Cos’è la “followership” e perché puoi contare più del tuo capo

Quando in azienda le cose vanno male la responsabilità viene sempre attribuita al capo. Stesso discorso per un successo: i meriti sono soltanto del leader. Ma una buona leadership non è tutto. Nel funzionamento di un’organizzazione sono fondamentali i follower. Che non sono solo quelli di Twitter. Non sono seguaci passivi, adepti senza capacità di giudizio. Sono i dipendenti, gli impiegati di una società, dotati di senso di responsabilità e capacità di lavorare in gruppo per un obiettivo. Da loro dipende in gran parte la buona o la cattiva riuscita di un progetto.

La followership, spiegata

Il concetto di “followership” è stato studiato molto meno di quello di “leadership”. Dei lavori sulla followership che sono stati scritti soprattutto negli Stati Uniti, pochi sono stati tradotti in italiano. Di solito la capacità di essere buoni dipendenti viene considerata solo come l’altra faccia dell’essere un ottimo leader ma si tratta di due cose differenti.

In diverse situazioni della vita una stessa persona è leader e in altre è follower. Ma, secondo gli esperti, un seguace che mostra serietà e buon senso avrà alte probabilità di diventare un ottimo comandante. Conviene imparare a rivestire entrambi i ruoli.

Secondo uno degli studi più autorevoli sul tema, In praise of followers“, pubblicato nel 1988 da Robert Kelley e tradotto in italiano nel 1992 come “Il potere dei collaboratori”, il contributo del leader incide solo per il 15% sui risultati, mentre il 75% dipende dai collaboratori. Ecco alcune caratteristiche che dovrebbe avere un buon follower:

Competenza

Il follower ideale ha una vasta preparazione ed esperienza nel settore di cui si occupa. Il leader deve poter fidarsi di lui in modo da potergli delegare compiti in libertà e senza rimorsi. Un buon collaboratore cura la sua formazione in modo continuo e non si ferma mai nell’auto perfezionamento.

Spirito critico

Fra il collaboratore che si lamenta di tutto e chi esprime un’opinione motivata in dissenso con quella del resto dell’organizzazione, c’è una bella differenza: il buon follower è quello che ha sempre in mente il bene dell’azienda e non il proprio interesse personale. Le sue critiche sono fatte solo in funzione del benessere del gruppo.

Autorganizzazione

Fa il paio con la competenza. Il follower che tutti sognano sa gestire in modo autonomo la sua timetable, rispettando ogni deadline. Non ha bisogno di chiedere il parere del capo prima di ogni piccolo passo. In questo modo faciliterà il lavoro dell’organizzazione e lascerà più tempo al leader.

Team working

Quasi banale. Il collaboratore ideale deve saper giocare di squadra e tenere sotto controllo il proprio ego. Il successo è il raggiungimento degli obiettivi del gruppo e non la gloria e l’autopromozione.

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Coraggio

Niente paura di contraddire il proprio capo. Il follower perfetto si percepisce come pari di chi conduce l’organizzazione e per questo non adotta mai atteggiamenti servizievoli. E’ sempre pronto ad assumersi la responsabilità delle sue decisioni.

Discrezione

Bocciate le chiacchiere di troppo, i pettegolezzi. Da un buon follower sono auspicate la riservatezza nel raccontare le vicende interne all’azienda al di fuori di questa e l’attenzione a non parlare male del capo alle sue spalle, soprattutto se in pubblico.

Sincerità

Mai mentire sui propri errori. Conviene ammetterli e pensare subito a un modo per riparare la situazione, invece che a scuse e giustificazioni da inventare di fronte al superiore.

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