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  • Si chiama ITA AIRWAYS ma è sempre Alitalia (mascherata da NewCo)

    Una storia difficile da dimenticare, un mercato spietato e i consumatori abituati a 25 anni di liberalizzazione

    21 Ottobre 2021

    La vendita del marchio di Alitalia è partita da una base d’asta di 290 milioni di euro. Nessuno si è presentato all’appello, dunque la richiesta si è abbassata a 90 milioni, e a questo punto è arrivata una sola offerta, quella della new company ITA AIRWAYS. Le aste deserte, di solito, hanno un solo significato: la cosa che viene proposta vale poco o non è di nessun interesse. Tuttavia, l’amministratore delegato Fabio Maria Lazzerini (già chief business officer di Alitalia), ha precisato che la nuova azienda non si chiamerà Alitalia, ma proprio ITA: 90 milioni per fare in modo che nessuno potesse utilizzare un nome che nessuno voleva. L’Italia si è impegnata con Bruxelles a sussidiare ITA (società partecipata al 100% dal MEF) con non più di 1 miliardo e 350 milioni di soldi pubblici entro il 2023, 700 milioni solo quest’anno. La discontinuità con la bad company Alitalia, pretesa dall’Unione Europea, sembra solo un gioco di prestigio: ITA erediterà anche i codici di volo (AZ) e di indicazione dei biglietti (055) di Alitalia, elementi importanti e livello operativo e commerciale. Draghi ha riassunto così il suo pensiero: «Mi spiace cambi nome. La considero come una cosa di famiglia, anche se un po’ costosa». In 74 anni di vita Alitalia ha chiuso il bilancio in attivo solo tre volte (l’ultima vent’anni fa) ed è rimasta in volo solo grazie a oltre 13 miliardi versati dallo Stato. LEGGI ANCHE: REPORT: Le aziende cercano programmatori (ma il problema è ancora il compenso)

    Un passato ingombrante per Alitalia, che cambia nome

    Cambiare identità e ricominciare una nuova vita è uno stratagemma vecchio come il mondo che spesso funziona, a patto di cambiare luogo di residenza, di andare insomma abbastanza lontano da non essere riconosciuti per strada. Come è possibile, dunque, raccontare una nuova azienda quando sono così palesi i legami con un passato difficile, ingombrante e, soprattutto, negativo agli occhi dei clienti/consumatori? In un recente sondaggio, l’83% degli italiani intervistati ritiene che lo Stato non debba più risanare i conti del vettore nazionale. La lunga storia di Alitalia è stata accompagnata da innumerevoli storie di fallimenti ed errori industriali, e il finale è stato sempre all’insegna dell’interventismo pubblico. La liberalizzazione europea nel 1997 sancì di fatto l’inizio dell’era delle compagnie low cost, Alitalia mancò la fusione con KLM, che all’epoca poteva rappresentare un passaporto per la sopravvivenza. Una storia che poi si è ripetuta nuovamente con il mancato matrimonio con AirFrance nel 2007 e in altre numerose occasioni, fino ai giorni attuali. Quali sono dunque i valori che potrebbero essere salvati nella comunicazione di ITA per creare un ponte ideale con i ricordi positivi di Alitalia? L’eleganza, uno dei princìpi fondanti della compagnia, non compare neanche nel “Chi siamo” di ITA, che ricorda più un sunto delle tendenze del momento che una vera mission originale e legata a un passato importante: “…riduzione dell’impatto ambientale, promozione di una cultura inclusiva e di integrazione della sostenibilità nelle strategie e nei processi interni, al fine di realizzare ambiziosi obiettivi di ESG che permetteranno a ITA  Airways di essere la compagnia più green d’Europa, gender-less e meritocratica”. “ITA Airways  punterà con forza sulla digitalizzazione, perciò sono previsti consistenti investimenti in sistemi e piattaforme digitali per garantire al cliente una esperienza di viaggio di qualità”. Anche la digitalizzazione, parola generica e abusata, è citata quasi a prendere le distanze dai frequenti malfunzionamenti del vecchio sito Alitalia. Ma i passeggeri, 25 anni dopo la liberalizzazione del mercato, ormai danno per scontato che l’azienda alla quale si rivolgono per la prenotazione online abbia una piattaforma moderna ed efficiente. Quello che i viaggiatori non darebbero per scontato sarebbero i dipinti di Balla (di cui si è appena festeggiato il 150° anniversario dalla nascita), Severini, Burri, Morandi, Guttuso e molti altri. Le opere di questi maestri abbellivano le sedi della compagnia in giro per il mondo e facevano spesso compagnia ai passeggeri di prima classe, “Con l’obiettivo di rendere più piacevole il volo stimolando la sensibilità estetica del viaggiatore e divulgare la cultura italiana oltre confine”. Ma quei dipinti, purtroppo, non ci sono più, messi all’asta ormai oltre dieci anni fa per fare cassa. “Zeus partorito dal sole”, il celebre trittico “cubofuturista” di Gino Severini è adesso da Sothebys. Se siete interessati, il prezzo è su richiesta.
    Gino Severini
    Gino Severini, “Zeus Partorito dal Sole”, 1954. Tempera su pannelli in legno. Sothebys.
     

    “Born to be close to you”: il ritorno del celeste

    Il primo marchio Alitalia venne scelto nel 1947 in seguito ad un concorso nazionale: raffigurava una freccia alata azzurra e blu, che riprendeva il logo del primo stormo dell’aeronautica militare italiana durante gli anni ‘20. A fianco della freccia la scritta Alitalia a bande bianche e celesti.
    Logo Alitalia, 1946-1969
     
    Simbolo del Primo stormo dell’Aeronautica Militare italiana 1925-1936
    Il nome Alitalia fu coniato da un impiegato delle poste di Roma incaricato di ritirare la corrispondenza compagnia. Stanco della pomposa denominazione “Aerolinee Italiane Internazionali”, lungo da scrivere nei telegrammi, propose Alitalia. I loghi che seguirono negli anni, ripartiranno sempre dal gusto squisitamente anni ’60 del celebre marchio verde e rosso.
    Logo Alitalia, 1969-2010
    I restyling successivi, fatti nel tentativo di una maggiore dinamicità e attualizzazione grafica, non non si discosteranno mai da quell’idea iniziale. L’intenzione di ITA sarebbe proprio di ripartire da quell’azzurro che rappresentava la stazione d’oro dell’Alitalia, e che adesso è al centro di diffuse operazioni di marketing di numerosi brand, a seguito dell’annata d’oro dello sport italiano. Azzurro sì ma solo nelle fusoliere, il logo sembra l’ennesimo restyling di Alitalia. Nel sito web campeggia lo slogan “Born to be close to you”, il cui piano di lettura è semplice: vicini a te perché siamo la compagnia nazionale, vicini a te perché già ci conosci, nati per essere vicini a te perché in un mondo globalizzato hai ancora un riferimento nazionale di cui ti puoi fidare e che “fa parte della tua famiglia”. Lo slogan non sarebbe mai potuto essere “Born to be close to the world“, perché ITA sa bene che ad avvicinare i passeggeri al mondo ci pensa già una concorrenza ben più forte e strutturata. Quanto questo richiamo patriottico potrà fare la differenza? Se siete avvezzi alle prenotazioni aeree, pensate alle motivazioni per cui scegliete di solito un vettore e potete darvi una risposta immediata.  

    Un viaggio scomodo per ITA AIRWAYS

    ITA è una NewCo troppo piccola per fare concorrenza ai grandi gruppi ma troppo grande e costosa per fare concorrenza alle low cost, la cui narrazione si lega a un passato problematico e negativo agli occhi dei consumatori e i cui valori sembrano un frettoloso copia-incolla del brand activism più modaiolo. Le compagnie attuali hanno presidiato tutte le componenti valoriali e di prezzo a cui si può rivolgere e riconoscere un consumatore. Dove si potrebbe collocare ITA, senza partner solidi alle spalle, è una vera incognita. La concorrenza ha dato vita a 25 anni di campagne pubblicitarie, esperienze di viaggio, siti web efficienti, portali e app di prenotazione online che hanno cresciuto una generazione di viaggiatori esigenti, dinamici e attenti a tutto tranne che alla nostalgia. Raccontare il passato con un nome nuovo non sarà un’impresa facile: quel passato ha un’immagine negativa per la gran parte degli italiani. Il futuro, orfano delle opere di Balla e Severini, sembra meno celeste di quello che le fusoliere vorrebbero fare intendere. Raccontarlo con credibilità sembra una sfida davvero impossibile, su cui infatti non ha scommesso il mercato ma uno stato nazionale avvezzo all’accanimento terapeutico.