La proliferazione irrazionale di iper e supermercati ha portato, negli ultimi anni, non solo allo stravolgimento del tessuto urbano ma anche alla chiusura di centinaia – se non addirittura migliaia – di piccoli negozi alimentari.
Le classiche “botteghe di paese”, di cui spesso sentiamo parlare, con nostalgia e rassegnazione.
Tuttavia, a favorire l’espansione e l’affermazione della GDO in Italia, a scapito delle piccole produzioni artigianali, siamo stati noi.
Proprio noi, che oggi ci lamentiamo di ciò che abbiamo perso.
In realtà, però, la nostra è stata una scelta obbligata: la diminuzione dei salari, infatti, e l’aumento del tasso di disoccupazione – soprattutto tra gli under 30 – hanno richiesto una maggiore attenzione alla spese e una più oculata gestione del portafoglio.
E la GDO, grazie al proprio potere contrattuale – di gran lunga superiore a quello delle piccole realtà commerciali – è riuscita a soddisfare questa necessità, che “fa le pulci” al centesimo.
È cambiato, dunque, il nostro modo di fare ed intendere la spesa, che da occasione di socialità è diventata attività routinaria: camminiamo a passo svelto lungo le corsie, con lo sguardo fisso sulle offerte, segnalate mediante cartellini ed etichette fluorescenti, e riempiamo il carrello di prodotti all’apparenza convenienti, della cui provenienza e composizione raramente ci interessiamo.
Insomma, ci mescoliamo tra la folla, cercando di mantenere, se possibile, l’anonimato. Un tempo, invece, la realtà era ben diversa – come i nostri nonni e genitori ci possono confermare.
Fino agli anni 80′, infatti, fare la spesa nelle botteghe di paese era assolutamente normale.
La vita si svolgeva principalmente all’interno di piccoli centri urbani, dove ci si conosceva tutti, tanto che molte famiglie venivano identificate con soprannomi spesse volte stravaganti, legati a caratteristiche somatiche o comportamentali del capostipite.
Dunque, era difficile passare inosservati.
E chi entrava in negozio, lo faceva anche per scambiare “quattro chiacchiere” con un amico oppure con un conoscente, magari per ovviare a quella solitudine che oggi attanaglia molti di noi, nonostante le numerose soluzioni per tenerci in contatto.
Una quotidianità più semplice e, senza dubbio, meno pretenziosa di quella attuale, in cui le relazioni umane rivestivano ancora un ruolo importante, fondamentale.
Perfino con i negozianti si tendeva ad instaurare un rapporto sincero, di fiducia reciproca, che sottendeva la certezza di un buon acquisto. Poi, come vuole l’antico proverbio, il pesce grande ha mangiato quello più piccolo, e la “magia” è svanita in una nuvola di bolle.
Tuttavia, alla trama romantica – e a volte drammatica -, che possiamo costruire attorno ai piccoli negozi alimentari, dobbiamo aggiungere che, pian piano, queste realtà stanno tornando alla ribalta, anche grazie all’aumentata sensibilità delle persone verso temi come la sostenibilità ambientale e il chilometro zero.
Sempre più persone, infatti, ricercano prodotti dal gusto genuino ed autentico, provenienti da piccoli produttori locali che, alla sapienza artigianale, uniscono amore e passione per il proprio lavoro.
Un segnale, dunque, di ritorno alla semplicità, al piacere di conoscere e del mangiar bene, oltre che della socializzazione.
E anche se la GDO continuerà la propria espansione, offrendo una varietà sempre più grande di prodotti, c’è chi, nel proprio piccolo, cercherà di dare valore alle specialità regionali, soprattutto grazie alla propria personalità e alla capacità di “saper raccontare”, senza necessariamente dar adito a superflue forme di competizione.
E se in questo periodo, in cui gli spostamenti sono stati limitati, proviamo ad entrare nella bottega più vicina a noi, potremmo accorgerci che:
A volte basta poco per smentire un luogo comune, quanto mai obsoleto. In ogni caso, ad oggi, sostenere un piccolo commerciante, significa anche garantire la sopravvivenza di quella micro-economia, senza la quale la macro-economia non esisterebbe.
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