La moda è una delle industrie più inquinanti al mondo: è al secondo posto dopo quella del petrolio e lo è anche per il consumo di acqua utilizzata.
Possiamo continuare ad ignorare tutto ciò oppure oggi diventa necessario indossare le nuove vesti di consumatori consapevoli? Per chi lavora dietro le quinte (circa un sesto dei lavoratori mondiali) è arrivato il momento di cambiare le proprie abitudini.
Ma andiamo con ordine e scopriamo tutti i piccoli passi che la moda sta muovendo in direzione della sostenibilità.
Li Edelkootrt è tra le più influenti Fashion Watcher mondiali, è olandese ed è probabilmente grazie alla sua notorietà che ha potuto smuovere il mondo della moda attraverso il suo Manifesto Anti Fashion: un discorso tenuto sul palco londinese di Voices (manifestazione annuale di Business of Fashion che porta in scena protagonisti della moda e imprenditori).
La Edelkootrt si chiede come sia possibile che un indumento costi meno di un panino e come possa un prodotto che deve essere seminato, cresciuto, raccolto, setacciato, filato, tagliato e cucito, lavorato, stampato, etichettato, impacchettato e trasportato costare un paio di euro.
Una provocazione verso l’industria della moda e soprattutto verso la concezione fast fashion, quell’utilizzo molto affine all’usa-e-getta a cui siamo troppo abituati.
Qual è il legame tra il fashion e le isole di plastica? Il mondo della moda si aggiudica il secondo posto nel mondo per inquinamento, ecco perché non possiamo ignorare questo dato (di fatto).
Ci sono sei isole di spazzatura galleggiante che, date le loro dimensioni, hanno persino ricevuto un nome, un po’ come se fossero isole reali, luoghi geografici che potremmo presto trovare anche su Google Maps. Ecco l’elenco completo delle isole di plastica scoperte fino ad oggi:
In pole position nella lotta all’inquinamento troviamo naturalmente Greenpeace con il suo Manifesto della moda: un movimento globale formato da attivisti del mondo fashion, modelli, blogger e designer con la necessità di chiedere alle grandi firme e all’industria tessile di porre maggiore attenzione all’utilizzo di prodotti chimici e soprattutto al loro smaltimento, per proteggere le risorse d’acqua il cui valore è inestimabile poiché non riproducibile.
La necessità primaria da divulgare è il bisogno di minimizzare l’attuale abitudine consumista di abiti e tendenze per valorizzare il concetto di economia circolare: il riutilizzo di vestiti e tessuti che limiterebbe l’eccessivo consumo di risorse.
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All’apertura della Settimana della Moda di Milano 2017, Greenpeace ha presentato un report con circa 400 esempi di slow fashion, per una moda più sostenibile, responsabile e realmente circolare, con una lista di soluzioni già praticate e replicabili, dalle fibre naturali alla riparazione dei vestiti, dalle fibre ricavate dagli scarti agricoli ai vestiti in affitto.
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L’evento che tutti gli addetti ai lavori attendono sarà il Green Carpet Fashion Awards (a Milano il prossimo 23 settembre 2018), che premierà il designer più innovativo nella realizzazione di una collezione Made In Italy nel rispetto di valori etici ed ambientali.
Il paradigma si inverte anche per le grandi aziende fast fashion. Tra i progetti più recenti spiccano:
Yamamay – Save the Ocean, Save You
Il progetto Save the Ocean in collaborazione con la Fondazione 1 Ocean del brand Yamamay oltre a sensibilizzare sulle terribili condizioni in cui l’inquinamento sta colpendo gli oceani, realizza costumi in PET con materiali riciclati al 100%.
H&M – Conscious Exclusive
Per la settima collezione di Conscious Exclusive (la linea di H&M realizzata con tessuti organici e metodologie sostenibili), il brand ha introdotto un nuovo materiali ecologico: econyl, fibra di nylon completamente rigenerata che si ricava dalle reti da pesca e dai rifiuti che inquinano gli oceani.
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