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  • Tempi duri per i detrattori dell’istruzione digitale, con le scuole chiuse e l’Italia ferma

    Il fattore umano è ancora decisivo per la crescita cognitiva e relazionale dei ragazzi, ma in questi giorni alcune zone d’Italia non hanno avuto alternative alla sospensione delle lezioni

    6 Marzo 2020

    All’improvviso anche l’Italia si è scoperta più tecnologica e avvezza alle tecnologie di quanto pensasse. Ha fatto di necessità virtù. Le scuole sono chiuse, molti uffici anche. E le aziende che non hanno chiuso promuovono, obtorto collo, lo smart working. Tutta l’Italia è ferma. Non si tratta più di un terremoto o di un’allerta maltempo cricoscritta. Siamo di fronte a un’emergenza nazionale Ma le domande che ci si pone sono molte. Quanti genitori, potendo davvero scegliere, lascerebbero il proprio bambino ore e ore davanti ad un computer e a un microfono per svolgere le lezioni a distanza? Non è forse meglio accompagnarlo in classe dove può incontrare e interagire con altri coetanei e con gli insegnanti? Il fattore umano è ancora decisivo. Soprattutto per la crescita cognitiva e relazionale dei nostri ragazzi. In questi giorni, però, alcune zone d’Italia non hanno avuto alternative alla sospensione delle lezioni. E gli istituti scolastici si sono tutti più o meno organizzati con l’istruzione digitale, dando la possibilità di seguire le lezioni regolarmente attraverso le piattaforme digitali come Skype o WeSchool. Il futuro, insomma, è già qui e la quarantena imposta dal Coronavirus ci ha obbligato a guardarlo in faccia cogliendo l’immensa opportunità che ci offre. Del resto la tecnologia ha già profondamente cambiato, per esempio, la formazione post-universitaria che ha attraversato numerose mutazioni, dall’e-learning degli anni 1990-2000, al continuous, dal digital learning fino al micro learning sul posto di lavoro. La riflessone sulla formazione a distanza si è estesa alla scuola primaria e secondaria che non è, fortunatamente, immune al cambiamento. Se per certi versi le nuove generazioni hanno una spiccata propensione ad integrare le esperienze fisiche all’utilizzo del digitale, per la formazione fin dalle più giovani età c’è ancora molta cautela nell’interferire con i tradizionali metodi educativi. LEGGI ANCHE: Scuole chiuse in tutta Italia: le lezioni a distanza si fanno grazie a una startup e all’istruzione digitale

    Il modello ibrido? Il migliore per il futuro prossimo

    E così, la verità sta un po’ nel mezzo. L’apprendimento online ed il digitale non solo possono garantire l’istruzione in casi di necessità, ma anche migliorare l’esperienza scolastica dei nostri ragazzi in un modello di “blended learning”. Uno studio del Dipartimento della Pubblica Istruzione degli Stati Uniti individua nelle classi di apprendimento misto (blended) risultati statisticamente migliori rispetto ai loro omologhi basati sulla sola istruzione face-to-face. Un recente rapporto del New Media Consortium ha rilevato che i corsi ibridi sono ormai la norma ed un trend crescete nelle scuole, nelle università e nei college di molte nazioni. A confermarlo anche da uno studio “Next generation Learning” finanziato dalla Fondazione Bill Gates che giunge alla conclusione che il “blended learning” (modello ibrido) produce risultati accademici superiori rispetto esclusivamente ai corsi frontali o esclusivamente online. Flessibilità e autonomia si mescolano a interazioni e scambio di esperienza con altri studenti e tutor creando, così un equilibrio perfetto.

    Restiamo umani parola dei padri dell’artificiale

    Del resto lo sostiene anche Sebastian Thrun, ex professore di intelligenza artificiale presso la Stanford University e un pioniere dell’apprendimento a distanza. La sua azienda Udacity offre corsi online per aiutare gli studenti ad acquisire competenze in ambito delle nuove tecnologie esponenziali quali l’intelligenza artificiale, coding e nanotecnologie. Ma nonostante il valore riconosciuto a di tali corsi, lo stesso Thrun sottolinea che solo il 34% di coloro che iniziano i corsi arrivano in fondo. Un rate piuttosto elevato. “L’apprendimento individuale è difficile – sostiene Thrun – Molte persone si imbattono in una sfida anche tecnica insormontabile che non riescono a superare. Senza il tipo di attenzione personale che proviene da forme più tradizionali di training, si demoralizzano e si arrendono”. A fronte di queste constatazioni Thrun ha integrato i propri corsi con incontri ed esercitazioni di team building, creando un senso di comunità tra gli studenti. Anche la fase di gratificazione ha mantenuto un carattere umano e quando uno studente passa un test, riceve le congratulazioni e un ringraziamento da un essere umano “reale” via Skype. Udacity non è sola. Alcune scuole e gli istituti di istruzione superiore stanno già integrando i metodi di insegnamento con tecnologie di prossima generazione come la realtà aumentata, l’AI e la realtà virtuale. Esistono oggi alcune società come la statunitense Nearpod che vanta oltre sei milioni di studenti che hanno già frequentato lezioni basate sulla realtà virtuale, che includono gite virtuali in siti storici famosi come il Colosseo romano. La società con sede a Copenaghen Labster, focalizzata sull’educazione universitaria e post universitaria, sta attualmente sviluppando una serie di prodotti VR con Google che consentiranno agli studenti di scienze di eseguire esperimenti virtuali. Un progetto include un gioco VR in cui uno studente di scienze forensi può indagare su una scena del crimine virtuale e analizzare le prove che trovano. “La realtà virtuale è uno strumento accattivante, ma all’interno di un piano di lezioni di 35 minuti, potrebbe durare solo due o tre minuti. L’apprendimento è un’esperienza sociale. Non si tratta solo di imparare i contenuti, ma di imparare a trattare con gli altri. Gli insegnanti giocano un ruolo davvero influente”, ha spiegato Kovalskys, Amministratore delegato e co-fondatore di Nearpod.

    Un modello ibrido per evolvere e garantire la continuità con l’istruzione digitale

    Ma se Ecole42, istituto di formazione senza docenti con oltre 20 sedi nel mondo dove allievi tra i 18 e i 60 anni seguono lezioni secondo un programma governato da un algoritmo, è un caso di successo, dobbiamo essere coscienti che non tutti oggi sono pronti a questo cambiamento. E allora in un sistema ibrido, ed in situazioni di crisi come questo che impongono l’interdizione ai luoghi fisici, spostarsi verso un livello superiore di digitalizzazione dell’istruzione ci porrebbe al sicuro, anche come Paese, dall’interruzione del “servizio” obbligandoci a munirci di un’infrastruttura. Oltre a favorire un interscambio disciplinare tra corsi e istituti scolastici. E allora sfruttiamo la crisi e la contingenza per andare a fondo alle potenzialità che la tecnologia ci può offrire, creando la giusta sintesi, al fine di stimolare sempre di più i nostri ragazzi e rendere la scuola un luogo capace di guardare al futuro senza subirlo o rincorrerlo. E se si potrà integrare la propria formazione accedendo a librerie di knowledge di altri istituti, recuperare una lezione persa accedendo ad un modulo di recupero on-line o partecipare ad una gita attraverso la realtà virtuale, siamo pur certi che nulla può valere di più di una pacca sulla spalla dopo aver preso un bel voto.