I grandi cambiamenti sostanziali che il mondo del retail sta affrontando oggi sono racchiusi in tre concetti: accessibilità, distribuzione e connettività.
La rivoluzione di questi concetti, partita e sviluppata da figure iconiche che vanno da Steve Jobs a Mark Zuckerberg passando per Jeff Bezos, ha comportato che il consumatore oggi può avere, almeno dal punto di vista strutturale, quello che vuole, dove vuole e al prezzo che vuole.
Se hai voglia di mangiare sushi per cena, vai online e in pochi passaggi lo ricevi a casa. L’altro lato della medaglia, però, è che se davvero puoi ottenere ciò che vuoi, quando e come vuoi, viene a mancare il concetto di esclusività. Le aziende hanno risposto in due modi: alcune hanno reagito con meccanismi promozionali, del tipo “vieni in negozio oggi perché per te c’è un’offerta esclusiva, domani lo stesso prodotto costerà di più“.
Il secondo modo di reagire, che oggi è quello che va per la maggiore, è quello dell’allocazione e dell’accessibilità al prodotto attraverso le collaborazioni. Sulla base di queste collaborazioni faccio salire la domanda a livelli altissimi attraverso meccanismi pubblicitari, poi però nel mercato immetto un quantitativo di prodotti nettamente inferiore rispetto alla domanda.
A questo punto, il mio ritorno dell’investimento non si avrà sul singolo prodotto ma su tutto il life cycle di prodotto: creo la domanda sul prodotto della collaborazione, per esempio una scarpa, e con lo stesso prodotto faccio un take down, un’altra colorazione meno premium che posso vendere a tutti.
Il concetto di esclusività è quindi destinato a espandersi nella distribuzione organizzata: in principio, il problema era trovare il prodotto e sviluppare la catena di negozio di prossimità. Oggi, il problema è che i prodotti sono sempre accessibili e manca l’esclusività, grazie a internet, grazie al grande sviluppo del retail e del franchising. Domani, l’esigenza di esclusività tornerà e si comincerà a segmentare l’accesso ai negozi, magari attraverso sistemi di prenotazione, sia il trattamento del singolo cliente, che non sarà più generico ma invece one-to-one, da tutti i punti di vista.
Il rapporto con il cliente sarà totalmente personalizzato, dal punto di vista del consiglio di prodotto ma anche dell’approccio con il singolo cliente, che sarà molto più amicale. Per semplificare, questo nuovo rapporto sarà molto più simile a quello che avevano i nostri nonni con il commerciante di quartiere rispetto a quello che noi oggi abbiamo con una qualunque catena franchising. Questo perché l’uomo ha un’esigenza recondita, ontologica, di vivere rapporti di esclusività. Vogliamo sentirci unici, non uguali a tutti gli altri e questo rapporto di esclusività lo viviamo attraverso lo status, o attraverso un prodotto speciale o attraverso una relazione speciale.
Oggi non ha più senso operare distinzioni tra negozio fisico ed eCommerce. Qualche esempio ci aiuta a chiarire il concetto con semplicità. Se prenotiamo un prodotto online e poi andiamo a ritirarlo in un negozio fisico, si tratta di una vendita fisica o digitale? Se entriamo in un negozio fisico e paghiamo con carta di credito, quindi facendo una transazione digitale, siamo di fronte a una vendita fisica o digitale? O ancora, se in un negozio fisico non troviamo la nostra taglia e il negoziante la ordina permettendoci di trovarla il giorno dopo nello stesso negozio fisico, abbiamo acquistato in modo digitale o fisico?
La realtà è che non esiste più una netta divisione tra mondo fisico e mondo digitale: se proprio vogliamo creare una dicotomia, possiamo parlare di “mondo degli atomi” e “mondo di bit”. Oggi viviamo in un contesto e questo è assolutamente naturale: cerchiamo prodotti online mentre siamo all’interno di negozi fisici, scattiamo foto e le pubblichiamo su Instagram mentre giriamo nel centro commerciale o tra gli store del nostro quartiere.
La differenziazione tra fisico e digitale è un approccio “yuppie” anni ’80 che oggi non ci appartiene più. Per questo non si può attribuire alle tecnologie “la colpa” di mettere in difficoltà i negozi fisici: l’esperienza fisica, semplicemente, assume un ruolo diverso all’interno della shopper journey dei consumatori.
Le strategie che gli eCommerce possono adottare per mantenere i tassi di crescita ricalcano, sostanzialmente, quelle messe in atto da qualunque attività commerciale. Queste sono:
Infatti, i quattro KPI fondamentali per ogni punto vendita sono:
Anche gli eCommerce, dato per assodato che non ci sono differenze rispetto alle realtà fisiche, salvo la nomenclatura e il sistema infrastrutturale, dovranno lavorare su questi quattro KPI. In che modo?
Perfezionare l’immagazzinamento. Tutti gli stock, tutti i magazzini di tutte le catene vendita fisiche devono essere integrate con il desktop dell’eCommerce. Se una persona cerca un prodotto online, lo shipping può avvenire dal magazzino dell’eCommerce o dallo store fisico dietro casa.
Migliorare l’esperienza d’acquisto è essenziale, attraverso nuovi processi cognitivi sul trattamento del cliente. Attualmente, la vendita su eCommerce è molto più simile a quella che si può avere su una larga superficie di Zara più che quella che si può avere dal nostro barbiere di fiducia, dove c’è una vendita consiglio sostenuta. Servizio al cliente, vicinanza al cliente e supporto al cliente sono assenti e sarà sempre più necessario potenziare questi aspetti.
Introdurre nuovi servizi e migliorare quelli esistenti è una strategia ottimale per aumentare lo scontrino medio e alzare i margini di profitto. Parliamo di servizi orientati all’esclusività, quindi customizzazioni, approccio one-to-one, oppure servizi orientati sulla possibilità di ricevere il prodotto nel modo migliore possibile o più velocemente, per esempio sistemi di subscription, o di velocizzazione tipo Amazon Prime, o ancora sistemi di qualità dell’assicurazione in caso di mancata consegna del prodotto.
Per semplificare, le tre parole chiave per mantenere alto i tassi di crescita di un eCommerce sono: prodotti esclusivi, maggiore disponibilità di prodotto e servizi eccellenti di assistenza al cliente.
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