Ecco cosa mangeranno gli astronauti che sbarcheranno su Marte

Sulla Stazione Spaziale Internazionale, mangiare non è troppo difficile. Varie merci vengono consegnate almeno una volta all’anno, tra cui gli alimenti standard e qualche bonus concesso agli astronauti. Anche le diverse nazionalità degli occupanti contribuiscono a una certa diversità culinaria.

Ma i sistemi alimentari attualmente in uso sulla ISS sono progettati solo per missioni fino a 12 mesi. Una missione su Marte, prevista dalla Nasa per il 2030, avrà invece una durata prevista di almeno tre anni. Ecco gli aspetti che saranno fondamentali per garantire la sopravvivenza e la piena operatività degli astronauti.

Conservare il cibo su Marte

La salute è ovviamente la prima preoccupazione, enfatizzata dal fatto che nel piccolo equipaggio di una nave spaziale il malore o l’intossicazione alimentare di uno dei membri avrebbe un impatto non da sottovalutare, non essendoci sostituti. Ancor peggio, se il problema si diffondesse tra i membri dell’equipaggio nell’ambiente ristretto della nave spaziale, l’intera missione potrebbe essere a rischio.

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Per ridurre questo rischio, attualmente sulla ISS (International Space Station) vengono impiegate buste di cibo liofilizzato. Gli alimenti che non possono essere congelati sono termostabilizzati per distruggere eventuali microrganismi. In questo momento, il cibo termostabilizzato viene confezionato, posto in una camera sterile e riscaldato con vapore a oltre 100 gradi centigradi per 20 minuti.

Per un viaggio su Marte questo potrebbe non bastare, poiché la durata della conservazione dovrebbe essere pari ad almeno cinque anni, mantenendone le qualità nutrizionali e la presenza di vitamine (che degradano reagendo con l’ossigeno). Per questo vengono oggi testati nuovi tipi di imballaggi resistenti all’umidità e all’ossigeno, nonché delle modifiche al processo di termostabilizzazione.

Cibo spaziale vario e calorico

Un’altra sfida da non sottovalutare è la creazione di un’ampia varietà di cibo e gli impatti che può avere sull’apporto calorico. Gli astronauti rimangono uomini, e sono soggetti ad una naturale propensione alla varietà di alimenti. La scarsità di scelta può portare a un vero e proprio “affaticamento”, che porta le persone a mangiare solo lo stretto necessario quando il menù non li stimola.

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Già sulla ISS questo non è sufficiente, poiché gli scheletri degli astronauti non sostengono più i loro corpi nella microgravità ed questi tendono dunque a perdere ossa e massa muscolare. Per contrastare questo fenomeno la soluzione è l’attività fisica quotidiana: occorre dunque consumare alimenti ricchi di calorie in grado di supportare questo rigoroso regime di esercizio.

Per mantenere elevate le prestazioni dell’equipaggio si stanno esaminando due tecnologie: lavorazione ad alta pressione e sterilizzazione a microonde. I vantaggi di queste due tecnologie sono racchiusi nel contenimento del danno termico. In teoria, se si applica meno calore o per un periodo di tempo più breve, i nutrienti si degradano in misura minore, persistendo a una soglia accettabile anche a distanza di anni. Oltre a questo, si conservano maggiormente anche colore, consistenza e sapore.

Il fattore psicologico

Nel lungo viaggio verso Marte, entra in gioco un altro fattore: le radiazioni presenti nello spazio profondo. I loro effetti sono al momento sconosciuti e non replicabili sulla Terra. Alcuni test sono stati fatti sulla ISS, ma le radiazioni presenti nell’orbita terrestre bassa sono molto diverse da quelle fuori dall’atmosfera Terra. Risultati migliori potrebbero essere ottenuti inviando del cibo in orbita attorno alla Luna.

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Anche per questo motivo non sono previsti grandi contributi da eventuali coltivazioni marziane, se non quelli, assolutamente da non trascurare, sul fronte psicologico.

Proprio il fattore psicologico è un deterrente per altre soluzioni che comprendono l’uso alimentare di insetti, feci (!) o il ricorso alla stampa 3D, non conveniente anche dal punto di vista economico.

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Anche a 400 km dalla Terra, insomma, le abitudini restano, e una piacevole pausa pranzo più fare la differenza tra il successo o l’insuccesso di una missione. Lo può testimoniare anche Samantha Cristoforetti, che grazie al progetto ISSpresso ha bevuto il primo caffè espresso in condizioni di microgravità definendolo “La più bella sospensione organica mai ideata”.

Doubleharken

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