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  • Perché saper ascoltare i bambini può svoltare la carriera degli UX designer

    Le intuizioni di una mamma UX designer sul futuro delle nuove tecnologie

    17 Gennaio 2018

    C’era una volta in un mondo UX molto lontano, abitato da Wireframe, Experience Map e A/B testing, una mamma UX designer in “pausa digitale” per la maternità e il suo bambino che a piccoli passi apprendeva il mondo. È il principio di una storia, o meglio di una human experience con protagonista una “Mamma UX”. Su Hyun Kim, documentando in un calendario lo sviluppo fisico-mentale del figlio dalla nascita e il suo approccio alle tecnologie, ha raccontato attraverso nuove intuizioni l’UX design. ux design LEGGI ANCHE: Glossario della User Experience, dalla A alla UX Prima di addentrarci nello studio di Su Hyun Kim partiamo però da una citazione lungimirante di Konrad Lorenz: «L’uomo è per natura un animale culturale». Rispetto agli altri animali l’uomo è cioè dotato geneticamente di meno istinti “innati”, ma d’altra parte di una veloce capacità di apprendimento e trasmissione del sapere ai suoi simili. Nel momento quindi in cui un neonato lascia la “comfort zone” dell’utero materno, equipaggiato di pochi istinti di sopravvivenza, come la suzione dal seno, è totalmente “un’opera da plasmare” attraverso il sapere, o come lo definirebbe Su Hyun Kim è una sorta di intelligenza artificiale predisposta per il machine learning pronto ad apprendere il mondo in modo esperienziale e senza manuale alla mano. Pensate infatti che in pochi giorni il neonato riconosce il modello di un volto umano e da questo momento confronta in continuazione “interfacce”. Lo stato di total learners non è l’unico aspetto affascinante sullo studio dei bambini preso in considerazione da Su Hyun Kim, ma è fondamentale anche il loro essere totalmente spontanei e privi di sovrastrutture nell’interazione e apprendimento di una nuova interfaccia. L’analisi di un’interfaccia fatta su un adulto restituisce in genere risultati “condizionati” ad esempio dal contesto, dall’interlocutore o dalle condizioni sociali che rischiano di sviare il processo di design. Un bambino invece si approccia all’interfaccia in modo altamente intuitivo e privo di precondizionamenti, restituendo di conseguenza risultati trasparenti.

    Storie di GUI

    Un elemento fondamentale dell’UX design è prorio la naturalezza di interazione uomo-macchina per fornire un’esperienza utente fruibile e intuitiva. Una svolta in tal senso è stata data a partire dagli anni ’60 dallo sviluppo di Interfacce Grafiche (GUI). Vi ricordate prima delle GUI come l’uomo comunicava con il computer? Probabilmente no, perché il computer non era un prodotto di consumo e gli studiosi comunicavano con la macchina attraverso interfacce testuali a riga di comando. Ux design: schede perforate A rendere il computer un veicolo di espressione creativa umana, oltre che calcolatore, ci ha pensato Alan Kay, informatico ricercatore nonché padre delle interfacce grafiche (GUI). Kay partendo dalla teoria del costruttivismo, ossia di una conoscenza costruita sull’esperienza personale piuttosto che il rispecchiamento di una realtà indipendente (imparare attraverso azioni), ha studiato nello sviluppo delle GUI l’apprendimento dei bambini, concludendo che «le azioni attraverso immagini generano simboli» (icone). Pensate ad esempio quanto è intuitiva l’interfaccia di un tablet, oltre ad essere popolata da icone è anche touch screen, infatti i bambini a partire da sei mesi riescono ad interagirvi e conservare nella memoria muscolare le azioni ripetitive effettuate sul device (es. shift dal basso verso l’alto per uscire dall’applicazione). Le GUI hanno quindi consentito agli utenti di formulare idee in tempo reale, manipolando icone (immagini elevate a simboli) sullo schermo del computer per generare azioni. Su Hyun Kim allo stesso modo di Kay abbraccia la teoria costruttivista nell’osservazione di suo figlio, sostenendo un approccio sperimentale dell’UX design relativo soprattutto a realtà virtuale e intelligenza artificiale.

    UX design nella realtà aumentata

    Guardate questo video: Si tratta di un gioco sicuramente divertente e coinvolgente che proietta il giocatore in un mondo alternativo, dove riesce a raggiungere l’obiettivo saltando tra le rocce. Cosa sarebbe successo però se il giocatore fosse caduto nella lava? Quante volte ci avrebbe riprovato? Quante volte voi ci avreste riprovato? Su Hyun Kim parlando con il pediatra di suo figlio, gli ha chiesto perché inciampa così spesso, la sua risposta è stata «perché nella sua mente è bravo e veloce a camminare mentre per il suo corpo no». Nonostante ciò il bambino non si arrende e continua a provare finché non riesce a camminare correttamente. Per gli adulti è diverso, ci si aspetta sempre di riuscire subito o in breve nell’obiettivo, nel momento in cui si incontrano ripetute difficoltà si tende ad aggirarle. Pensate all’importanza dell’usabilità nei siti web: un sito web poco fruibile e usabile sarà abbandonato a favore di un altro dopo pochi secondi di navigazione. LEGGI ANCHE: No, la Realtà Virtuale non è un hype (e cambierà davvero le nostre vite) Tornando alla realtà virtuale, quando un utente indossa un visore VR, la sua percezione delle leggi fisiche viene spesso alterata. La natura coinvolgente, caratteristica della realtà virtuale, è però anche il suo limite, infatti l’utente rischia di perdere senso di orientamento e equilibrio con effetto conseguente di smarrimento. Come evitarlo? UX design: virtual reality Su Hyun Kim consiglia in ambito UX design di mantenere elementi familiari nel nuovo ambiente di realtà aumentata, così da far sentire l’utente emotivamente a suo agio, introducendo in modo lento e controllato nuovi elementi spaziali, che seguono leggi di movimento differenti. Su Hyun Kim consiglia inoltre di coinvolgere gli utenti come protagonisti, anziché spettatori passivi, nel momento in cui indossano un visore VR. Osservando i bambini infatti l’apprendimento è più veloce con un coinvolgimento diretto.

    UX design e Intelligenza Artificiale

    L’apprendimento motorio non è stato l’unico preso in considerazione dalla Mamma UX. Sapete quante lingue può imparare un bambino contemporaneamente? Non c’è un numero esatto, dipende dall’esposizione del bambino alla lingua, ma già con quattro non ci sono problemi. Su Hyun Kim ha sperimentato sul figlio come i bambini siano in grado di differenziare una lingua dall’altra, prima che gli venga spiegata. La loro innata flessibilità linguistica dipende infatti dalla capacità di discriminare le unità fonetiche utilizzate nelle lingue. Su Hyun Kim partendo da questo presupposto ha riflettuto sull’Intelligenza Artificiale. Un motivo di frustrazione per gli utenti è la mancanza di comprensione dell’accento da parte degli assistenti vocali. Ad esempio voi parlate un buon inglese ma mantenete un forte accento italiano, nel momento in cui vi rivolgete ad un assistente vocale rischiate quindi di non vedere accontentata la vostra richiesta per mancanza di comprensione. La causa di ciò è che l’algoritmo dell’Intelligenza artificiale è programmato su un modello di linguaggio comune predeterminato e basato su decisioni economico-culturali “mainstream”, piuttosto che di casi ridotti. Potrebbe risolvere il problema la flessibilità linguistica di apprendimento nei bambini? ux design languages Il tono di voce del “baby talk” è simile in tutto il mondo. Studi confermano che il baby talk facilita la capacità dei bambini di imparare il linguaggio. La riflessione a cui giunge Su Hyun Kim è la possibilità di approcciare all’intelligenza artificiale partendo dalle abilità base di comunicazione e aggiungendo mano mano abilità uniche degli umani.  Progettare gli algoritmi di intelligenza artificiale con flessibilità nel riconoscimento degli accenti, così come succede nei bambini, aumenterebbe la relazione tra uomo e macchina in modo organico, evitando frustrazioni da parte di quest’ultimo. Inoltre la flessibilità sarebbe una caratteristica necessaria non solo per il riconoscimento fonetico, ma anche per il mantenimento del discorso in modo più naturale possibile, dire «Spiacente,  non capisco» e tagliare la conversazione, è ancora molto macchinoso e lontano da una conversazione “simil-umana”. LEGGI ANCHE: Ricerca vocale e per immagini: la nuova frontiera (o barriera) della pubblicità Su Hyun Kim, nell’osservazione di suo figlio ha teorizzato un futuro di macchine sviluppate come neonati: fin dal principio ha definito infatti il bambino come una macchina predisposta al machine learning, con grande flessibilità, elementi familiari per l’apprendimento e ha perfino proposto l’introduzione di un Quoziente Emotivo nell’intelligenza artificiale. Un consiglio agli UX designer: quello di passare del tempo fuori dal mondo digitale e calarsi tra le persone per apprendere la loro visione del mondo.