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  • Si può applicare la Blockchain anche all’agrifood? Ecco i possibili scenari, le applicazioni e gli impatti

    Il cibo è un grande tesoro del Made in Italy e la blockchain potrebbe dargli un valore aggiunto: tracciato, sicuro, affidabile con un vantaggio diretto per gli agricoltori che producono qualità

    19 Agosto 2019

    La tecnologia più rivoluzionaria del momento sarà in grado di innovare uno dei settori più tradizionali del sistema sociale ed economico del nostro paese? L’agrifood, che è il  traino dell’economia italiana, si trova alle prese con la sfida globale del climate change e con due grandi nemici del Made in Italy: l’italian sounding e la contraffazione.

    La blockchain sarà capace, come l’aratro, di dare il via ad una nuova rivoluzione?

    Con la task force RuralHack del gruppo di ricerca/azione Societing4.0 ce lo siamo chiesti proprio nel report Blockchain per l’agrifood: Scenari, applicazioni, impatti scaricabile qui gratuitamente. Anche l’Italia, come il resto del mondo, si trova di fronte alla più urgente sfida del nostro tempo: l’agricoltura sfama il mondo ma allo stesso tempo è una delle cause del riscaldamento globale, con il 24% delle emissioni nocive. Solo innovando il settore in tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione, si può immaginare di affrontare queste sfide. Un ruolo chiave lo possono giocare le tecnologie 4.0. In Italia il valore complessivo della filiera (le imprese dall’agricoltura alla ristorazione) vale complessivamente 133 miliardi di euro e offre lavoro a 3,2 milioni di persone. Una filiera che deve affrontare tre grandi mali: l’italian sounding, la contraffazione e l’azione delle agromafie. Si stima che il valore del falso Made in Italy agroalimentare nel mondo sia circa di 100 miliardi, con un aumento record del 70% nel corso dell’ultimo decennio, mentre il volume d’affari delle agromafie è di 24,5 miliardi . Come spesso accade ciclicamente con le parole magiche dell’innovazione tecnologica oggi sembra che la “BlockChain sia la panacea per ogni problema” e per questo con la task force RuralHack abbiamo ritenuto opportuno realizzare e diffondere un documento in italiano che spiega, in modo semplice e  chiaro, ma con una visione critica, cosa sia la blockchain, cercando di capire se e come possa rappresentare una soluzione realmente utile per il settore dell’agrifood nel nostro Paese.

    Blockchain per agrifood: di cosa parliamo

    Una blockchain consiste in una catena di dati e informazioni tra loro collegate in una concatenazione cronologica di singole unità chiamate blocchi nei quali vengono archiviati i dati protetti. I blocchi che compongono la catena sono immutabili e ogni transazione si lega a quella precedente formando una catena sicura, efficace e soprattutto trasparente, aperta per chiunque voglia verificare la veridicità degli scambi in atto tra i nodi. Grazie all’impiego della blockchain nella filiera agrifood, i prodotti possono essere monitorati in tempo reale durante tutto il loro percorso di vita su tutta la supply chain: agricoltori, trasformatori, logistica, distributori e retail. Questo può avere diversi vantaggi per gli attori della catena. Questa tecnologia può incidere non tanto sul processo produttivo quanto su una serie di benefici per ognuno degli attori della catena del valore: dal prodotto, alla trasformazione, alla distribuzione, fino al cliente. E in questa filiera si articola il suo valore potenziale. Per i contadini, per esempio, può essere interessante un pagamento in tempo reale dei prodotti oltre che la possibilità di una valutazione della merce in tempo reale insieme agli altri attori della filiera (finanziatori per esempio e commercianti). E può essere interessante anche condividere un sistema di informazioni che qualifichi e garantisca la qualità dei prodotti. Come emerge dal report, attori rilevanti della grande distribuzione, insieme a big tecnologici, stanno investendo sull’implementazione di questa tecnologia (con effetti sulla filiera che non sono ancora visibili).

    Limiti e vantaggi

    I limiti ancora evidenti per immaginare una diffusione immediata della tecnologia blockchain sono sempre i soliti: ci sono criticità di tipo tecnologico, insieme alla mancanza di legislazioni ad hoc (uno degli ostacoli principali per chi sta pensando di affidarsi a questa tecnologia) e sicuramente un limite è l’attuale scarsa digitalizzazione di gran parte delle aziende che operano nell’agrifood. Dal punto di vista culturale, la blockchain può orientare i diversi attori a nuove forme di collaborazione con l’effetto di incrementare il valore autentico del cibo italiano. Perché il gioco funzioni, però, deve essere win-win cioè tutti gli attori della filiera devono avere vantaggi e questi vantaggi della blockchain si realizzano al meglio quando diversi partecipanti del settore si uniscono per creare una piattaforma condivisa. E questo implica che le regole del gioco non le può scrivere uno solo degli attori della filiera. LEGGI ANCHE: Deloitte ha scelto 7 startup per il suo FoodTech Accelerator

    Per il Made in Italy

    Il paper indaga sia gli aspetti culturali che quelli tecnologici proponendo anche esperienze di blockchain applicata all’agrifood come quelle italiane, tra le altre, di Demeter.life o FoodChain che hanno sviluppato piattaforme che garantiscono il tracciamento del prodotto lungo l’intero percorso nella filiera fino al consumatore, oppure Wine Blockchain per la Cantina Volpone realizzata da EzLab in collaborazione con Ernst&Young. In Italia, nel decreto legge semplificazioni 2019, si apre la strada a nuove applicazioni per blockchain e smart contract e il Mise ha costituito un team di esperti per stilare le linee guida per le future politiche nazionali in tema di IA e blockchain al fine di fornire un quadro normativo corretto ed il Ministero dell’Agricoltura ha avviato una task force dedicata alla blockchain per l’agricoltura di cui faccio parte. La blockchain, nello specifico, è una tecnologia nella quale – in questa fase storica – in molti ripongono speranze di grandi rivoluzioni ed è tra quelle che non fanno paura: viene normalmente considerata tutto sommato una “tecnologia buona”, a differenza di altre come i robot, che continuano ad avere un’aura negativa. Con l’enfasi tipica dei titoli di giornale, l’Economist definisce la blockchain The trust machine cioè la macchina della fiducia, per enfatizzare la possibilità che, all’interno di un’architettura distribuita e decentralizzata – dove tutti possono verificare e nessuno da solo detiene il potere del controllo – ci si possa fidare di più. Per questa (astratta) attitudine, la blockchain viene vista come lo strumento capace di sostenere la lotta alla corruzione, combattere traffici illegali, avviare processi virtuosi di lotta alla povertà e molto altro. Il tema della fiducia è interessante perché viene venduto come un attributo incondizionato della blockchain. Tuttavia chissà che non sia proprio in quella mancanza di prossimità, in quella impossibilità di stabilire legami fiduciari disintermediati, la matrice dei problemi del food system. Con il programma di ricerca Societing già nel 2015 dedicammo una summer school alla blockchain per l’agricoltura all’interno del progetto RuralHub e dalla nostra esperienza, per essere chiari, ci tocca precisare subito che per controllare e tutelare i prodotti agricoli, dalla loro genesi al momento dell’incontro con il consumatore finale, non esiste uno strumento che di per sé solo sia garanzia assoluta. Il cibo è un grande tesoro del Made in Italy e la blockchain potrebbe dargli un valore aggiunto: tracciato, sicuro, affidabile con un vantaggio diretto per gli agricoltori che producono qualità. Ma non è una panacea per tutti i problemi: sviluppare soluzioni blockchain senza un’accurata valutazione di tutte le sfide esistenti, tra cui le infrastrutture, l’alfabetizzazione digitale e la connettività potrebbe far fallire miseramente questa rivoluzione annunciata. Tuttavia, oltre ad un grande discorso su questa tecnologia (anche da parte dei media mainstream) e all’attenzione del legislatore europeo e italiano, sono partiti investimenti rilevanti da parte dei grandi player della distribuzione alimentare (come Wallmart e Carrefur) in partnership con un big tecnologico come IBM e questo deve farci pensare. Per questo, al di là della questione sterile se sarà o meno una tecnologia dirompente così come si dice, ci sembra particolarmente utile portare un supporto di conoscenza agli operatori istituzionali, alle imprese agricole, ai soggetti aggregati, alle comunità rurali, agli attivisti nella convinzione che sia fondamentale introdurre nel dibattito una visione critica che rimane aperta al confronto e all’osservazione dell’evoluzione della Rivoluzione 4.0 appena iniziata. È urgente cominciare a mettere in moto anche cantieri che considerino la blockchain dal punto di vista dell’agricoltura di qualità made in Italy. Voi che ne pensate? È possibile scaricare qui gratuitamente il paper “Blockchain per l’agrifood. Scenari, applicazioni, impatti”.