Come funziona l’Academy per i futuri dipendenti non cinesi di Alibaba

Che il gigante dell’eCommerce Alibaba abbia avviato il suo programma di espansione globale nell’universo delle vendite online era già chiaro. Il colosso cinese ha infatti da tempo messo in atto un processo di modernizzazione aziendale per allontanarsi (almeno apparentemente) dalla classica struttura corporate cinese.

Ma c’è un altro progetto culturale attivo che mira a sensibilizzare i dipendenti stranieri alla cultura aziendale di Alibaba nonché alle fortissime radici cinesi che ne Jack Ma ne le politiche interne vogliono abbandonare. Si chiama AGLA ed è l’accademia che forma le nuove reclute dell’eCommerce.

Quella messa in atto da Alibaba è una vera e propria propaganda aziendale intenta ad aprire le porte di una cultura spesso idealizzata quanto criticata. Ma come funziona questo processo di “cinesizzazione”? E soprattutto, quali sono i mezzi messi a disposizione da Alibaba per i suoi (futuri) dipendenti stranieri?

Alibaba Global Leadership Academy: l’accademia di formazione per stranieri di Alibaba

Alibaba sta diventando un fenomeno sempre più globale grazie anche a molti centri di ricerca e sviluppo in apertura in tutto il mondo e agli investimenti in diverse società internazionali tra India e sud est asiatico, ma sta anche permettendo a molti lavoratori stranieri di unirsi ai suoi progetti in Cina.

La novità che dal 2016 ha sancito l’internazionalizzazione dell’azienda si chiama AGLA, acronimo di Alibaba Global Leadership Academy, ossia un programma di formazione per stranieri. Il progetto formativo della AGLA dura un anno e ha l’intento di attivare un “programma di formazione talenti dedicato alla promozione dei futuri leader internazionali di Alibaba nella new economy”. Il programma annuale parte a luglio e vengono selezionati ogni anno circa 20 membri tra i più di 6 mila che fanno domanda.

Attraverso l’esperienza di diverse attività lavorative a rotazione nelle varie unità aziendali di Hangzhou e alla formazione degli studenti con un percorso quasi accademico, i membri della AGLA ricevono un training mirato all’assunzione in Alibaba. Una vera e propria scuola professionale, insomma, per formare i dipendenti lao wai (gergo per “straniero”) del futuro secondo standard ben precisi. In palio (sulla carta), oltre all’assunzione, un cospicuo salario comprensivo anche di benefit di vario genere.

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Alibaba si “occidentalizza”, o sono i dipendenti che si “orientalizzano”?

Il campus nell’head quarter di Alibaba se comparato ad altri di grandi aziende occidentali può sembrare abbastanza scarno: si tratta infatti di uffici open space con scrivanie condivise senza sfarzi architettonici particolari. Come racconta Brian Wong, direttore della AGLA, i dipendenti di Alibaba hanno tre mense a disposizione che servono cibo cinese di alta qualità, ristornati per brunch o cucina locale di Hangzhou, due Costa Coffee e uno Starbucks, una palestra di modeste misure ma con tutti gli attrezzi necessari, un parrucchiere e un centro massaggi (per quanto in Cina non siano rarissimi da trovare).

Se comparato a Google o Facebook, l’head quarter di Alibaba non spicca particolarmente, tuttavia, secondo Wong, gli standard della sua azienda non sono male se a confronto con quelli della media cinese. Quello che si richiede ai dipendenti è comunque un’integrazione culturale: gli sforzi di Alibaba per una discreta occidentalizzazione devono essere compensati da un avvicinamento dei dipendenti non cinesi alla cultura sinica. Chi lavora in Alibaba o entra attraverso la AGLA, infatti, deve seguire lezioni obbligatorie di cinese mandarino e partecipare a diversi viaggi in giro per la Cina per visitare i distaccamenti aziendali, partner e tappe turistiche obbligatorie.

L’intento dell’accademia di Alibaba è quello di indirizzare lo staff verso una comprensione completa della cultura cinese e della sua situazione politica, economica e filosofica sempre ponendo al centro del contesto l’azienda. Il vero obiettivo è soprattutto quello (se possibile) di instradare la cultura individualistica tipica dell’occidentale verso il senso di collettività su cui la storia moderna cinese basa i suoi pilastri.

Cultura aziendale, cosa cambia tra oriente e occidente

Secondo Wong, la più grande frustrazione con cui i dipendenti stranieri nella sua azienda devono scontrarsi è la modalità di decision-making un po’ troppo “improvvisata”, senza criteri standard. I capi possono facilmente cambiare i ruoli e gli obiettivi essere annullati senza il dovuto preavviso.

Alcuni membri dell’accademia riportano come “avvenimento completamente normale” secondo l’azienda, una chiamata nel cuore della notte da parte dei superiori per annunciare cambiamenti strategici all’interno del team: un evento che pur paradossale riesce a spiegare la divergenza culturale in ambito corporate che c’è tra il metodo occidentale e la “cultura del materasso” che ha reso grande Huawei.

Brian Wong direttore dell’AGLA

Le nuove reclute occidentali, se si tratta di persone già con esperienze corporate non cinesi alle spalle, si lamentano di Alibaba ancor più facilmente: trovano il luogo troppo caotico, una mancanza di struttura aziendale e servizi inefficienti.

Probabilmente, come conferma anche Wong, il motivo sta nella continua e velocissima trasformazione delle tecnologie che impedisce di temporeggiare e dedicare spazi alle esigenze dei lavoratori, ma chi conosce un minimo il mondo cinese, specialmente quello aziendale, sa bene che si tratta di un comportamento che dalla fine dagli anni ’70 non ha mai abbandonato il sistema produttivo della Terra di Mezzo.

Lavoro, lavoro e ancora lavoro, nel nome della collettività, della globalizzazione e di un’economia che ha già cambiato il mondo e che continuerà a farlo.

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Chiara Morini

Mangiatrice compulsiva di serie tv e graphic novel, sinologa a giorni alterni, (soprav)vive a Roma ma intraprende frequenti voli pindarici intorno al mondo. Ha iniziato come soffiatrice di cartucce del Nintendo per arrivare (non chiedetele come) nel mondo eCommerce del settore moda. Alla domanda "cosa vuoi fare da grande?" risponde: "tutto, basta che sia creativo!".

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