tribù in tribù, di persona in persona.
Sono diversi i motivi che mi hanno spinto a scrivere di Simone Lenzi, questo ragazzo diciannovenne che ha perso la vita al ritorno da una delle tante serate passate in giro con gli amici a divertirsi per le strade e i locali di Milano.
Un motivo è stato senz’altro il fatto di apprendere che Simone studiava Marketing all’Università Bicocca di Milano e che quindi sarebbe potuto diventare un esimio collega, o forse anche no, ma a piace credere nelle persone.
Un altro motivo è stato sicuramente il fatto di sentirmi – anche se all’anagrafe non più - coetaneo di Simone. Ho ventisei anni e il sabato sera anch’io vado in giro per la città girando di locale in locale alla ricerca di qualche bella serata di musica live o di qualche bel Dj Set che passi buona musica: posso dire di aver condiviso con Simone, così come faccio con tantissimi altri ragazzi e ragazze, questo bel momento di vita.
Un altro motivo ancora che mi ha spinto a scrivere questo post è l’alcol, o meglio, l’uso che se ne fa, e il fatto che, in realtà, Simone sia morto non perché la macchina sulla quale viaggiava si è cappottata, ma perché, quando è uscito da quella macchina cappottata per mettersi in salvo, è stato investito da un’altra macchina che sopraggiungeva a velocità sostenuta: la ragazza che ne era alla guida era ubriaca, abbastanza ubriaca da non accorgersi in quel momento di aver investito due persone – l’altra persona è una ragazza che ora si trova in prognosi riservata – e averne uccisa una sul colpo.
Personalmente non sono minimamente nella posizione di poter puntare il dito contro nessuno.
Sicuramente non posso e, ancor più importante, non voglio – e non concepisco neanche la possibilità di – puntare il dito contro nessuno degli attori in scena in questa tragica commedia del sabato sera che oramai si ripete inesorabile ogni fine settimana sulle strade di tutta Italia. Potrebbe toccare anche (a) me, mai dire mai.
Il momento di vita sul quale voglio porre l’attenzione è quello del sabato sera, prendendolo a spunto per far riferimento anche a tutti gli altri giorni della settimana e delle nostre esistenze più in generale.
Il sabato sera in discoteca, nei locali, nei pub, nei disco-pub, nei ristoranti e, più semplicemente, per strada e nelle piazze, giovani e meno giovani fanno uso di sostanze alcooliche e stupefacenti. Chi più, chi meno, l’uso è molto diffuso. Tra hashish, marijuana, cocaina, anfetamine, droghe sintetiche varie e alcol - tanto tanto alcol - la notte dei giovani e meno giovani assume sempre un’atmosfera di caos, follia, sfrontatezza, strafottenza, divertimento incondizionato, comunione nello stato di ebbrezza e condivisione della sensazione di sconvolgimento.
Le tribù dei giovani e meno giovani, il sabato sera, vivono dei momenti di vita particolari – come tutti i momenti di vita del resto – legati e incentrati in grandissima parte sull’uso di stupefacenti e alcol, sia in locali al chiuso che nelle piazze all’aperto. Questa è la verità, questo è lo stato di fatto delle cose. Se vogliamo prenderne atto ed analizzare la questione alla luce del sole e senza mezzi termini forse riusciamo a gettar luce su qualche aspetto nascosto – o meglio non conosciuto – del nostro modo di socializzare e, soprattutto, di nutrire la nostra socialità.
Le leggi che vengono dall’alto stabiliscono pene severe per chi guida in stato di ebbrezza. L’art. 186 del Codice della strada stabilisce che:
“E’ un reato di competenza del Tribunale, e non del Giudice di pace, e prevede l’arresto fino a 1 mese, un’ammenda da 258 a 1.032 Euro oltre che la sanzione amministrativa della sospensione della patente ( da 15 giorni a 3 mesi se non si è recidivi ). Per questo tipo di reato è prevista anche la sottrazione di 10 punti sulla patente ( il doppio per i giovani che hanno preso la patente dopo l'01.10.2003 e da meno di 3 anni ).”
L’etilometro è imperdonabile e la legge parla chiaro: se sei ubriaco, sei ubriaco e basta !
Perché, mi chiedo io, aspettare che ragazzi e ragazze arrivino ubriachi al vaglio dell’etilometro ? Questa non è prevenzione, a mio parere, questa si chiama penalizzazione tramite deterrente economico/sociale.
Io non credo, non ho mai creduto e non crederò mai, che una multa, il possibile arresto, la decurtazione dei punti e un accurato controllo medico per monitorare le abitudini alcoliche siano e potranno mai essere i migliori consiglieri del guidatore a prova di etilometro. Secondo me, la prevenzione – che d’ora in poi non chiamerò più così – sta in ben altre cose.
Secondo me, la trasformazione della socialità – legata all’alcol – non sta negli stili di vita, ma nei momenti di vita.
Non si può prevenire qualcosa quando è già accaduto, ma, al contrario, si può nutrire, coltivare e provare a realizzare il desiderio di voler trasformare i cerimoniali, il loro senso e gli oggetti di culto dei quali le tribù giovani e meno giovani si nutrono. L’alcol – così come le droghe, quasi tutte – è un connettore, nonché un catalizzatore, di socialità allo stato puro. Tutti i tipi di bevande alcoliche che si conoscono sono legate ad un ‘immaginario collettivo: ogni whiskey, ogni rhum, ogni cocktail, ogni long drink, ogni birra e ogni tipo di vino muovono tutti un grossissimo carico di senso. Si capisce molto di una persona da quello che beve, o che non beve. ( Per dirne una, Sergio Caputo in un suo album consigliava quale tipo di cocktail sorseggiare per ogni brano del suo disco. )
Interpretare i codici di comunicazione delle tribù, il senso condiviso attraverso il quale percepire e interpretare la realtà e i momenti di vita, gli oggetti tribali e di culto creati ex novo o ri-adattati da qualche altra tribù, lo slang e tutti i linguaggi affini che consentono di conversare tra pochi sentendosi allo stesso tempo parte di un movimento più grande e condiviso.
Fino a quando la Comunicazione di Ministeri e Polizia rimarrà preventiva, le stragi del sabato sera continueranno a mietere vittime, ovunque e sempre.
Entrare nelle tribù, tutte le tribù, da quelle che affollano le discoteche a quelle che vivono i centri sociali, da quelle che rimangono in casa a sbevacchiare allegramente a quelle che calpestano i pavimenti delle piazze, da quelle che siedono ai tavoli di ristoranti, trattorie e pizzerie a quelle che si nutrono di birra, panini, piadine e patatine nei pub e caffè vari.
Le giuste domande da porsi, a mio avviso, sono: perché tutti facciamo uso di alcol – sempre chi più, chi meno e chi per nulla proprio – quando partecipiamo della vita delle nostre tribù ? Perché l’alcol ha questo ruolo centrale e preponderante nei cerimoniali delle tribù di giovani e meno giovani ? Perché il sabato notte a Milano – come ovunque – giovani e meno giovani sono tutti m’briachi e strafatti ?
Anche chi è astemio, non beve per nulla o beve con tutta la moderazione di questo mondo, ha attorno a sé persone che celebrano l’alcol come rituale, e allo stesso tempo, oggetto di culto del loro sabato-momento-di-vita.
Le tecniche di marketing e di comunicazione, convenzionali o non-convenzionali che siano – tanto come dice Alex: “esiste un solo marketing, quello che funziona !” - possono e devono andare al di là della mera dimensione del mercato. In ultima istanza, le tecniche di marketing nascono proprio dall’osservazione del quotidiano e della quotidianità, ed è proprio lì che devono ri-tornare.
Le Tribù siamo noi, la Comunicazione siamo noi e, il sabato sera sulle strade, siamo Noi a morire.
A me piace credere nelle persone ed è per questo che saluto con un immenso inchino Simone, perché anche se non ci conoscevamo, abbiamo sicuramente condiviso lo stesso momento di vita, quello del sabato sera. A me piace credere nelle persone ed è per questo che non punto il dito contro la ragazza che ha investito Simone, perché anche lei ha vissuto il nostro stesso momento di vita, quello del sabato sera. A me piace credere nelle persone, altrimenti, non saprei neanche da dove cominciare a pensare di poter minimamente trasformare, nella mia piccolissima tribù di riferimento, il rituale del sabato sera.
La prevenzione va bene per curare le abitudini legate ai vecchi stili di vita. La trasformazione, invece, altera gli animi della gente perché punta ad instaurare tra le persone – e tra le tribù – dei rapporti più profondi e sensibili perché basati sulla condivisione di un culto e di un oggetto in comune. La conversazione e la condivisione di riti, cerimonie e oggetti di culto possono portare alla trasformazione dei comportamenti assunti dalle persone in ogni singolo, differente e peculiare momento di vita.
Ciao Simone, un abbraccio da parte di tutto il Clan dei Ninja.