Daily Brief – Giovedì 29 giugno
29 Giugno 2023 - 2 minuti
7 Gennaio 2018
Finalmente, è iniziato il nuovo anno. Finalmente, facciamo l’elenco dei buoni intenti per questi 12 mesi. Finalmente, vengono pubblicati nuovi articoli sui nuovi trend – tra cui questo che stai leggendo. Premessa: nemmeno a me piacciono i post con i trend, per svariati motivi:
“Oggi l’acquirente si fa un’idea di ciò che desidera acquistare molto prima di raggiungere lo scaffale; ricerca attraverso blog e recensioni, segue i consigli degli amici sui social network e alla fine esce a fare shopping più consapevole e informato.”In sintesi, prima di compiere qualsiasi altra azione che verrà incasellata nel framework aziendale di customer journey mapping, una persona utilizza il web per farsi una prima idea del prodotto / servizio. Spesso, poi, anche per concludere l’acquisto, per condividere la propria esperienza, e così via. La rete è diventata un ambiente end-to-end per il percorso che porta un utente X a diventare un acquirente profilato di un brand. Non ti sto dicendo nulla di nuovo, vero? Quello che è interessante, e che di fatto lancia il trend #1, è che stiamo assistendo a una concentrazione di piattaforme che accentrano il journey dell’utente. Sto parlando di Amazon, Booking, AirBnb e poche altre, che Gianluca Diegoli nel pezzo “10 appunti per il digital marketing del 2018” chiama non a caso internet parallele, veri e propri monopoli. Pensiamo ad Amazon: raccolgo le informazioni, mi decido, vado / torno sull’ecommerce, vengo bombardato da una serie di articoli correlati la cui visibilità è governata da algoritmi. Facebook? Uguale. Booking? Idem. Tutti (o quasi) gli ambienti web sono oggi governati da algoritmi. Istruzioni che determinano la visibilità di un contenuto, la possibilità che questo sia visibile su una determinata piattaforma web – o su un motore di ricerca esteso come Google. Che poi è una piattaforma! Pensa all’impatto che gli algoritmi hanno sulla Customer Experience che esperiamo online. Come fare a “entrare” in questa grande vetrina, per un brand? Come riuscire a fare in modo che il nostro prodotto sia positivamente filtrato da tali algoritmi? Secondo gli analisti, questo è un primo tema caldo: nell’immediato futuro – in realtà, ci si sta già lavorando – marche e aziende dovranno progettare strategie e iniziative di marketing to machine. Ovvero, orientate a convincere i bot della bontà del proprio prodotto / servizio, tanto da meritare di essere resi visibili agli occhi dell’utente che sta navigando. Come se gli stessi bot e gli algoritmi diventassero – così come stanno realmente diventando – i nostri shopping advisor. Non ho resistito, ho utilizzato un n-simo termine inglese 🙁 A proposito, ecco la presentazione di Pietro Leo di IBM caricata su SlideShare dopo un evento organizzato da We Are Social a inizio 2016. Alcune slide conclusive e di scenario gettavano già alcuni semi in tale direzione. Esistono alcuni business che devono riuscire a leggere il futuro più di altri. Una industry molto sensibile è quella delle assicurazioni: i team di risk management delle compagnie assicurative sono infatti continuamente impegnati a decodificare il futuro, trasformandolo in informazione (prima) e in prodotto (poi). Almeno a giudicare da questa poll, AXA sembra avere stare capendo (e indicarci) piuttosto bene questo trend…
“L’Era del Design centrato sull’utente sta volgendo al termine. Ciò perché il prossimo utente non sarà umano. Sarà un ibrido uomo-macchina costruito al fine di fare cose impossibili da svolgere per qualsiasi persona, da sola. Benvenuti nell’Era del Centaur Design.”Ricordi il Centauro? Cosa aveva di particolare? Ecco, la figura rende bene: metà uomo, metà cavallo. Il termine è stato utilizzato per descrivere uno scenario ormai comune dove uomini e macchine non si scontrano / competono, ma piuttosto collaborano, si integrano e co-creano valore. I computer sono potenti, ma mancano palesemente di alcune abilità cognitive come la creatività e il pensiero laterale. Le persone e i computer possono essere molto più efficaci nel momento in cui lavorano insieme. Qui risiede il trend #2 del Centaur Design: progettare interfacce che prevedano l’utilizzo da parte di un utente, posto però all’interno di un network / sistema abilitato dalla tecnologia. Un esempio? Fast Company cita Waze. Lo conosci? Io lo uso molto poco, alcuni colleghi molto. Si tratta di una soluzione che mostra il percorso che ti permette di arrivare a una specifica meta. Fin qui, nulla di nuovo. Se non fosse che tale percorso è creato grazie agli input generati da tutti gli utenti che utilizzano Waze, in crowdsourcing. Rispetto a Waze, qualcuno ha iniziato ad accorgersi che le strade proposte non sono sempre ottimali, né necessariamente le più brevi. Questo perché Waze ha costruito un sistema di machine learning che monitora in tempo reale ogni autista connesso al servizio, progettando un percorso di guida non tanto ottimizzato sul singolo (cosa? Hai detto User-Centered Design?), quanto piuttosto sul valore che può trarne tutto l’ecosistema. Che dire, se non: :-O Il trend del Centaur Design mi ha subito riportato alla mente un paradigma che ho ben approfondito nel mio libro dedicato alla Customer Experience. Si tratta di PIG, acronimo di Pain is Good, il nome curioso dato da Sampson Lee a una nuova prospettiva progettuale di CX da lui stesso formalizzata all’interno di un omonimo volume. Il modello di progettazione strategica di esperienze per marche e aziende proposto si fonda su quello che apparentemente sembra un paradosso: ovvero, sull’idea che provocare insoddisfazione e altre emozioni negative al consumatore dell’esperienza sia fondamentale al fine di lasciare nella persona un ricordo indelebile dell’esperienza stessa. Diversi studi di psicologia hanno suggerito che gli esseri umani ricordano solo due momenti di qualsiasi esperienza; il picco positivo e il momento finale. Leggendo questa dinamica dalla prospettiva aziendale, secondo Lee appare evidente come lo sforzo di marche e organizzazioni di rendere indimenticabile e denso di emozioni positive qualsiasi momento che compone l’esperienza, è sia inefficace (in fin dei conti, tale sforzo è reso per la maggior parte inutile dal ricordo selettivo appena citato) che inefficiente (perseverare nella customer excellence costa). Il paradigma della Resource Revolution contenuto nell’approccio PIG suggerisce piuttosto di focalizzare gli sforzi solo sui due momenti importanti dell’esperienza, aprendo per tutti gli altri la possibilità che le aziende possano non soddisfare e in qualche modo provocare disagi ed emozioni negative (comunque limitate e tali da non causare rotture o crisi) alle persone. Secondo Lee, la Resource Revolution applicata alla CX permette di ottenere risultati apprezzabili a costi più contenuti e sostenibili. Ma su quali variabili esperienziali è possibile per un brand o un’azienda generare insoddisfazione e fastidio? La risposta sta in una totale focalizzazione su quelle più importanti – perché distintive e differenzianti – per la marca stessa. Tutte le altre dimensioni o non risultano rilevanti nemmeno per l’audience (unnecessary pain), oppure sono rilevanti per quest’ultima ma, poiché non centrali per l’organizzazione, provocano elevati livelli di consumo di risorse in quanto diventano teatro di competizione con tutti gli altri concorrenti (good pain). Al contrario, le dimensioni esperienziali importanti per il consumatore e fondamentali / idiosincratiche per l’azienda (branded pleasure) sono quelle su cui quest’ultima deve eccellere e battere i competitor. Centaur Design e PIG. Due approcci che parlano di argomenti molto diversi tra loro, uniti da un unico mantra: non sempre, nella progettazione di Customer Experience, il cliente ha ragione. E sempre meno ne avrà. Sei d’accordo?
“A blockchain is a shared digital ledger of records that is visible to all parties and secured via cryptography. This networked database maintains a continuously updated and validated record of ownership and value.”Così scrive Steve Nuttall nel pezzo “Why Blockchain Technology Will Transform Customer Experience”. Secondo l’autore la Blockchain potrebbe avere un impatto forte sulla futura progettazione di CX di rottura per almeno 4 ragioni:
“In questo scenario, non ci sarebbe outbound marketing, e l’inbound marketing dovrebbe evolvere in matching di contesti di ricerca di un consumatore (cosa sto cercando?) con ciò che è disponibile da un brand e più rilevante per tale ricerca, in tempo reale.”Quest’ultimo trend è più che altro uno stimolo al ragionamento: dovremo essere pronti, al momento opportuno. Allora, ti ho messo il giusto livello di adrenalina elencandoti questi trend della CX nel 2018? Mi auguro di sì. Ce ne sono molti altri – per esempio, la relazione tra CX e fake news – di cui ti parlerò al momento opportuno. Intanto, in bocca al lupo 🙂
Corsi, articoli, eventi: il mondo Ninja è ricco di risorse e di appuntamenti da non perdere.
Please confirm you want to block this member.
You will no longer be able to:
Please allow a few minutes for this process to complete.