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Gli effetti dell’inquinamento atmosferico sono sempre più noti e tangibili. Stando ai risultati di un recente studio condotto dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), le attività agricole e zootecniche sono tra i principali agenti di minaccia ambientale, con particolari effetti sul cambiamento degli ecosistemi e del clima. Il settore alimentare sarebbe responsabile del 31% delle emissioni di gas serra in Europa. Basti pensare che la produzione di 1 kg di manzo genera qualcosa come 36,4 kg di anidride carbonica, senza considerare poi il trasporto e la gestione dell’azienda agricola.
Il mondo occidentale si è crogiolato per anni nella positività dell’abbondanza, senza preoccuparsi della qualità e della provenienza del cibo. Intanto, la biodiversità diminuiva e i piccoli produttori entravano in crisi. L’attuale modello agroalimentare, fortemente industrializzato, ha favorito infatti il massiccio utilizzo di derivati petroliferi, come pesticidi e fertilizzanti, nonché la diffusione delle monoculture, soprattutto per garantire l’alimentazione animale. La costante pressione dell’uomo sull’ambiente, ha portato ad effetti negativi evidenti: dall’erosione del suolo all’inquinamento delle falde acquifere e quindi alla progressiva perdita della diversità, biologica e culturale.
Nonostante i dati siano allarmanti però, a livello internazionale si fatica a riconoscere la responsabilità del sistema alimentare nei confronti del climate-change; eppure l’impatto di agricoltura e allevamento è notevole. Inserire il tema al centro dell’agenda politica, significherebbe pensare ad azioni concrete per la salvaguardia del Pianeta, quel puntino nello spazio che ci accoglie e che noi stiamo depauperando, più o meno consapevolmente, con sfrenato egoismo.
A fronte di questa situazione, Slow Food, associazione eco-gastronomica nata a Bra (CN) e ora conosciuta a livello internazionale, all’interno di un recente documento riguardante il binomio cibo-ambiente, sottolinea la necessita di elaborare una strategia condivisa per muovere verso un’alimentazione più sostenibile, attraverso l’introduzione di nuove forme di produzione e di consumo.
Un approccio olistico quindi quello proposto da Carlo Petrini, visionario fondatore del movimento.
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La filosofia di Slow Food, che si traduce nello slogan del “buono, pulito e giusto”, si basa su sette insindacabili principi: il miglioramento della sostenibilità dei sistemi produttivi, la conservazione delle risorse, l’efficienza energetica, la tutela della biodiversità, la filiera corta, la dieta sostenibile e la tutela dei saperi tradizionali.
Al di là del sapore romantico della teoria, Slow Food, con piglio deciso e pragmatico, stila un elenco di consigli utili per innescare un cambiamento radicale nell’attuale sistema alimentare, coinvolgendo i diversi attori della filiera, dal produttore al consumatore.
Consigli per una “nuova” agricoltura:
Consigli per un allevamento sostenibile:
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Anche noi consumatori svolgiamo un ruolo importante all’interno di questa “rivoluzione”. Abbiamo infatti il potere di condizionare l’entità della domanda e quindi l’andamento del mercato. Il nostro unico compito è quello di diventare degli acquirenti consapevoli, sostituendo la passività con l’attività. In questo modo, quando andremo a fare la spesa, non passeremo davanti agli scaffali in modo svogliato, quasi per inerzia, ma ci soffermeremo a leggere le etichette dei prodotti, così da valutarne la provenienza e comprenderne, per quanto possibile, i processi produttivi. La chiave per capire e migliorare il sistema alimentare è, come nella maggior parte dei casi, l’informazione.
Slow Food rappresenta un esempio virtuoso, a cui va il merito di aver evidenziato un problema reale finora trascurato e di aver proposto soluzioni pratiche, orientate all’ottenimento di risultati immediati.
Slow Food rappresenta un esempio virtuoso, a cui va il merito di aver evidenziato un problema reale finora trascurato e di aver proposto soluzioni pratiche, orientate all’ottenimento di risultati immediati.