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  • Comincia l’epoca del Connected Customer: come prepararsi alla sfida

    La crisi generata dalla pandemia di SARS-CoV-2 ha accelerato una serie di processi che erano già in essere da almeno un decennio

    15 Febbraio 2021

    Il prolungato stato di crisi, con l’adozione di modelli sociali fortemente connotati dal principio di distanziamento sociale, ha condotto le persone a ricercare nuove modalità di contatto, modelli organizzativi sul lavoro e anche abitudini diverse per soddisfare i propri bisogni. Non è una novità affermare come il digitale, in questo, abbia svolto il ruolo del padrone: l’immaterialità del mezzo ha permesso a ogni consumatore di accedere a mercati e player differenti, realtà molto grandi e imprese molto piccole che hanno potuto accelerare il proprio business grazie al web. Ora che la campagna vaccinale è partita, non c’è però da attendersi un “ritorno alle origini”: anzi, è molto probabile che i cambiamenti cui abbiamo assistito in questi mesi diventeranno strutturali, in particolare per ciò che concerne i comportamenti dei consumatori. A tal proposito, per evidenziare come tali mutazioni siano già ben percepibili nel tessuto sociale, Salesforce ha condotto una ricerca dal titolo State of Connected Customer, che si propone di mappare a livello worldwide che cosa attenderci per i prossimi mesi (o forse anni) per ciò che concerne le aspettative dei consumatori.

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    Il Connected customer, fra fiducia, comportamenti e valori dei brand

    Ora, è chiaro che al centro di tutto ci sia proprio lui, il Connected Customer, che come recita il titolo della ricerca è oggetto di un’analisi che va oltre la semplice osservazione: ma cosa significa, esattamente, “consumatore connesso”? La traduzione letterale dall’inglese all’italiano non basta a spiegarlo, anche perché il concetto va al di là del semplice essere “digitale”. Al di là infatti dalla capacità di sfruttare la Rete a proprio uso e consumo, il Connected Customer è prima di tutto un attore attivo e partecipe delle meccaniche che gli si sottopongono: attenziona in modo puntuale il mercato, interagisce con le marche che tentano di attirarne l’attenzione in maniera critica e -soprattutto- ricerca una forma relazionale il più possibile basata sull’empatia. E lo fa online, come offline, sia per ciò che riguarda i punti di contatto con la marca che -espandendo il concetto- alla brand narrative propriamente detta. Ad esempio, proprio nella ricerca emerge come il 68% del campione dichiari di aspettarsi dai brand un approccio empatico (ma solo il 37% riconosce che questo effettivamente avvenga). Facendo un focus su tale sfaccettatura e come questo si configuri, comincia a delinearsi come basilare un valore nuovo per il contesto, quello della fiducia. Si calcola che per 9 persone su 10 la fiducia è la discriminante fondamentale nella scelta di un bene e un servizio: il consumatore quindi non limita solo la propria relazione all’esperienza di consumo, ma si fonde con la valutazione che viene data anche a come questa si declina nella propria vita. Le evidenze che emergono da questo punto di vista sono molto interessanti: dalla generazione dei Baby Boomers agli Zoomers (i facenti parte della GenZ) emerge con forza un senso di sfiducia crescente verso le aziende, cui si imputa una scarsa trasparenza (il 42% arriva ad affermare che non crede che dicano la verità) fino a dire che non agiscano nell’interesse del consumatore (ben il 36%). customer journey strategy Anche per questa ragione, l’aspettativa che le aziende dimostrino concretamente cosa intendono per valori e come intendono impattare nel mondo con azioni fedeli ad essi cresce ogni anno di più: ambiente, iniquità economica e ingiustizie sociali sono alcuni dei macroinsiemi dove il consumatore si aspetta che le aziende agiscano concretamente. Per una relazione che si fa tanto totalizzante, il Connected Customer non può esimersi dall’aspettarsi una capillarità della presenza della marca nella sua vita, sempre più attraverso touchpoint solo digitali e meno “fisicamente”. Questo aspetto, che già nel periodo “pre COVID-19” veniva osservato come aspettativa crescente, ha acquisito ancor più valore considerato che proprio durante la pandemia una larga fetta di consumatori ha dovuto necessariamente avvicinarsi al digitale, non solo per attività legate all’entertainment (fruizione dei social, utilizzo delle piattaforme di video streaming) quanto anche per ordinare e pagare beni e servizi, lavorare, studiare. La contrazione delle interazioni offline ha quindi indirizzato il bisogno di avere marche sempre più digitalmente preparate, in grado di dotarsi degli strumenti più nuovi e delle tecnologie più all’avanguardia (come l’Intelligenza Artificiale) e che accompagnino non solo verso l’acquisto, ma anche nella fase del post-vendita (dove diventa più acuta la necessità di sentirsi parte di una relazione). Il coronavirus ha quindi accentuato i comportamenti trasformando il Connected Customer in una figura decisamente più pretenziosa ma anche più vera, fedele al vissuto quotidiano di tutti noi.

    Momenti di verità e scelte consapevoli

    Quando Jim Lecinsky definisce cosa sia il Momento di Verità “Zero”, senza volerlo, circoscrive questa capacità di osservare e assorbire le informazioni relative all’esistente che contraddistingue il profilo che Salesforce mappa nella sua ricerca. La “connessione” che entra anche nella definizione di questo profilo di consumatore va oltre l’interazione con la sfera digitale, ma entra in meccanismi che sono cognitivi e di valutazione indipendenti anche dalla qualità dell’offerta di brand. In altri termini: il Connected Customer vive nella consapevolezza di essere al centro di meccaniche in cui lui è comunque arbitro, e per questo pretende che al centro di ogni momento di verità (la ricerca, l’osservazione, la conversione e la valutazione) vi sia un contributo autentico e veritiero. Questa sua capacità di assorbire continuamente informazioni (che lo rendono, scherzosamente, una specie di hardware sempre in funzione) e di giudicarle obbliga le marche a sfruttare la sua “connessione”, costruendone di nuove. Customer Journey Il “come” questo possa avvenire dipende da una buona applicazione delle tecniche di Marketing Intelligence e di una sapiente elaborazione di un marketing mix che conti su media sempre performanti e tailor made. Sembrano banalità, ma oggi anche un chatbot che risponde in maniera spersonalizzata e poco curata rischia di generare un corto circuito nel percepito dell’interlocutore umano. Questo vale a prescindere dalle fasce d’età, che pur rimanendo distanti fra loro hanno dal punto di vista anagrafico presentano dei tratti comuni inconfondibili, che riconducono comunque al profilo del Connected Customer. Una trasformazione che, dicevamo poco su, era già cominciata prima della pandemia, e che nonostante il Coronavirus non si potrà fermare.

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