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  • Non solo Coronavirus: chi sono i Prepper e quali sono i 7 modi (più efficaci) per estinguerci

    Moriremo tutti. Finiremo in un bunker o a svuotare i supermercati? Forse sarà troppo tardi come in The Walking Dead o forse possiamo fare ancora qualcosa, come dice Greta

    1 Marzo 2020

    L’emergenza Coronavirus ha creato panico diffuso e allarmismo a volte ingiustificato tra media, popolazione e istituzioni. Ci siamo chiesti, quindi: se una “epidemia” di così bassa pericolosità ha attirato su di sé tutta questa attenzione e creato un simile caos, quali sarebbero le conseguenze di una pandemia letale? Come reagirebbero le persone a uno scenario da Guerra Nucleare? Che decisioni prenderemmo per scongiurare una catastrofe ecologica? Negli Stati Uniti il “prepping” non è solo un modo di riempire il tempo libero ma è diventato un vero stile di vita: coppie, famiglie o intere comunità che si preparano al “Doomsday”, il Giorno del Giudizio. Il business che c’è dietro i “prepper” non è da sottovalutare: edilizia (bunker e case blindate), armi, attrezzatura e corsi di sopravvivenza, generi alimentari speciali e molto altro ancora. Sono solo dei folli o c’è qualcosa di vero nelle preoccupazioni dei “survivalisti”? Abbiamo pensato di coinvolgere Luca Dell’Anna, esperto di rischi sistemici e autore internazionale di libri dedicati ai comportamenti umani emergenti. Gli abbiamo chiesto come ci estingueremo. Perché se proprio tutto deve finire almeno che finisca in un modo spettacolare. LEGGI ANCHE: Il Coronavirus contagia anche l’economia: quale potrebbe essere l’impatto a livello globale e nazionale

    L’olocausto nucleare

    Nel celebre spot Daisy del 1964 Lyndon Johnson mostrava una bambina che sfogliava una margherita, quando all’improvviso partiva un inquietante countdown che precedeva l’esplosione di un fungo nucleare. Il messaggio era chiaro: se voterete il “guerrafondaio” Barry Goldwater andrete incontro a morte e distruzione.

    La Guerra Nucleare: lo spauracchio classico da fine del mondo, la catastrofe vintage per eccellenza, la base per una infinità di film e romanzi apocalittici. Sembra un pensiero da Guerra Fredda ma in realtà è ancora oggi un’ipotesi concreta, come dimostra la recente crisi in Corea del Nord. Nel mondo ci sono circa 15.000 testate nucleari (di cui circa 13.000 in mano a USA e Russia) e un conflitto di tal genere provocherebbe una mortalità compresa tra l’80 e il 95%, anche a decine di chilometri dalle zone colpite. Per non parlare dell’inverno nucleare, il periodo seguente all’esplosione che comporterebbe frequenti piogge radioattive e venti pieni di polveri cancerogene. «Ci siamo andati vicini già molte volte (Crisi dei Missili di Cuba del 1962, reazione ai test NATO del 1983 NdR). Probabilmente in dieci mondi paralleli, ce n’è uno che finisce con un olocausto nucleare, tipo scenario descritto in The Man In The High Castle. Tuttavia, anche dopo Chernobyl, la vita è andata avanti e probabilmente si riprenderebbe anche in questo caso, a partire dalle zone meno colpite». Reazione della popolazione: «L’idea di una Guerra Nucleare viene percepita lontana e la reazione sarebbe sicuramente di sorpresa». Probabilità: 30%

    I cambiamenti climatici

    Il tema è attuale e gli scenari di riferimento sono:
    • Il cambiamento climatico è irreversibile: ci saranno zone inabitabili dovute all’innalzamento del mare o alla desertificazione. Altre saranno ancora abitabili ed è lì che si concentrerà la gran parte della popolazione.
    • Il progresso tecnologico ci permetterà di superare questa emergenza.
    • Ci stiamo sbagliando: il cambiamento climatico non esiste o non ha causa antropica.
    «Lo scenario numero 2 è forse il più probabile ma tuttavia si estende sul lungo periodo: al momento per costruire le tecnologie adatte a produrre energie pulite siamo legati alle fonti energetiche classiche (carbone, gas etc.)». Tra le tecnologie più avveniristiche in studio, vale la pena menzionare il progetto SCoPEx (Stratospheric Controlled Perturbation Experiment) di Harvard (finanziato, tra gli altri, anche da Bill Gates), un controverso programma di geo-ingegneria solare il cui obiettivo è l’alterazione artificiale del clima tramite particelle di carbonato di calcio riflettenti disperse nella stratosfera. La reazione della popolazione: «Sarà quella di cercare di far progredire la tecnologia e l’economia in modo da contrastare questo fenomeno. È probabilmente l’unico scenario “apocalittico” che presuppone una reazione virtuosa». Probabilità: 50%

    Il virus letale

    L’esempio del Coronavirus ci è di grande aiuto: in un modo o nell’altro, tutti abbiamo vissuto la parabola e le conseguenze (per lo più logistiche) che questa emergenza ha comportato. Un virus che molti medici ed esperti definiscono “poco più che un’influenza” ha scatenato un panico diffuso in gran parte della popolazione italiana e mondiale: scaffali svuotati nei supermercati, prezzi dei disinfettanti alle stelle, persone che camminano per strada con le mascherine, eventi pubblici e aziende bloccate. Cosa succederebbe se vi fosse una pandemia mortale? «C’è già stata e ci sarà ancora. La storia ci dice che prima o poi arriva un virus che uccide il 20/30% della popolazione». Luca sembra quasi sollevato: «Insomma non stiamo comunque parlando di sterminio di massa!». La peste nera del ‘300 e l’influenza spagnola del 1918 (entrambe lasciarono sul campo circa 20 milioni di vittime) dimostrano la ciclicità di questi eventi. Inoltre, i batteri resistenti agli antibiotici sono sempre di più e sono responsabili di circa 700.000 decessi l’anno in tutto il mondo. Se la scienza non progredirà nella ricerca contro la resistenza agli antibiotici, si stima che i decessi raggiungeranno i 10 milioni entro il 2050. Le soluzioni? «In un mondo tanto globalizzato, come quello attuale, servirebbero delle difese che scattano quando c’è un corto circuito, esattamente come un fusibile. Non è possibile bloccare questa interconnessione ma sarebbe possibile ridurla, per contenere i danni». La reazione della popolazione: «Ne abbiamo avuto una piccola anteprima con il Coronavirus: follia e isteria collettiva difficilmente contenibile». Probabilità: 10%

    L’asteroide assassino

    Gli asteroidi sono ammassi di rocce e ghiaccio, di solito di forma rotondeggiante, che si trovano a vagare nel nostro sistema solare: le ultime stime ne contano da 500 a 800 mila. Possibile che qualcuno non ci caschi in testa? In realtà ogni anno circa 100 tonnellate di meteoriti (frammenti di asteroidi) si infrangono sull’atmosfera, 500 di loro riescono a raggiungere il suolo. Per superare l’atmosfera ci vogliono oggetti di dimensioni rilevanti e per creare crateri tali da decimare la popolazione, dovrebbero avere la dimensione almeno di 5/10 km. L’ultimo di questo genere che ha colpito la Terra risale a 65 milioni di anni fa e provocò l’estinzione di moltissime specie viventi, tra cui i dinosauri. Luca stavolta è ottimista: «La probabilità che un asteroide colpisca la Terra nel periodo in cui l’umanità la abita o la abiterà (un lasso di tempo estremamente breve rispetto all’età effettiva del nostro pianeta) è davvero bassa. Inoltre, questa ipotesi apocalittica, ha anche un lato positivo: la prevedibilità. Gli scienziati ci diranno esattamente quando l’asteroide colpirà la Terra, il giorno e l’ora. Insomma, niente effetto sorpresa: la fine del mondo avrebbe una data molto precisa».

    L’idea di atterrare su un asteroide, piazzare una bomba e scappare pare ancora un’impresa relegata ai film di fantascienza. Non basterebbe nemmeno evacuare le aree interessate dall’impatto perché le conseguenze climatiche causate dalle polveri sollevate in atmosfera sarebbero il vero problema per la popolazione mondiale. Oppure, invece che arrivare al suolo, l’asteroide potrebbe esplodere in aria, devastando migliaia di chilometri di territorio, come successo a Tunguska (Siberia) nel celebre evento nel 1908. La reazione della popolazione: «Potremmo assistere a due tipi di reazioni: da una parte chi si prepara all’evento costruendo bunker e cercando riparo in luoghi ritenuti sicuri, dall’altra parte chi si godrebbe semplicemente gli anni o mesi che gli restano». Gozzovigliando? «Perché no!». Probabilità: 0,1%

    L’invasione aliena

    X-Files ce lo aveva insegnato: sono già tra noi. Ma se sono tra noi perché non ci hanno già soggiogato? «Le probabilità di un’invasione aliena sono realisticamente pochissime», ci spiega Luca. «Poniamo il caso che questi esseri siano già tra noi, perché arrivati molto tempo fa: se fossero qui significa che non hanno cattive intenzioni, altrimenti ci avrebbero già sterminato, quindi possiamo stare tranquilli. Se invece non fossero tra noi allora potrebbero essere arrivati prima dell’alba dell’umanità, oppure arriveranno dopo la nostra estinzione». Il timing interstellare non perdona: trovare una civiltà avanzata che nel brevissimo lasso temporale di esistenza dell’umanità abbia sviluppato la tecnologia adatta a percorrere viaggi interstellari fino ad arrivare sulla Terra è davvero difficile da pensare, a meno che la vita intelligente non sia capillarmente diffusa nella Galassia e le civiltà avanzate posseggano la tecnologia per viaggi a una velocità superluminale. Tuttavia, la domanda fondamentale a cui rispondere sarebbe: «Perché proprio adesso?». La reazione della popolazione: «Due tipi di reazioni: un 80% della gente presa da panico assoluto del tipo ‘moriremo tutti’ e un altro 20% che invece vedrebbe in questo arrivo una rivelazione quasi religiosa; si costituirebbero dei culti e molte persone si offrirebbero di collaborare con gli invasori». Una sorta di Vichy in salsa galattica. Probabilità: 0,1%

    La pandemia zombie

    La narrativa ne è piena, le serie TV sul tema imperversano: gli zombie sono una vera tendenza dei primi due decenni degli anni duemila. Gli zombie sono cadaveri privi di cervello che tornano in vita – a seguito presumibilmente di un contagio – e vagano alla ricerca di esseri umani vivi da attaccare e mangiare. Non ci sono “basi scientifiche” per questi racconti; la cosa che più si avvicina loro nella realtà sono “morti viventi” di Haiti, persone cadute in uno stato letargico indotto da sciamani locali tramite neurotossine. La zombificazione è giudicata un reato ad Haiti tanto che è contemplata dall’articolo 249 del Codice penale dell’isola: “È considerato come tentato omicidio la somministrazione di sostanze che, pur senza causare morte reale, producono un coma letargico più o meno prolungato. E se la persona è poi tumulata, l’atto va considerato omicidio, indipendentemente da ciò che consegue”. Luca è tranchant: «La pandemia zombie è una eventualità impossibile. Ma nelle ipotesi dei “pericoli senza cervello” potrebbe rientrare qualcosa di vivente che abbiamo creato noi (una sorta di OGM) e che all’inizio credevamo buono ma che invece si rivela poi dannoso». La reazione della popolazione: «Sicuramente la reazione di chi si vede letteralmente inseguito dalla morte sarebbe mille volte peggio di qualsiasi altra ipotesi di pandemia». Probabilità: 0%

    La rivolta dell’intelligenza artificiale

    «Questo è un buon tema», ci confida Luca. «Anche qui però vedo due opzioni ben distinte: la prima è lo scenario “Blade Runner”: una A.I. che va fuori controllo, si ribella al creatore e diventa un pericolo per l’intera umanità. Il secondo scenario, molto più probabile, è che l’intelligenza artificiale sia presente all’interno di una tecnologia con una diffusione di massa e che, a un certo punto, questa stessa tecnologia mostri una sorta di bug capace di creare danni immensi. L’esempio che mi viene in mente è un futuro in cui tutte le auto si guidano da sole, ma un difetto di programmazione ad un certo punto le fa schiantare l’una contro l’altra. Ci sarebbero almeno un 20% di decessi o feriti gravi. Non sarebbe l’apocalisse, ma sicuramente una enorme catastrofe».

    La reazione della popolazione: nell’ipotesi “Blade Runner” sicuramente un aumento esponenziale della cultura del sospetto reciproca e una chiusura della popolazione in micro-ghetti. La seconda ipotesi, che sarebbe improvvisa, procurerebbe un’emergenza globale e un panico diffuso. Probabilità: 10%

    Fino alla fine del mondo

    «Mi raccomando, scrivi che questo articolo è semi-serio», si raccomanda Luca. Lo farò. Ma che voglia che avrei di costruire un bunker. Di quelli un po’ vintage da Guerra Fredda, avete presente? Oppure uno “moderno”, magari fatto di cassoni di metallo delle navi cargo, come avevo visto nei documentari dei prepper. Magari non sarebbe subito un grande business, almeno all’inizio, ma lo avreste mai detto che l’Amuchina sarebbe andata a 100 euro al flacone?   *Illustrazione di copertina: Silvia Camerani, graphic Design @ Venice Bay