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  • 3 lavori digitali indispensabili nel marketing (e come spiegarli a chi non li conosce)

    Dal Digital Storyteller al Growth Hacker, ecco cosa fa davvero chi lavora nel digitale

    29 Novembre 2018

    Chi ha fatto del digitale il proprio mestiere, si trova tipicamente in una situazione di grande imbarazzo davanti alla domanda “e tu, di che cosa ti occupi?“. Ma ancora più grande è spesso l’imbarazzo di chi ascolta e la risposta. È un arduo compito quello di spiegare i mestieri digitali: spesso hanno nomi in inglese, composti da due o più parole, il cui significato in effetti sembra più la fumosa “supercazzola” alla Amici Miei che una reale spiegazione. Digital Storyteller, Growth Hacker, Cloud service Specialist, Big Data Analyst, piloti di droni, artigiani digitali: sono i mestieri nati e cresciuti nel digitale, di cui non capiamo il senso, ma di cui non possiamo più fare a meno. Analizziamone alcuni.

    Il Digital Storyteller, l’Omero del digitale

    lavori-digitali-storytelling Ci ho provato in tutti i modi: dal definirmi “copywriter” a “giornalista per il web”, dal vagamente snob “blogger” al generico “scrivo per le aziende”. Ma forse, quando mi chiedono che lavoro faccio, dovrei semplicemente rispondere nostalgicamente “il narratore“. Oggi si parla quasi esclusivamente di storytelling e di come i brand abbiano così tanto bisogno di storie (non solo su Instagram). Dopo qualche secolo nel dimenticatoio, uno dei mestieri più antichi del mondo è tornato alla ribalta grazie al digitale. LEGGI ANCHE: Come spiegare a tua madre che quando sei col pc sul divano stai lavorando Perché tutti hanno bisogno di storie, a un livello quasi biologico. Da una parte i consumatori che sono bombardati da una quantità di informazioni eccessiva, e che hanno bisogno di narrazioni interessanti e di valore. Dall’altra i brand che hanno una disperata necessità di emergere su Google e di lasciare un segno profondo ed emotivo. E all’incrocio di questi bisogni c’è lui, il Digital Storyteller: sa scrivere bene e sa far emergere emozioni e storie, anche dove altri vedrebbero solo fatti e numeri, ma sa anche usare gli strumenti di promozione offerti dai motori di ricerca, dai social media e dalle app. Ne capisce di analisi dei dati, e sa farsi strada tra i concetti del marketing e della strategia aziendale. Ha occhio per la comunicazione visuale e ha una passione sfrenata verso i nuovi strumenti di comunicazione. È un centauro, una creatura mitologica a cavallo tra passato e futuro. Le aziende che hanno bisogno del digital storytelling sono le più varie: alcune creano una narrazione basata sulla propria storia iconica, come Maserati. Altre danno vita a figure professionali totalmente nuove: è il caso di Sailsquare, la startup che mette in contatto chi vuole provare l’emozione della vacanza in barca a vela con gli skipper e gli armatori che ne posseggono una. Per raccontare il proprio business sul web, Sailsquare ha cercato, e trovato, un professionista dello storytelling disposto a viaggiare in barca e per il mondo: così è nata la figura del Media Crew. Un altro esempio originale di storytelling è quello che sta dietro al progetto M4810 di Methodos, che porta i suoi dipendenti sulle vette delle montagne per  sfidare i propri limiti e per stimolare lo spirito di continua adattabilità del team di consulenti: sul web prende vita il racconto dei protagonisti di questo progetto, che si preparano per raggiungere entro il 2020 i 4.810 metri della vetta del Monte Bianco.
    Methodos M4819
    Progetto M4810 – Fonte @Methodos
    Tutte queste storie hanno una cosa in comune: hanno bisogno di un narratore per trasformarsi da esperienze in asset dal valore unico per la comunicazione aziendale.

    Il Data Analyst, un traduttore di dati

    strumenti di growth hacking Se storytelling è la parola chiave della comunicazione nella nuova era tecnologica, Big Data lo è in tutto il resto. Un agglomerato di informazioni talmente ampio da diventare addirittura di difficile comprensione, e che quindi ha bisogno di un traduttore: il Data Analyst, che come un Neo dei giorni nostri osserva i dati di Matrix e vede chiarezza dove per gli altri c’è solo caos.

    Il Growth Hacker, il pirata della crescita

    Ma la figura che oggi più spesso fa aggrottare la fronte e riceve sguardi perplessi alle riunioni di famiglia è lui: il Growth Hacker. Tutti ne parlano e il 2018 è sembrato essere l’anno di definitiva consacrazione di questa disciplina, che ha le proprie radici nella cultura della Silicon Valley, ma pochi sembrano aver capito cosa fa il Growth Hacker. LEGGI ANCHE: Growth Hacker mania. Chi è questa figura così ricercata sul mercato del lavoro?
    Metriche da pirata growth hacking
    Credits: Depositphotos #6899368
    Eppure, nel sottobosco delle startup di ogni nazionalità, ma anche tra le più grandi e consolidate aziende internazionali, questa figura è diventata essenziale. Anzi, come insegna la storia di crescita esponenziale di Airbnb, spesso è proprio il Growth Hacking che trasforma le prime nelle seconde. Se il Digital Storyteller era il centauro della comunicazione, il Growth Hacker è un Pegaso del business. Un marketer che trae i suoi superpoteri dai dati, con competenze di coding che gli permettono di mettere le ali alle aziende. Il suo lavoro consiste nella sperimentazione sistematica dei più svariati processi di crescita, per riuscire a costruire il funnel perfetto, che muova senza intoppi gli utenti dalla fase di acquisition a quella di referral stimolando una crescita esponenziale. Una persona in grado di focalizzarsi sui processi aziendali, di qualsiasi natura e di renderli più efficaci ed efficienti, automatizzarli, trovare dei pattern di crescita e utilizzare strumenti non convenzionali per massimizzare i risultati.

    Un mondo di nuove opportunità lavorative dietro ogni innovazione

    L’elenco potrebbe continuare all’infinito e non essere mai neanche lontanamente completo, perché ad ogni svolta della tecnologia, ad ogni cambiamento di algoritmo dei social media, ad ogni brillante intuizione imprenditoriale, si aprono nuove porte. Sempre meno l’educazione tradizionale può formare queste figure, perché un corso universitario non farebbe neanche in tempo a organizzare una docenza che molti dei temi insegnati sarebbero già obsoleti, e sempre più le persone sono chiamate a reinventarsi di continuo, ad accettare la sfida dell’apprendimento costante. LEGGI ANCHE: Perché i robot non ci ruberanno il lavoro (ma noi dobbiamo diventare i loro leader) Tanti temono l’arrivo della supremazia dei robot e il crollo dei posti di lavoro tradizionali, ma la tecnologia ha moltiplicato le opportunità lavorative, rendendole però meno definite e più diversificate. Una minaccia enorme per chi si ostina a vedere il mercato del lavoro con occhi tradizionali, e una straordinaria opportunità per chi invece è pronto ad aprire porte che fino a pochi istanti prima non esistevano.