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  • Largo al lavoro liquido: è finita l’era dei percorsi lavorativi lineari

    Come cambia il match del lavoro nell’era dello slash-working

    16 Aprile 2021

    • Siamo tutti “slasheur”: cambiano i paradigmi delle professioni tra freelance e lavoro dipendente.
    • Le piccole grandi rivoluzioni sostenibili che le aziende possono innescare nel mercato del lavoro con il recruiting responsabile.
    • “Assumere fiducia” è il concetto chiave per motivare alla ricerca di lavoro e portare in azienda i valori e le attitudini necessarie per l’organizzazione.
    La sovrapposizione ormai problematica tra vita professionale e vita personale, il nomadismo digitale e il lavoro agile, l’obsolescenza delle competenze per via della trasformazione digitale, rappresentano i cardini di una trasformazione critica del lavoro che va di pari passo con i cambiamenti profondi innescati negli anni della pandemia. In questo scenario, si modifica vistosamente anche il concetto di occupabilità, da considerare come la capacità delle persone di trovare un lavoro, di mantenerlo o di saperlo comunque cercare in maniera attiva. Un processo che era già in atto negli ultimi anni (vd. Il Report  2018 del progetto EU “Independent Workers and Industrial Relations in Europe”) e che ha inevitabilmente accelerato la sua evoluzione, mese dopo mese, e continuerà a farlo. lavoro agile Il mito del posto fisso, già incrinato da tempo, ha generato uno sgretolamento definitivo anche dei percorsi lavorativi “lineari”. E in un mondo dove “non sappiamo ciò che non sappiamo” (come rappresenta il framework del Cynefin – kəˈnɛvɪn), se il mercato del lavoro è sempre più incerto, per il job seeker perseguire la ricerca di più posti di lavoro anche inconciliabili tra loro diventa una tattica. Sia che il fenomeno sia di tipo congiunturale oppure una scelta consapevole, non può essere sottovalutato anche dall’universo delle grandi aziende, soprattutto se sono alla ricerca di “talenti”.

    “Job Surfers”, “Lance Libere” e “Professioni barrate”

    Quanto mai centrate suonano le parole che sir Walter Scott faceva dire al Capitano dei Free Companions nell’Ivanhoe: “Grazie a questi tempi inquieti, un uomo d’azione trova sempre un impiego”. In quel romanzo, che ha fatto la storia della letteratura, veniva coniato per la prima volta il termine “free-lance” per descrivere un soldato mercenario medievale; oggi sta a significare un libero professionista che presta il proprio operato per diverse organizzazioni dove nello specifico il soggetto non ha clienti diretti ma soprattutto indiretti, perché sono resi disponibili dai committenti. Una sorta di “subappalto” di opportunità dove però si gioca un ruolo fondamentale se si è esperti nella risoluzione di problemi specifici attraverso il mettere a disposizione le proprie competenze. Ancora di più questo concetto è radicalizzato dalla presenza sempre più crescente di “slashworkers” che, come spiega Matteo Sola, sono in molti casi persone di talento, dotate di competenze che risultano essere scarse sul mercato (come nel caso delle competenze digitali) che, non avendo il mito del posto fisso e delle sue garanzie, infatti, non hanno nessun interesse a diventare collaboratori fissi di un’azienda. Certamente, molti di questi profili sono spinti dalla necessità, per dirla all’inglese, del ““keep body and soul together” (sbarcare il lunario), che trovano espressione in molte professionalità della gig economy, ma ancora più spesso si tratta di ibridazioni consapevoli, soprattutto a livello aziendale. Per giunta, come sottolinea Marielle Barbe in “Profession Slasheur” si tratta di un fenomeno che riguarda più generazioni, non solo quelle più giovani, e che riflettono il desiderio di attribuire sensemaking alle proprie attività lavorative in maniera deliberata. Lo slash “/”, che contraddistingue sempre di più le headline dei professionisti nei propri profili Linkedin, è così il simbolo forse di una crisi di identità professionale, che culturalmente sta cambiando la nostra abitudine a catalogare le persone secondo il lavoro che fanno (ed è sempre più spinoso porre la domanda “cosa fai nella vita?”). Per le nuove generazioni, i tempi in cui ci si poteva identificare col proprio lavoro sono finiti. Le carriere sfuggono alle classificazioni classiche che la generazione precedente sovrapponeva alla vita personale per trenta o quaranta anni. Nelle piccole località italiane è sempre stato naturale identificare “il maresciallo”, “l’avvocato” o il “dottore” come identità nette che rappresentavano anche valori e profili di personalità già delineati. colloquio di lavoro Come sottolinea Nicolò Andréula in Flow Generation, gli economisti identificano questo comportamento come path dependency (dipendenza dal percorso): crediamo di sapere chi siamo e in cosa siamo bravi perché abbiamo studiato una certa materia o perché abbiamo lavorato in un certo ambito per anni. Ma oggi il mito del posto fisso non trova più lo stesso spazio di applicazione. Si tratta di costruire un percorso, non di trovare un lavoro, in accordo con le leggi della società liquida denominata da Zygmunt Bauman da ormai diversi anni e diventare dei “giocolieri di mestieri”, mentre ci si rende conto che l’intelligenza artificiale e la tecnologia digitale diventano sempre più presenti nei posti di lavoro, mettendo in crisi le nostre certezze lavorative. Ma esistono anche risvolti innovativi e di cambio di mindset: la pandemia, con il più grande esperimento di remote working della storia dell’umanità, ha fatto vivere ancor di più a tutti un’esperienza che prima era solo una prerogativa dei nomadi digitali, evidenziando molto bene quali compiti e quali mestieri possano essere riformulati in un’ottica diversa nel “new normal” e quali no. Per molti, inoltre, è fiorita l’occasione di immaginare altre professioni o nuove competenze a cui attingere per ricodificare il proprio profilo professionale. LEGGI ANCHE: Benefici (e svantaggi) di smart working e remote working per le mamme e i papà Nel futuro del mondo del lavoro sarà quindi sempre meno importante aver seguito un percorso di carriera lineare. Quello che conterà di più sarà la propria capacità di risolvere problemi specifici e di essere autosufficienti e affidabili nel processo decisionale. La domanda da fare quando ci presentiamo a qualcuno potrebbe pertanto diventare nei prossimi anni non più “cosa fai nella vita?” ma “in cosa sei bravo”?

    Dal responsabile di selezione alla “selezione responsabile”

    In questo panorama di riformulazione delle strategie di employability che riguardano il singolo, come devono essere riformulate le strategie organizzative HR? Accrescere l’occupabilità è generalmente un obiettivo prioritario delle politiche per l’occupazione a livello istituzionale, ma lo sarà sempre di più anche per il mondo del business, che deve favorire la crescita delle persone all’interno dell’organizzazione e riformulare i processi di acquisizione di nuove risorse dalle skills multiple. L’ innovazione, infatti, non è detto che passi unicamente per la digitalizzazione dei processi di selezione, in quanto non è auspicabile renderla un’attività meramente “meccanica”, dove basta pubblicare un annuncio e poi lasciar fare tutto il lavoro all’intelligenza artificiale o ad alcuni specialisti per misurare le persone e individuare senza fatica il candidato più adatto. La ricerca del lavoro reca con sé un costo emotivo per l’individuo sempre rilevante, che rischia di essere ulteriormente caricato dalla tensione sociale ed economica di prossimo avvento, non appena la fine del blocco dei licenziamenti sarà formalizzata. Anche per l’azienda occorre riprendere la dimensione umana del lavoro, evitando i messaggi di assistenzialismo o attribuendo percorsi formativi o nuovi ruoli professionali senza mettere le persone al centro del proprio progetto lavorativo. Ecco quindi alcune piccole, grandi, innovazioni che possono essere attivate nelle funzioni People & Culture aziendali per attualizzare i processi al mercato del lavoro post-pandemico e approcciare la gestione dei talenti in un’ottica sostenibile.

    Job Description Agili

    Nell’approccio Agile declinato sui processi delle risorse umane gli aspetti del reclutamento possono essere ridisegnati iniziando ad operare con la missione del fit culturale tra le nuove risorse e l’organizzazione, puntando sugli aspetti attitudinali ancor prima delle competenze di ruolo. L’intero processo di selezione dovrà però contemplare oltre ai requisiti di tipo tecnico specialistico anche la valutazione delle cosiddette competenze a “T”, degli aspetti motivazionali e del fitting culturale: i tratti di apertura al cambiamento, diversity e adattamento saranno da ritenersi privilegiati per la rappresentazione di un mindset più vicino ai principi “agili”. Gli annunci di lavoro, al di là dei ruoli e delle funzioni presenti negli organigrammi, dovranno esplicitare più marcatamente: gli ambiti di innovazione, di team involvement, di impatto e carriera organizzativa e forse meno segnatamente le sole classiche conoscenze e competenze tecniche richieste dal ruolo. Sarà una misura più “sostenibile” perché dall’informazione più trasparente, più legata ad una visione olistica della persona nonché prodromo indispensabile per la relazione di fiducia reciproca che deve instaurarsi tra il datore di lavoro e il job seeker.

    Corporate Entrepreneurship e Recruiting per team

    Che le nuove generazioni siano maggiormente attratte dall’universo delle start-up rispetto all’ambiente corporate probabilmente non è più un segreto. Attrezzare quindi i processi di recruiting e selezione immaginando l’inserimento di interi gruppi di lavoro già coesi da un’esperienza professionale pregressa (giovani o adulti che siano), potrebbe significare una vera rivoluzione. Magari anche attraverso la costruzione di “Call for Ideas” formalizzate che non siano semplicemente rivolte al singolo, ma anche a team di lavoro (e non per forza sotto forma di contest o hackathon con dei premi in palio). Non è un caso che la spinta verso l’Open Innovation o l’acquisizione di intere Start-up all’interno della galassia Corporate sia stata un processo sempre più diffuso negli ultimi anni. Accompagnata dalla declinazione della filosofia della “Corporate Entrepreneurship” all’interno del contesto organizzativo, la ricerca del lavoro può in questo modo essere incoraggiata all’esterno come percorso collettivo condiviso che favorisca la contaminazione e il networking tra competenze professionali diversificate, che reagisca all’estrema volatilità delle figure professionali identificate dalle linee di business e risponda in maniera più aderente alla ricerca di profili “multipotenziali” o “ibridi”, spesso idealizzati, la cui caratteristica principale è purtroppo sempre l’estrema rarità. lavoro intergenerazionale

    Employability e Multi-generational Learning

    Una visione del mercato del lavoro fluido e contaminato tra esterno ed interno non può che guardare anche alla possibilità di agevolare processi di learning organization che mettano a fattor comune competenze e potenzialità multi-generazionali. Le peculiarità dei senior che l’azienda ha con sé possono essere messe a disposizione delle nuove generazioni per migliorare le skills trasversali di time management, comunicazione efficace, gestione dei progetti, di leadership, etc: skills strategiche che non possono mancare agli “slash-workers” di oggi e di domani. Allo stesso modo, l’avvicinamento della Zed Gen al mondo del lavoro può avvenire, forse per la prima volta nella storia, a partire dalla possibilità di rendere i giovani e i giovanissimi dei “trainer” di competenze tecniche (digitali) o culturali, utilissime ai lavoratori più adulti per il proprio reskilling e il proprio rinnovamento di employability.

    Last 2¢: “assumere fiducia”

    In conclusione, il termine employability rappresenta le caratteristiche individuali e sociali utili al lavoratore e al job seeker di fare fronte ai problemi di adattamento e all’incertezza del mondo del lavoro. Ma sempre di più si fa strada l’idea che per avvicinare domanda e offerta nel mercato, si debba ricostruire il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e persone. L’esperienza dell’home working/remote working ha polarizzato tantissimo il concetto di collaborazione tra azienda e persone, rappresentando minacciosamente sullo sfondo la possibilità di immaginare un futuro dove il “datore di lavoro” può diventare un mero “datore di stipendio”, poiché le mansioni possono essere svolte senza vivere la collettività e i valori culturali di uno specifico brand o di un ambiente particolare. E puntare sulla relazione di fiducia per ricostruire i legami è l’unica strada possibile in tal senso. LEGGI ANCHE: Perché un ambiente di lavoro basato sulla fiducia migliora il processo decisionale In fondo, da sempre, l’interesse e la passione per un lavoro (o per un determinato ambiente professionale) hanno sempre valso molto più dei titoli di studio, dimostrare quello che si è capaci di fare è considerato molto più valido di un’autodichiarazione in un CV e sappiamo tutti che avere già “esperienza” alla prima assunzione è un paradosso a cui inevitabilmente si deve fare fronte intraprendendo un percorso di apprendimento informale all’interno dell’organizzazione diventando solo col tempo efficaci nel ruolo per cui ci si è candidati. Allora “assumere fiducia” significa biunivocamente, prendere coraggio e infonderlo verso il job seeker attraverso gli strumenti e la forza dell’orientamento professionale e, al contempo, portare a bordo in azienda i valori della competenza, della coerenza e della chiarezza sapendoli confermare, giorno dopo giorno, nell’evoluzione continua del lavoro.