Abbiamo già accennato all’uso dei microcopy parlando dell’UX Writer, ossia chi si occupa di queste piccolissime parti di testo collaborando con ux designer, sviluppatori, esperti marketing e copywriter. Ma cosa è davvero il microcopy e perché è tanto importante da dedicargli una professione?
Il microcopy corrisponde a tutti quei messaggi di contatto con l’utente che, insieme al design, lo guidano e assistono aumentandone l’esperienza di navigazione, gioco, acquisto. Il microcopy parte quindi da una conoscenza dell’utente, attraverso analisi e raccolta dati, segue uno specifico tone of voice del brand, aggiungendone personalità e ha l’abilità di ridurre “l’attrito” e la frustrazione che viene a crearsi ad esempio in form mal compilati, in indirizzi url sbagliati o in tempi di caricamento lunghi.
Il microcopy inoltre sfida la pigrizia dell’utente portandolo a concludere determinati step e azioni, che potrebbero coincidere con una transazione eseguita, un rilascio di contatti o la fine di un videogioco.
Il microcopy avrai capito dagli esempi è praticamente ovunque online (ma anche offline), nei siti web, app, videogame, software e vocal device. È presente ad esempio nei form, nei messaggi di errori, di benvenuto, nelle schermate di pausa dei videogame, nelle pagine 404.
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Pensa che Dropbox ha nella sua interfaccia oltre 27.000 messaggi (e il primo libro di Harry Potter ha poco più di 6600 frasi)!
Facciamo un esperimento, pensa alla tua app o software preferito e prova ad analizzarlo secondo le caratteristiche qui di seguito:
Nel tuo immaginario, ora avrai bene in mente cosa è un microcopy e la sua utilità, ma per capirne le reali potenzialità, andiamo oltre i siti web, i social e le app e vediamolo in due applicazioni davvero importanti videogiochi e chatbot.
I videogiochi sono un campo molto fertile per la user experience, da cui ux designer e ux writer possono trarre grande ispirazione. Nei videogiochi il microcopy non è di certo una novità, pensa ad esempio alle schermate di menu, alla scelta del livello, agli stati di pausa, ai messaggi di salvataggio, guide, ecc. Vero è che uscire da messaggi standard come livello, facile, medio difficile e personalizzare seguendo il tone of voice del videogioco stesso e del brand non è da tutti.
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Un esempio è Wolfenstein, un videogioco sparatutto, prodotto per la prima volta da id software nel 1992. Già negli anni Novanta, poi riproposto nelle versioni più recenti, nella scelta del livello il tone of voice insultava perfino il giocatore.
I chatbot sono uno strumento importante per approcciare l’utente in modo diretto, assisterlo e fornire una migliore esperienza di navigazione. Svolgono il loro lavoro al meglio nel momento in cui grazie al microcopy riescono a mandare messaggi personalizzati, interattivi e creano una conversazione autentica. Non è fantascienza e il caso dell’Agenzia di Assicurazione statunitense Lemonade, è esemplare in questo senso.
In Lemonade il servizio viene gestito da chatbot e intelligenza artificiale e l’approccio con l’assistente virtuale Maya, sembra davvero reale.
Quali tecniche hanno usato?
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