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  • Da Pirelli a Candy, tutte le acquisizioni cinesi in Italia degli ultimi anni

    Pirelli, Krizia, Ferretti, il Milan, l'Inter e anche Candy

    16 Gennaio 2019

    È ormai un rospo già ingoiato e metabolizzato la notizia di qualche mese fa sul cambio di passaporto di Candy: la storica azienda italiana di elettrodomestici parla già mandarino come il suo nuovo proprietario, il colosso Qingdao Haier che ha recentemente perfezionato l’acquisizione dell’azienda ora interamente controllata dal gruppo cinese, quotato alla Borsa di Shanghai.

    Breve storia del passaggio di Candy alla Cina

    Il gruppo italiano della famiglia Fumagalli di Brugherio, già in difficoltà finanziarie da diversi anni, ha ceduto Candy per una cifra non proprio misera: 475 milioni di euro. L’azienda della storia Automatic mantiene il quartier generale italiano ma diventa centro operativo della sola Europa per il nuovo gruppo ormai denominato da qualche giorno Haier Europa. Il fatturato di 1,4 miliardi di euro di Candy ora si somma ai 30 del colosso cinese e permette al nuovo Haier di ottenere il quinto posto tra le aziende di elettrodomestici dell’Europa occidentale. Candy non è la prima realtà italiana ad essere assorbita nel mercato cinese e lo sappiamo, ma rispetto a molte piccole aziende un nome dell’industria degli elettrodomestici come questo non passa inosservato. Oltre all’ingente fatturato, Candy lascia nelle mani dei cinesi anche 4100 dipendenti sparsi tra gli stabilimenti di Europa, Turchia e (già presente da tempo) Cina. LEGGI ANCHE: Dopo Dolce&Gabbana tocca a Burberry, bufera sui social in Cina

    Le altre acquisizioni cinesi

    La Cina è attenta agli scenari internazionali e fa leva su rinomate debolezze, insinuandosi lentamente ma con efficacia nelle strutture finanziarie dell’Occidente. Quella di Candy non è tra le acquisizioni cinesi che ha sconvolto di più il tessuto economico nostrano: non dimentichiamo lo storico passaggio a Oriente di Pirelli. Il cambio di casacca di Pirelli sta per compiere quattro anni e riguarda una delle società più stabili e antiche dell’assetto industriale italiano. Pirelli è quotata alla Borsa di Milano dal 1922 fino al 2015, anno in cui ChemChina, la sua controllata Crnc, Camfin, Coinv (controllata da Marco Tronchetti Provera, Unicredit e Intesa) e la russa LTI fanno un accordo di coinvestimento e reinvestimento. Oggi Tronchetti Provera rimane il CEO e secondo azionista, ma l’azionista di maggioranza è Ning Gaoning di ChemChina. La Cina ha messo in atto acquisizioni per almeno 318 miliardi di dollari negli ultimi dieci anni in tutto il mondo ma la sua passione per l’Europa (Regno Unito soprattutto) non ha pari: è qui che i cinesi hanno compiuto il 45% di operazioni in più che negli Stati Uniti, valutate in dollari. Dunque l’Italia non è la sola del vecchio continente e prima di lei c’è ancora la Germania. I settori industriali in cui i cinesi hanno investito di più dal 2008 sono la chimica (48,8 miliardi di dollari), l’energia (25,9 miliardi), mercato immobiliare (23,9 miliardi), miniere e attività estrattive (23,1 miliardi), Internet e software (15,1 miliardi), automotive (14,8 miliardi) e finanza (14,3 miliardi). Ma la lista dello shopping cinese  in Italia è molto lunga e include anche il gruppo Ferretti Yacht, il brand di moda Krizia, l’oleario toscano Salov con i suoi marchi Olio Sagra e Filippo Berio, Buccellati (alta gioielleria). Ci sono inoltre le operazioni sulle blue chip italiane come Generali, Telecom Italia, Eni, Enel, Fiat e Prysmian, dove la People’s Bank of China oggi detiene almeno il 2% delle azioni.

    Il mondo del calcio

    Forse tra le acquisizioni più chiacchierate e popolari che gli italiani ricordano (e condannano) più facilmente ci sono quelle delle società sportive milanesi. In pochi anni Inter e Milan hanno infatti cambiato (diverse) nazionalità, almeno sulla carta, anche se per la rossonera l’iter è stato molto tumultuoso. LEGGI ANCHE: Calcio e social media: Inter Tutto inizia nell’agosto 2016 quando Li Yonghong firma il preliminare per l’acquisto della società sportiva AC Milan lasciando un acconto. Nel febbraio dell’anno successivo la holding Ji Ande di Li Yonghong non paga i debiti con una banca cinese ed è costretta a vendere parte della sua partecipazione nella società quotata. Nonostante ciò ad aprile termina l’acquisto del Milan con il benestare di Fininvest che reputa il fondo di Li finanziariamente stabile. La storia della successiva bancarotta della holding di Li ha fatto notizia nell’estate del 2018 etichettando l’avvenimento come una compravendita poco trasparente. Per quanto riguarda l’Inter la storia è un po’ diversa: la società nerazzurra è stata rilevata dalla Suning Holdings Group che nel giugno del 2016 ne ha acquisito il 68,55% delle quote diventando, dunque, azionista di maggioranza.

    La strategia del New Normal

    Candy non è la sola. La Cina punta soprattutto ad assorbire il know-how aziendale, valore di cui l’Italia continua ad abbondare: non si tratta quindi di mere operazioni finanziarie. Dal 2012, l’economia cinese ha mostrato un mercato rallentamento, con tassi di crescita in calo dai livelli a due cifre (prima della crisi finanziaria 2007-2009) a circa il 7% nel 2014. LEGGI ANCHE: Il Presidente cinese vuole liberare il Paese dal dominio tecnologico dell’Occidente Nel 2014, il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che la Cina stava entrando in uno stato ormai definito a livello internazionale come “New Normal” (新 常态). Questo termine è stato in seguito reso popolare dalla stampa e ha fatto riferimento alle aspettative di un tasso di crescita del 7% in Cina per gli anni a venire. Il tutto indicativo dell’anticipazione da parte del governo cinese di una crescita economica moderata, ma forse più stabile nel medio-lungo termine. La Cina del New Normal accumula capitale lentamente ma non frena gli investimenti esteri, superando di molto gli standard internazionali. Una strategia geniale e controcorrente rispetto al mondo intero che invece vede inesorabilmente fallire le proprie colonne portanti dell’economia domestica.