Perché chi dice che Tesla o Facebook falliranno o non capisce o rosica

Proviamo a fare un po’ di chiarezza e dire due cose semplici semplici senza giri di parole: la Silicon Valley, e il contesto imprenditoriale californiano e americano in genere, è un po’ come la politica.

I due “partiti” del Tech

In questo momento quando si parla di digital economy e big tech company, nei fatti si stanno via via delineando due fazioni: da un lato gli “avventurieri“, chiamiamoli pure quelli più “spudorati”, molto attenti al mercato, a vendere, fare cassa. Quelli cui insomma fa capo a tutta la galassia Mark Zuckerberg / Facebook più, solo in questa visione, il competitor diretto (almeno sul mercato adv) numero uno, Google. Sono i “progressisti“, anche se un po’ modello “Comunisti col Rolex”, per citare J-Ax.

Dall’altro lato ci sono quelli più “visionari“, che al tempo stesso sono quelli paradossalmente più “conservatori“, che nonostante siano proiettati su progetti molto più folli – dal punto di vista meramente imprenditoriale – e probabilmente meno remunerativi, tendono a rischiare in proprio. La squadra del don’t try this at home, come dire “ok, io progetto razzi spaziali, treni superveloci, collegamenti neurali, auto elettriche, magazzini con robot, consegne con droni, eccetera, ma io posso permettermi di rischiare con la tecnologia, e con i miei soldi, voi meglio di no”.

Sono quelli che avevano già vent’anni quando Zuckerberg andava ancora all’asilo, che hanno vissuto più o meno direttamente la bolla delle dot com. Insomma, i vari Elon Musk, Jeff Bezos, Bill Gates, eccetera.

Le prime prove generali di questa contrappsizione culturale e industriale le abbiamo intraviste in occasione della polemica sull’intelligenza artificiale, più o meno un anno fa. Con Musk che è arrivato anche a dare dello scemo a Zuckerberg.

E in quest’ottica, secondo la belligeranza fredda e silenziosa di questi due opposti schieramenti, stanno succedendo delle cose, compresa l’esplosione dello scandalo Cambridge Analytica, che sicuramente ci ha aiutato ad avere più consapevolezza di tutto quello che stiamo delegando e, anzi, regalando ai giganti del digitale, in nome della disintermediazione, della velocità, del “risparmio”, dell’efficienza e bla bla bla. Ma che sicuramente, e se siamo intellettualmente onesti dobbiamo dirlo, non dispiace a chi, ad esempio, ha provato a mettere le mani (dopo averci messo prima anche dei soldini) su Facebook, e sul controllo soprattutto degli editori. E qui ogni riferimento a Soros e soci è certamente causale.

Perché Tesla non fallirà

Poi ogni tanto c’è qualcuno che dice che Tesla non va mai in utile, che Musk vende fuffa, che questa o quella sua azienda fallirà, eccetera eccetera. Ultime, le dichiarazioni rilasciate a Marketwatch dal noto venture caputalist John Thompson, secondo cui “le aziende, tutte le aziende, devono realizzare un profitto e qui (in Tesla, ndr) non c’è mai” e che, quindi, “sarà in bancarotta entro quattro mesi”.

Sicuramente le mancate consegne della Model 3 (messa in prevendita due anni fa) stanno diventando una barzelletta e non restituiscono a Musk buoni benchmark. Ma questo, adesso, non c’entra.

Senza entrare nel merito, una cosa va detta, e chi si occupa di innovazione e soprattutto startup capisce bene il senso della banalissima constatazione che sto per fare. Ovvero che Tesla è nei fatti più vicina al modello di startup che di big company, e per una startup il profitto non è una condizione necessaria, se intende continuare a reinvestire su se stessa. Non produce utili, ok, ma fino a quando ci saranno le casse personali di Musk (che peraltro ha rinunciato a ogni suo compenso e bonus da tempo) questo non è evidentemente un problema.

Tutto il resto è noia, o banali liti da cortile.

LEGGI ANCHE: Perché Facebook non ruba i nostri dati ma siamo noi che siamo scemi digitali

Raccontare l’innovazione, secondo noi

Ci tenevo a condividere, da osservatore più che altro, questa mia considerazione con chi ci legge, per continuare nel solco che abbiamo iniziato a tracciare da alcuni mesi con la grande questione dei dati personali e poi sfociato nel datagate Facebook, ovvero scardinare un po’ le dinamiche della narrazione dell’innovazione, incoraggiando e spingendo un racconto sempre più nei fatti e curioso, che legga tra le righe, e meno santificante e idolatrante di tutto ciò che è il progresso tecnologico.

Non vorremmo peccare di saccenza, o giocare a chi fa più il fighettino, ma ci farebbe davvero piacere iniziare a leggere ragionamenti migliori e più interessanti di questo anche tra i colleghi europei e, soprattutto, d’oltreoceano, Che sono poi, peraltro, le fonti di tutti, anche nostre.

Ma chissà, forse l’onda lunga di queste ultime settimane contribuirà anche a questo scongelamento.

@aldopecora

Aldo V. Pecora

Aldo Vincenzo Pecora, è nato a Reggio Calabria nel 1986. È giornalista, scrittore, blogger e imprenditore nel settore della comunicazione. A Roma dal 2004, per Rai Educational ha realizzato documentari e ideato nuovi format TV, tra i quali “Lezioni di mafia”, scritto nel 2012 per Rai Storia con l’allora Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, finalista alla 64^ edizione del Prix Italia. È anche attivista antimafia: nel 2005, appena diciannovenne, ha fondato a Locri (RC) il movimento “Ammazzateci Tutti“, che tutt’ora presiede. Negli ultimi anni ha lavorato con Riccardo Luna al coordinamento della redazione di CheFuturo! e, poi, al magazine StartupItalia, dove è stato responsabile del canale di innovazione finanziaria (fintech) e criptovalute digitali (bitcoin), divenendo in breve tempo uno dei più noti divulgatori italiani in tema di startup ed economia digitale, anche grazie alla trasmissione Eta Beta di Rai Radio1, alla quale partecipa come esperto del settore.

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