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  • Cosa significa Street Culture e come fa un brand a parlare con le nuove generazioni

    Lo abbiamo chiesto a Domenico Romano, Head of Marketing and Communication AW LAB e speaker a N-Conference

    31 Gennaio 2020

    Con il suo impegno in AW LAB dà spazio e voce alla Generation Z, nella speranza di creare un mondo migliore per tutti coloro che hanno più futuro che passato. Domenico Romano è Head of Marketing di uno dei brand più innovativi degli ultimi anni, è devoto alla creazione di storie, al consumatore e al ritorno sull’investimento, in passato è stato Direttore Marketing in Europa e Stati uniti per importanti brand Retail e Largo Consumo. Ci ha dato in una intervista un assaggio del suo punto di vista sul marketing in relazione alle nuove generazioni, di cui parlerà durante N-Conference, dove AW LAB sarà Culture Vertical Partner, regalandoci anche utili insight sui trend da tenere d’occhio nel 2020 e nel prossimo futuro.

    Cos’è la Street Culture e chi è la Generazione Z

    Innanzitutto raccontaci cosa significa Street Culture e come un brand può declinare questa cultura? «Per AW LAB il concetto di Street Culture parte proprio dalla base semantica della parola cultura. Oggi intendiamo per cultura la formazione dell’individuo che possa insegnargli a stare nella società nel miglior modo possibile. E il punto è proprio questo: cercare di dare un’interpretazione della società attuale. La Street Culture è il modo in cui le nuove generazioni si stanno formando. Sembra strano raccontare questa cosa, perché in genere siamo abituati a pensare alle nuove generazioni come ai ragazzini, nascosti dietro i mezzi di comunicazione, che hanno poi difficoltà nel relazionarsi agli altri. In realtà secondo noi c’è un problema di fondo di comprensione di questa generazione e crediamo fortemente che sia, invece, una generazione che sta costruendo una cultura di strada molto forte». LEGGI ANCHE: Vi raccontiamo AW LAB IS ME, il format musicale che ha unito Nike, adidas e Puma (insieme a Sony Music) Le nuove generazioni sono mondi ancora da scoprire, anche nel confronto con una tecnologia in frenetico progresso. Come si fa a parlare a questa generazione e qual è il segreto per non fermarsi mai? «La tecnologia ha cambiato sia il loro modo di accedere alle informazioni, sia il loro modo di raccontare queste informazioni. Lo strumento chiave di tutto questo è il mobile. Già confrontando la generazione dei millennial o la generazione X, rispetto alla generazione Z, il grosso cambiamento è nel passaggio dal desktop al mobile. Se prima consideravi il reperire informazioni un’attività che era possibile svolgere in un sistema di stato in luogo (vado in un posto, mi informo e poi vado fuori per raccontarle agli altri), oggi puoi stare fuori per prendere informazioni, poiché hai degli strumenti che ti garantiscono l’accesso alle informazioni 24 ore su 24. Ma soprattutto l’accesso allo story-doing, che è il vero grosso passaggio di questa generazione, rispetto allo storytelling più millennial. Ovviamente tutto questo crea un sistema di fruizione e di lettura del mondo completamente nuovo. Questo nuovo sistema di valori si può definire come Street Culture e si appoggia poi su pillar fondamentali come l’arte, la musica, i viaggi, il design, ma anche una diversa interpretazione degli spazi».

    Da Brand a Media, come si passa dal racconto all’ascolto

    AW Lab è una delle prime realtà che ha saputo trasformarsi da brand in media. Cosa significa questo e come lo avete realizzato? «Tutto è cambiato all’improvviso. Immagina il lavoro del marketing un po’ di anni fa. Noi prima creavamo una storia, avevamo dei mezzi di comunicazione che erano molto impattanti (perché arrivavano a molte persone) e sui quali conveniva investire tanto. Bisognava quindi creare una storia molto forte e si aveva un ritorno dell’investimento dovuto al fatto che questo film si poteva proiettare per un tempo medio-lungo attraverso dei mezzi di comunicazione di massa (Out-of-home, televisione, radio ecc.). All’improvviso questo approccio al marketing è saltato completamente, perché cambiando i mezzi di fruizione del mondo e quindi i mezzi di comunicazione, e avendoli iper-frammentati (basta pensare a tutti i diversi social network che usiamo sul nostro smartphone), ma mantenendo lo stesso budget, lo split di questo investimento cresce esponenzialmente. Oggi cioè non conviene più creare una storia che duri sei mesi o pretendere che ci sia qualcuno disposto ad ascoltare una storia per sei mesi. Questo ha rivoluzionato completamente il nostro modo di fare marketing, che si è spostato un pochino di più dal racconto all’ascolto. Si è passati da una forma in cui si disegnava una storia per raccontarla, attraverso gli strumenti che c’erano a disposizione, a una situazione in cui tu crei le forme di dialogo (i format), dai le opportunità di espressione, e aspetti che ti arrivi il contenuto adattato a quel format di dialogo. Il nostro lavoro quindi è passato dalla creazione all’ingaggio. Il nostro business è molto semplice da comprendere: tu hai una scatola nella quale inserisci dei prodotti, AW LAB vende anche prodotti di terzi. Ma prova a sostituire alla parola prodotto la parola storia: questo è l’universo di valori di cui stiamo parlando e che creiamo noi perché il nostro lavoro è quello di trasformare le caratteristiche tecnico-funzionali dei prodotti in storie da raccontare. Oggi, se all’interno di questo box di cui parlavamo inserisci dei prodotti e ti aspetti che qualcuno venga ad acquistare questi prodotti, ti stai in automatico limitando perché non hai più la possibilità di raccontare quello che invece questi prodotti rappresentano. Se invece trasformi il prodotto in storia e il marchio non più nel negozietto di 100 mq in cui mettere il prodotto, ma nell’universo di mezzi di comunicazione e di format di cui stavamo parlando prima, che sono fruibili dalla nuova generazione, hai delineato la nuova strategia. Il concetto è che non ho bisogno oggi di creare una storia, ma ho bisogno di creare una linea editoriale e in questa creare format nei quali poter raccontare ciò che vuoi. In automatico ti trasformi da consegnatore di prodotto a consegnatore di storie, cioè da retailer a media». Nelle vostre strategie c’è molta gamification e tanto storytelling. Da dove partono le vostre pianificazioni? Quali metriche analizzate e come nascono le vostre campagne? «Partiamo prima di tutto dall’obiettivo, perché le metriche rispettano un obiettivo. Ma vorrei aprire una piccola parentesi sulle metriche: oggi c’è una estrema attenzione su cosa possiamo misurare e non su come creare qualcosa per poter ottenere numeri migliori. Quindi già partendo da questo presupposto l’approccio cambia. Il rischio delle misurazioni è quello di finire in una spirale del silenzio in cui si fanno sempre le stesse cose e si ottimizzano sempre le stesse cose, senza riuscire a creare innovazione. Tutto deve partire innanzitutto dalla storia, da cosa vuoi ottenere, da cosa vuoi migliorare e da come lo migliori. La prima cosa è darti un ruolo nel mondo. Come azienda ti chiedi: “Perché dovrebbero venire da me a comprare scarpe che possono trovare anche dai competitor?”. Perché io ho un ruolo nel mondo e rappresento qualcosa di diverso. Noi abbiamo due grossi valori: il primo è il concetto di empowerment di AW LAB Generation, quindi tutto quello che facciamo e che racconta il nostro brand è teso a dare una chance o a dare visibilità a questa generazione (i nostri talent show, la possibilità di entrare a far parte della nostra community, le nostre campagne pubblicitarie ecc.). Il secondo è quello di business. La nostra industry è molto particolare perché è l’unica all’interno di tutto il fashion world che ha il settore donna che pesa soltanto il 20%. I pesi, cioè, sono completamente invertiti. Noi siamo quelli che vogliono portare avanti questa rivoluzione femminile per differenziarci rispetto agli altri. Incentiviamo quindi tutta la comunicazione e il mix di prodotto verso il settore donna. Come facciamo a capitalizzare questi investimenti e questi elementi di differenziazione? Innanzitutto se ti trasformi in media hai anche aperto una nuova voce di revenue, quindi stai evolvendo il tuo business model: dal fare semplice trade-in e trade-out di prodotto ora riesci a vendere spazi pubblicitari all’interno del tuo network. Anche una voce minima di revenue, consente di soddisfare i criteri di differenziazione e anche con una piccolissima voce di revenue permette di portare avanti un update del business model. Come sapere se questi investimenti stanno funzionando? In modo semplice: noi abbiamo dei KPI all’interno dei nostri spazi che sono quelli classici (numero di conversioni, scontrino medio, traffico dei clienti all’interno del negozio). Dal punto di vista Retail, più clienti scelgono il tuo spazio e quindi il tuo marchio, più significa che il brand è attrattivo. Tutte le persone che ti seguono possono essere trasformate in shopper, quindi KPI numero uno è il traffico in-store. Nell’epoca dell’omnicanalità il traffico in-store ha però un compagno che è il traffico online. Oggi il problema di tutti i retailer è che tendono a separare la vendita online dalla vendita fisica, cioè non partono dalla consumer journey, dal consumatore, ma partono dal canale di distribuzione. Invece il senso del network è quello di avere degli spazi, di poter considerare quante persone entrano in questi spazi, quante persone seguono il brand (che possono essere trasformate in potenziali clienti) e quanti sono gli utenti unici, cioè quante nuove persone porti nei canali online. Questi tre numeri crescono se la tua strategia di brand è premiante. Una volta tenuta in considerazione la diffusione del marchio (brand diffusion), va capito come le persone ti stanno seguendo, cioè se ti apprezzano all’interno di questo processo. Il giudizio positivo o negativo va analizzato, va preso in considerazione, ma in ogni caso va sintetizzato non in un giudizio morale o semantico, ma nella parte di engagement rate. Quindi tanto per l’online quanto per l’offline, quante persone interagiscono con il tuo brand (entrano nei negozi, inviano un commento, partecipano ai tuoi contest) ti dà la seconda base di solidità del brand. Infine ovviamente abbiamo tutto quello che riguarda i dati di enti esterni che certificano il lavoro fatto sul marchio, che con i loro index danno un valore della crescita del business». LEGGI ANCHE: La gamification per un rapporto nuovo coi clienti. Come funziona AW Lab Club

    Le parole chiave del futuro nel Marketing

    Ci indichi alcuni trend di Marketing che dovremmo tenere d’occhio nel futuro? «Uno su tutti è il concetto di sostenibilità, ma non inteso come approccio al green. Io parlo di sostenibilità culturale. Questa generazione è in lotta perché vive in classi multietniche, ma poi si trova davanti a politici che parlano di chiusura dei porti. È una generazione cresciuta con l’accesso alle informazioni globali, senza barriere, e oggi si parla di chiusura, di limiti, di dazi doganali e di impossibilità di spostamento di persone. Una generazione che non conosce differenze di sessi, anche nel come si esplicita la sessualità, non conosce differenze di gender e si ritrova ancora in un mondo dove c’è una disparità forte tra uomini e donne. Quindi il primo grosso trend è questo: l’ascolto della nuova generazione in ottica di sostenibilità, perché se ascoltassimo un po’ di più questa generazione saremmo in un mondo migliore, in cui i porti sono aperti, in cui non ci sarebbe più etichettatura tra uomini e donne. I brand in questo senso devono mettersi all’ascolto e devono farsi rappresentanti e amplificatori di questa generazione, che è il lavoro che cerchiamo di fare anche noi con AW LAB. Dal punto di vista invece di distribuzione e di prodotto, l’overload di informazione che hanno questi ragazzi porterà alla ricerca di un prodotto con un connotato di status sempre più alto. Un prodotto deve cioè rappresentare qualcosa. Se tu puoi trovare quello cerchi dove vuoi, quando vuoi e come vuoi, il valore del prodotto in sè diminuisce, perché non hai più il costo opportunità dell’andare in negozio, trovare il tuo numero e avere una chance limitata di acquistare. I marchi hanno reagito a questo scenario con una iper-segmentazione, cioè immettendo pochi prodotti sempre più diversificati sul mercato (l’edizione limitata, per intenderci). Questo porta dei pregi e dei difetti: i brand devono lavorare sempre di più in termini di innovazione, ma i margini tenderanno a ridursi. In questo senso sarà un trend che continuerà a crescere, con collaborazioni e capsule collection. Un altro trend dal punto di vista di fruizione sarà invece la possibilità di permettere di accedere all’acquisto in qualsiasi modo e dovunque vuoi, quindi si continuerà a investire sul mobile o su qualsiasi strumento che permetta la connettività in qualsiasi momento. Dal punto di vista strettamente di marketing diminuiranno gli investimenti in storytelling come lo abbiamo conosciuto finora (con grosse campagne) e aumenteranno gli investimenti in life changing activity, cioè tutto quello che promette che grazie al tuo impegno tu possa cambiare la tua vita o cambiare il mondo. Il 2020 sarà l’anno delle grandi promesse, in cui i marchi cominceranno a fare proposte per avere un impatto forte sulla società, che non significa solo piantare un albero».