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  • Tech-Driven Customer Experience: 3 Hot Trend (che sono già Realtà)

    Algoritmi, Design Innovation e Blockchain stanno rivoluzionando nuovamente il modo con cui i Brand deliziano i Clienti grazie alla tecnologia

    7 Gennaio 2018

    Finalmente, è iniziato il nuovo anno. Finalmente, facciamo l’elenco dei buoni intenti per questi 12 mesi. Finalmente, vengono pubblicati nuovi articoli sui nuovi trend – tra cui questo che stai leggendo. Premessa: nemmeno a me piacciono i post con i trend, per svariati motivi:

    • Citano tendenze irrealizzabili (i droni che ti consegnano a casa in mezz’ora, in Italia, servizio attivo a partire da febbraio 2018!).
    • Citano banalità totali (i video spakkeranno! Ah no, lo storytelling! Ah no, le emoji!).
    • Sono generalmente scritti con obiettivi di click-baiting (o acchiappa-click, visto che siamo in Italia e bisogna parlare italiano).
    Tutti elementi che provocano in me forte fastidio e gravi crisi di identità. Quindi:
    • Il mio lato masochista mi ha spinto a scrivere un nuovo post di trend.
    • Il mio lato altruista mi ha spinto a scrivere un post di trend ragionati.
    Cosa significa “ragionati”? Che ho selezionato pochi trend, ma aderenti con ciò che sta succedendo davvero. Quindi, azionabili, che possono diventare frutto di discussione. Che possono essere riutilizzati nelle presentazioni. In generale, su cui è fondamentale mettere la testa. Insomma, che avranno un seguito! Ti sembra poco? Nel 2017 ho letto tantissimo – a proposito, ti consiglio “Il Mondo Dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale” (EGEA), scritto da Cosimo Accoto (che ringrazio di cuore per alcuni stimoli illuminanti) – partecipato a diverse conferenze sulla Customer Experience – Adobe Summit EMEA a Londra, SAS Forum Milan, The Future of Customer Experience organizzato da Trend Watching e Market Revolution, Web Summit di Lisbona, etc. – che hanno fornito diversi spunti di grande interesse rispetto a ciò che accadrà in questi mesi. Input preziosi per continuare a elaborare i concetti contenuti nel mio ultimo libro “Customer Experience Design. Progettare Esperienze di Marca Memorabili sui Media Digitali” (FrancoAngeli) scritto solo pochi mesi fa insieme a Joseph Sassoon. Non mi soffermo oltre sull’introduzione di questo pezzo. Spero apprezzerai lo sforzo di sintesi e i concetti inclusi. Per ogni stimolo ulteriore, sentiamoci… i punti di contatto non mancano certamente 🙂 Buona lettura!

    Trend #1: Marketing to Machine

    Ormai da diversi anni, più precisamente dal 2011, Google parla con insistenza di ZMOT, acronimo di Zero Moment of Truth. Non starò a rispiegarlo – se sei interessato, leggi “Google introduce il “Momento Zero della verità” – ma riprendo solo una sua descrizione sintetica:
    “Oggi l’acquirente si fa un’idea di ciò che desidera acquistare molto prima di raggiungere lo scaffale; ricerca attraverso blog e recensioni, segue i consigli degli amici sui social network e alla fine esce a fare shopping più consapevole e informato.”
    In sintesi, prima di compiere qualsiasi altra azione che verrà incasellata nel framework aziendale di customer journey mapping, una persona utilizza il web per farsi una prima idea del prodotto / servizio. Spesso, poi, anche per concludere l’acquisto, per condividere la propria esperienza, e così via. La rete è diventata un ambiente end-to-end per il percorso che porta un utente X a diventare un acquirente profilato di un brand. Non ti sto dicendo nulla di nuovo, vero? Quello che è interessante, e che di fatto lancia il trend #1, è che stiamo assistendo a una concentrazione di piattaforme che accentrano il journey dell’utente. Sto parlando di Amazon, Booking, AirBnb e poche altre, che Gianluca Diegoli nel pezzo “10 appunti per il digital marketing del 2018” chiama non a caso internet parallele, veri e propri monopoli. Pensiamo ad Amazon: raccolgo le informazioni, mi decido, vado / torno sull’ecommerce, vengo bombardato da una serie di articoli correlati la cui visibilità è governata da algoritmi. Facebook? Uguale. Booking? Idem. Tutti (o quasi) gli ambienti web sono oggi governati da algoritmi. Istruzioni che determinano la visibilità di un contenuto, la possibilità che questo sia visibile su una determinata piattaforma web – o su un motore di ricerca esteso come Google. Che poi è una piattaforma! Pensa all’impatto che gli algoritmi hanno sulla Customer Experience che esperiamo online. Come fare a “entrare” in questa grande vetrina, per un brand? Come riuscire a fare in modo che il nostro prodotto sia positivamente filtrato da tali algoritmi? Secondo gli analisti, questo è un primo tema caldo: nell’immediato futuro – in realtà, ci si sta già lavorando – marche e aziende dovranno progettare strategie e iniziative di marketing to machine. Ovvero, orientate a convincere i bot della bontà del proprio prodotto / servizio, tanto da meritare di essere resi visibili agli occhi dell’utente che sta navigando. Come se gli stessi bot e gli algoritmi diventassero – così come stanno realmente diventando – i nostri shopping advisor. Non ho resistito, ho utilizzato un n-simo termine inglese 🙁 A proposito, ecco la presentazione di Pietro Leo di IBM caricata su SlideShare dopo un evento organizzato da We Are Social a inizio 2016. Alcune slide conclusive e di scenario gettavano già alcuni semi in tale direzione. Esistono alcuni business che devono riuscire a leggere il futuro più di altri. Una industry molto sensibile è quella delle assicurazioni: i team di risk management delle compagnie assicurative sono infatti continuamente impegnati a decodificare il futuro, trasformandolo in informazione (prima) e in prodotto (poi). Almeno a giudicare da questa poll, AXA sembra avere stare capendo (e indicarci) piuttosto bene questo trend…

    Trend #2: Centaur Design

    Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di User-Centered Design. Una bella idea, vero? Qualsiasi artefatto – digitale e non – deve essere progettato con in testa l’utente finale, i suoi limiti, i suoi obiettivi, le sue specificità. Insomma, la propria essenza di essere umano. L’obiettivo? Ottimizzare tale essenza, incrementando al massimo il beneficio ottenuto dalla persona. Oggi, però, in tanti sostengono un cambio di marcia ben riassunto da Fast Company nel recente articolo intitolato “The Next User You Design For Won’t Be A Human”:
    “L’Era del Design centrato sull’utente sta volgendo al termine. Ciò perché il prossimo utente non sarà umano. Sarà un ibrido uomo-macchina costruito al fine di fare cose impossibili da svolgere per qualsiasi persona, da sola. Benvenuti nell’Era del Centaur Design.”
    Ricordi il Centauro? Cosa aveva di particolare? Ecco, la figura rende bene: metà uomo, metà cavallo. Il termine è stato utilizzato per descrivere uno scenario ormai comune dove uomini e macchine non si scontrano / competono, ma piuttosto collaborano, si integrano e co-creano valore. I computer sono potenti, ma mancano palesemente di alcune abilità cognitive come la creatività e il pensiero laterale. Le persone e i computer possono essere molto più efficaci nel momento in cui lavorano insieme. Qui risiede il trend #2 del Centaur Design: progettare interfacce che prevedano l’utilizzo da parte di un utente, posto però all’interno di un network / sistema abilitato dalla tecnologia. Un esempio? Fast Company cita Waze. Lo conosci? Io lo uso molto poco, alcuni colleghi molto. Si tratta di una soluzione che mostra il percorso che ti permette di arrivare a una specifica meta. Fin qui, nulla di nuovo. Se non fosse che tale percorso è creato grazie agli input generati da tutti gli utenti che utilizzano Waze, in crowdsourcing. Rispetto a Waze, qualcuno ha iniziato ad accorgersi che le strade proposte non sono sempre ottimali, né necessariamente le più brevi. Questo perché Waze ha costruito un sistema di machine learning che monitora in tempo reale ogni autista connesso al servizio, progettando un percorso di guida non tanto ottimizzato sul singolo (cosa? Hai detto User-Centered Design?), quanto piuttosto sul valore che può trarne tutto l’ecosistema. Che dire, se non: :-O Il trend del Centaur Design mi ha subito riportato alla mente un paradigma che ho ben approfondito nel mio libro dedicato alla Customer Experience. Si tratta di PIG, acronimo di Pain is Good, il nome curioso dato da Sampson Lee a una nuova prospettiva progettuale di CX da lui stesso formalizzata all’interno di un omonimo volume. Il modello di progettazione strategica di esperienze per marche e aziende proposto si fonda su quello che apparentemente sembra un paradosso: ovvero, sull’idea che provocare insoddisfazione e altre emozioni negative al consumatore dell’esperienza sia fondamentale al fine di lasciare nella persona un ricordo indelebile dell’esperienza stessa. Diversi studi di psicologia hanno suggerito che gli esseri umani ricordano solo due momenti di qualsiasi esperienza; il picco positivo e il momento finale. Leggendo questa dinamica dalla prospettiva aziendale, secondo Lee appare evidente come lo sforzo di marche e organizzazioni di rendere indimenticabile e denso di emozioni positive qualsiasi momento che compone l’esperienza, è sia inefficace (in fin dei conti, tale sforzo è reso per la maggior parte inutile dal ricordo selettivo appena citato) che inefficiente (perseverare nella customer excellence costa). Il paradigma della Resource Revolution contenuto nell’approccio PIG suggerisce piuttosto di focalizzare gli sforzi solo sui due momenti importanti dell’esperienza, aprendo per tutti gli altri la possibilità che le aziende possano non soddisfare e in qualche modo provocare disagi ed emozioni negative (comunque limitate e tali da non causare rotture o crisi) alle persone. Secondo Lee, la Resource Revolution applicata alla CX permette di ottenere risultati apprezzabili a costi più contenuti e sostenibili. Ma su quali variabili esperienziali è possibile per un brand o un’azienda generare insoddisfazione e fastidio? La risposta sta in una totale focalizzazione su quelle più importanti – perché distintive e differenzianti – per la marca stessa. Tutte le altre dimensioni o non risultano rilevanti nemmeno per l’audience (unnecessary pain), oppure sono rilevanti per quest’ultima ma, poiché non centrali per l’organizzazione, provocano elevati livelli di consumo di risorse in quanto diventano teatro di competizione con tutti gli altri concorrenti (good pain). Al contrario, le dimensioni esperienziali importanti per il consumatore e fondamentali / idiosincratiche per l’azienda (branded pleasure) sono quelle su cui quest’ultima deve eccellere e battere i competitor. Centaur Design e PIG. Due approcci che parlano di argomenti molto diversi tra loro, uniti da un unico mantra: non sempre, nella progettazione di Customer Experience, il cliente ha ragione. E sempre meno ne avrà. Sei d’accordo?

    Trend #3: Blockchain

    Non potevo non citarla 🙂 Scherzi a parte, non sono certamente un esperto – anzi, sono proprio un novello – ma dobbiamo iniziare a metterci la testa anche noi che lavoriamo nel Marketing. ASAP. L’Internet del Valore è applicabile a qualsiasi cosa – dalla finanza al Marketing. A proposito, sono stati recentemente pubblicati diversi studi sul tema dell’applicazione della tecnologia Blockchain. Leggi anche: Lavorare nella blockchain: i profili da tenere d’occhio nel 2018
    “A blockchain is a shared digital ledger of records that is visible to all parties and secured via cryptography. This networked database maintains a continuously updated and validated record of ownership and value.”
    Così scrive Steve Nuttall nel pezzo “Why Blockchain Technology Will Transform Customer Experience”. Secondo l’autore la Blockchain potrebbe avere un impatto forte sulla futura progettazione di CX di rottura per almeno 4 ragioni:
    1. La tecnologia abilita transazioni peer-to-peer senza il bisogno di un intermediario. Ovvero, i brand possono interagire direttamente con i propri clienti, tornando a influenzare direttamente e a gestire end-to-end i customer journey.
    2. La crittografia incrementa la sicurezza e la protezione dei dati / della sicurezza personale. Le persone possono (tornare a) possedere e a monetizzare i propri dati e la propria identità, generando una rivoluzione nella progettazione dei programmi di fidelizzazione.
    3. I dati sono immutabili: una performance aziendale, una richiesta / una issue verso un brand o altre dinamiche che generano tracce digitali non sono oggetto di discussione, né di manipolazione. Pensa agli impatti sui KPI di Marketing e Customer Experience – NPS, customer retention rate, etc.
    4. Il real-time e la mancanza di intermediari / proprietari caratteristica della Blockchain innalzerà l’asticella delle aspettative delle persone, sempre più desiderose di vivere Customer Experience senza dover fare sforzi, lineari e senza attriti.
    Termino questo terzo trend con le parole pubblicate su LinkedIn da Madhukar Kumar, VP CX Cloud in Oracle:
    “In questo scenario, non ci sarebbe outbound marketing, e l’inbound marketing dovrebbe evolvere in matching di contesti di ricerca di un consumatore (cosa sto cercando?) con ciò che è disponibile da un brand e più rilevante per tale ricerca, in tempo reale.”
    Quest’ultimo trend è più che altro uno stimolo al ragionamento: dovremo essere pronti, al momento opportuno. Allora, ti ho messo il giusto livello di adrenalina elencandoti questi trend della CX nel 2018? Mi auguro di sì. Ce ne sono molti altri – per esempio, la relazione tra CX e fake news – di cui ti parlerò al momento opportuno. Intanto, in bocca al lupo 🙂