“All’inizio c’era una sola Ogilvy, la compagnia fondata da David Ogilvy nel 1948. Oggi, c’è ancora una Ogilvy”. Si legge questo visitando oggi la pagina About del nuovo sito di Ogilvy (non più Ogilvy&Mather). Perché, come ha spiegato il presidente e amministratore delegato mondiale John Seifert, il marchio torna ad essere centrale e l’offerta principale del network sarà la creatività.
Presente oggi in 83 paesi con 132 uffici in tutto il mondo, Ogilvy oggi punta a dare risonanza ai brand, sempre più importanti in un mondo complesso, rumoroso e iperconnesso.
Ma come è iniziata la storia di Ogilvy? Prima di arrivare al rebranding che ne ha modificato font e colori? Se sei già corso a verificare la pagina Our History sul nuovo sito dell’agenzia potresti rimanere deluso, la pagina non è ancora (o non più) disponibile. Per questo abbiamo provato noi a ricostruire le tappe fondamentali della storia di Ogilvy dalle origini, un percorso non certo semplice e lineare, ma decisamente avventuroso e creativo, attraverso la storia.
I primi passi: Mather&Crowther
Quella che fino a ieri è stata conosciuta come Ogilvy&Mather, era l’agenzia pubblicitaria con
sede a New York nata dalla fusione tra l’agenzia pubblicitaria londinese di
Edmund Mather e quella newyorkese di
David Ogilvy, nel 1964. Tutto partiva, però, nella
Londra del 1921, quando
Mather&Crowther assunsero
Francis Ogilvy come copywriter. Ogilvy alla fine divenne il primo membro non familiare a presiedere l’agenzia.
L’agenzia Mather&Crowther nella sua epoca aprì la strada alla
pubblicità sui giornali, ancora agli inizi, istruendo i produttori sull’efficacia della pubblicità e creando veri e propri manuali
“how-to” per il nascente settore pubblicitario. La società crebbe di importanza negli anni Venti dopo aver creato importanti campagne pubblicitarie non-branded, come
“Una mela al giorno toglie il medico di torno” e “
Drinka Pinta Milka Day“.
Nel 1921, dicevamo, Mather&Crowther assunsero Francis Ogilvy come copywriter e lui aiutò suo fratello minore David ad assicurarsi un posto come
venditore di Aga per l’azienda, una stufa svedese per cucinare che lo stesso Francis aveva contribuito a lanciare sul mercato inglese.
Il giovane Ogilvy ebbe così tanto successo come vedntiore, che
nel 1935 scrisse un manuale di vendita per l’azienda intitolato
“The Theory and Practice of Selling the Aga Cooker”.
David Ogilvy fu quindi assunto come
tirocinante e iniziò a studiare pubblicità, in particolare le campagne americane, che considerava il gold standard. Nel 1938, convinse quindi suo fratello Francis a mandarlo negli Stati Uniti per un periodo sabbatico di studio dell’advertising americano e dopo un anno presentò le sue
32 regole di base per una buona pubblicità.
Intanto lavorò nella ricerca presso la
società di sondaggi Gallup, e per la
British Intelligence durante la seconda guerra mondiale, quindi passò alcuni anni in una comunità Amish in Pennsylvania.
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1948: nasce la Hewitt, Ogilvy, Benson & Mather
Nel 1948, David Ogilvy propose la fusione tra la Mather&Crowther e un’altra agenzia del Regno Unito, la S.H. Benson, per creare un’agenzia pubblicitaria inglese a New York e supportare così i clienti britannici negli States. Ogni agenzia investì circa 40.000 dollari nell’impresa, insistendo però che fosse un Manager americano più esperto a gestire la nuova agenzia. David Ogilvy reclutò quindi Anderson Hewitt di J. Walter Thompson come presidente e Senior Account, mentre lui sarebbe stato segretario, tesoriere e direttore della ricerca. Hewitt ipotecò la sua casa e investì 14.000 dollari nell’agenzia e Ogilvy ne investì 6.000.
Il 23 settembre del 1948, nasceva la
Hewitt, Ogilvy, Benson & Mather in Madison Avenue a Manhattan (vi dice nulla questa strada?). Inizialmente, Mather&Crowther e S.H. Benson diedero all’agenzia quattro clienti relativamente sconosciuti negli Stati Uniti e con budget limitati, tra cui
Wedgwood China, British South African Airways, Guinness e Bovril. Ma il successo fu praticamente immediato grazie alle Guide di Guinness per l’abbinamento di vari cibi sofisticati alla birra. Arrivarono così anche i primi grandi clienti, come
Sun Oil e i cosmetici
Helena Rubinstein.
Ma la vera svolta fu la campagna
“The man in the hathaway shirt” per il produttore di camicie con sede nel Maine C. F. Hathaway Company, che diede carta bianca ad Ogilvy nell’ideazione. La campagna
aumentò le vendite del produttore di camicie del 160% e portò nuovi affari a Hewitt, Ogilvy, Benson&Mather e trasformando l’
Hathaway Man e la sua benda sull’occhio in un popolare tropo culturale. Nel 1952, l’agenzia produsse la campagna
“Come to Britain” per l’Ente turistico britannico, che portò la Gran Bretagna dall’essere la quinta destinazione turistica americana a diventarne la prima.
Un disaccordo tra Hewitt e Ogilvy sulla direzione creativa e sulla gestione dell’agenzia, portò però alle
dimissioni di Ogilvy nel 1953. I partner dell’agenzia però supportarono Ogilvy, portando così alle dimissioni di Hewitt e l’agenzia riaprì come
Ogilvy, Benson & Mather nel 1954. Durante gli anni ’50, Ogilvy, Benson & Mather divennero noti per le loro campagne di successo, anche grazie alla direzione creativa di Ogilvy, che si era ormai costruito una reputazione come creatore di la pubblicità “di qualità”, caratterizzato da
layout eleganti e puliti e da copy lunghi e ben studiati. Ogilvy credeva, infatti, che lo scopo della pubblicità fosse quello di vendere attraverso l’informazione e la persuasione, e non di intrattenere.
Tra i suoi annunci più iconici, comunque, resta senza dubbio quello per la casa automobilistica
Rolls-Royce nel 1960 con il titolo
“A 60 miglia all’ora il rumore più forte in questa nuova Rolls-Royce viene dall’orologio”.
Quello stesso anno l’agenzia accettò di lavorare
per Shell a pagamento, anziché con il tradizionale modello della commissione, e divenne una delle prime grandi agenzie pubblicitarie a utilizzare questo sistema.
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Gli anni ’60 e la nascita di Ogilvy&Mather
Nei primi anni ’60, David Ogilvy firmò un importante contratto con
American Express (allora un business non ancora mondiale) e nel 1963 pubblicò il famosissimo
Confessions of an Advertising Man, che divenne un best-seller internazionale e accrebbe il profilo pubblico di Ogilvy.
Ogilvy, Benson & Mather formarono una partnership paritaria con Mather&Crowther nel novembre del
1964, divenendo a tutti gli effetti filiali di una nuova società madre chiamata
Ogilvy&Mather con sede a New York.
Jock Elliott assunse la presidenza delle operazioni negli Stati Uniti da David Ogilvy, che rimase come presidente di
Ogilvy&Mather International (la società madre) e ne divenne direttore creativo. Il 27 aprile 1966, infine, la Ogilvy&Mather divenne
la prima agenzia pubblicitaria ad essere quotata sia alla borsa di New York che a quella di Londra.
Nel corso degli anni le campagne di successo e i premi non hanno mai smesso di arrivare, così come
l’agenzia non ha mai smesso di crescere trasformandosi in un network mondiale. Ogilvy, tuttavia temeva che le diverse filosofie delle agenzie acquisite avrebbero minato la cultura pubblicitaria di Ogilvy&Mather e dopo essersi trasferito definitivamente al suo castello francese Château de Touffou nel 1973, si dimise dalla carica di presidente divenendo capo creativo mondiale nel 1975. Jock Elliott fu nominato presidente e CEO di Ogilvy&Mather International. Negli anni ’80, infine, l’agenzia aprì la sua divisione per le PR, Ogilvy&Mather Public Relations e Jock Elliott fusostituito da William Phillips nel 1982.
L’evoluzione e l’addio di David Ogilvy
Nel
1983, mentre David Ogilvy lasciava il suo ruolo di capo creativo, Ogilvy&Mather fondava l’
Interactive Marketing Group.
Nel 1985, Ogilvy & Mather International fu ribattezzata
The Ogilvy Group Inc. Il gruppo comprendeva tre divisioni: Ogilvy&Mather Worldwide, cioè tutti gli uffici Ogilvy&Mather, tra cui Ogilvy&Mather Direct e Ogilvy&Mather Public Relations; Scali McCabe Sloves Group; diverse agenzie associate indipendenti.
Nel
1989,
WPP plc (Wire and Plastic Products plc), società di pubblicità britannica,
ha acquisito il Gruppo Ogilvy per 864 milioni di dollari, il prezzo più alto mai pagato per un’agenzia fino ad allora. David Ogilvy inizialmente è stato restio alla vendita, ma alla fine ha accettato il titolo di presidente onorario del WPP, posizione che ha ceduto nel 1992.
Nel 1992,
Charlotte Beers è stata
la prima donna a guidare una grande agenzia internazionale, un altro dei valori messi in luce dal rebranding dell’azienda annunciato in questi giorni, introducendo il concetto di
“brand stewardship” nell’agenzia, cioè una filosofia di brand building nel tempo.
Nel 1994, il presidente per il Nord America
Shelly Lazarus e la Beers hanno contribuito a conquistare
l’intero account globale della società tecnologica IBM per l’agenzia, con un fatturato stimato di 500 milioni di dollari. Dopo quattro anni, la Beers si è dimessa da amministratore delegato e le è succeduta proprio la Lazarus, un altro record, dato che era la prima volta che una donna succedeva a un’altra donna in una grande agenzia. Lazarus ha ulteriormente sviluppato l’approccio di brand management della Beers introducendo
il concetto di “brand a 360 gradi”, cioè l’idea di comunicare un messaggio di marca in ogni punto di contatto con la gente.
Intanto
nel 1999 David Ogilvy è morto all’età di 88 anni nel castello di Touffou.
Tra le ultime grandi campagne, nel 2004, Ogilvy & Mather ha lanciato
la campagna di Dove “Real Beauty”, una lunga serie di video, pubblicità e altre iniziative di marketing incentrate sulla “ridefinizione della bellezza”.
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Finora all’interno dell’azienda c’erano un certo numero di unità per la gestione delle diverse aree di interesse:
Ogilvy Public Relations responsabile per le offerte di pubbliche relazioni dell’agenzia, tra cui branding, affari pubblici, comunicazione aziendale e digital reputation;
OgilvyOne l’unità di direct marketing dell’agenzia;
Ogilvy CommonHealth Worldwide che si concentrava sulle comunicazioni e sul marketing della sanità e così via. In questa organizzazione diventata ormai sovrabbondante mette ordine il nuovo design dell’organizzazione, che punta ad essere più semplice e chiaro anche per i clienti.