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  • Come creare un top team applicando le curve di apprendimento

    Come progettare ruoli aziendali per massimizzare la crescita e il coinvolgimento di ogni persona? Ne abbiamo parlato al World Business Forum con Whitney Johnson, esperta di management

    20 Novembre 2019

    Le persone, con le loro competenze uniche e inimitabili, rappresentano il principale vantaggio competitivo di un’organizzazione. Come gestire il lavoro dei collaboratori per massimizzare la crescita individuale e valorizzare le competenze di ognuno? Ne ho parlato insieme a Whitney Johnson, pensatrice di management e autrice del libro “Creare un Top Team: formare e motivare una squadra vincentepubblicato in Italia da Hoepli.  Ci siamo incontrate a fine ottobre al World Business Forum di Milano, tra i più importanti eventi di business al mondo che ogni anno riunisce al Milano Congressi studiosi e opinion leader di management da ogni parte del globo. 

    Whitney Johnson – Foto di Ilaria Cazziol

    Che cos’è la curva a S di apprendimento

    Ciao Whitney, cominciamo dal primo concetto: ognuno di noi, in un’organizzazione e nella vita personale, è su una “curva a S di apprendimento”, come l’hai definita partendo dalla curva modellizzata dal sociologo Rogers che rappresenta il ciclo di vita delle innovazioni. Cosa significa e come un manager può inserirla in una strategia di gestione del proprio team? «La Curva a S è stata creata nel 1962 dal sociologo Everett Rogers con l’obiettivo di prendere decisioni di investimento sull’innovazione. L’obiettivo originario della curva era valutare quanto rapidamente sarebbe stata adottata un’innovazione tecnologica. Alla base della curva la crescita dell’adozione da parte del mercato è lenta, finché non si raggiunge il punto critico del flesso. Da lì si ha una crescita molto rapida dell’industria che corrisponde all’adozione di massa e all’efficientamento dei costi finché la curva non rallenta nuovamente, quando la saturazione del mercato porta al livellamento della sommità.  Il modello della curva a S applicato all’apprendimento e alla strategia manageriale ci aiuta a comprendere come le persone apprendono e crescono in un’organizzazione. La descrivo brevemente. Quando una persona inizia un nuovo progetto o un nuovo lavoro si trova alla base di una curva a S, nella fase di “inesperienza”. La crescita è lenta, ci si sente affaticati e confusi. Grandi sforzi producono scarsa performance. Dopo diversi mesi di pratica, viene acquisita competenza e fiducia nei compiti: tutto diventa “facile ma non troppo, difficile ma non troppo”. Si entra nella fase ripida della curva di “ipercrescita”, dove in poco tempo avviene molto sviluppo, è un punto di coinvolgimento e apprendimento continuo. Quando la persona arriva sulla sommità della curva significa che è ormai diventata esperta: avendo acquisito le conoscenze e competenze necessarie, tutto diventa semplice da eseguire. Si entra nella fase della “padronanza”, che può degenerare in noia. Questa è una potenziale zona di pericolo: un dipendente o inizia a guardarsi intorno per nuove opportunità di crescita, dentro o fuori l’azienda o si ferma, diventando prigioniero della propria routine professionale. Diventa in questa fase necessario per la persona avviare un nuovo ciclo e saltare su una nuova curva a S: avviare una fase di distruption personale che stimoli l’acquisizione di nuove competenze ed innovazione». LEGGI ANCHE: La connessione profonda tra marketing ed HR: riflessioni dal Forum Risorse Umane 2019  
    Curva a S dell’apprendimento – fonte Harvard Business Review
     

    Dall’incoraggiamento alla sfida, cosa può fare un leader per il suo team

    Partendo da queste considerazioni, come possiamo gestire le persone sui diversi stadi delle proprie curve di apprendimento individuale?  «Le persone sulla parte bassa della curva hanno bisogno di feedback e incoraggiamento costante. Non hanno esperienza: dai valore alle tante domande che ti faranno.  Quelli nella parte alta non crescono e sono un po’ annoiati: hanno bisogno di nuove sfide e di saltare su una nuova curva di apprendimento. Se posso sfidarti, la tua abilità di innovare crescerà nuovamente. Un manager può plasmare le curve di apprendimento della sua squadra e capire quando per una persona è il momento di saltare su una nuova curva. Come manager, abbiamo lo stesso dilemma delle aziende leader di settore: diventiamo bravi a massimizzare l’efficienza ma perdiamo di vista la crescita personale e professionale. Ed è così che ci ritroviamo con tante persone che si annoiano o si sentono prigioniere nel loro lavoro, senza avere davanti un percorso di carriera chiaro. Il risultato è la stagnazione, per i dipendenti come per l’azienda». Un buon leader deve saper coordinare in modo ottimale i ruoli dei membri della squadra. Nel tuo libro riporti una riflessione di Antony Jay, ex dirigente della BBC, sul decentralizzare la leadership: un buon manager dovrebbe incoraggiare le persone di talento a “essere fondatrici del proprio spazio e creare ciò che vogliono”, ovvero dovrebbero poter operare con indipendenza in modo da poter agire per il bene dell’azienda con minima supervisione e massima libertà. Un manager dovrebbe essere un maestro di scacchi che presenta una visione e coordina il lavoro ma lascia che i pezzi si muovano da soli. Quali sono le sfide per costruire un team valido e produttivo?  «La sfida per un manager è innanzitutto reclutare persone intraprendenti e desiderose di imparare, convinte che il proprio lavoro faccia la differenza e capaci di assumersi la responsabilità a prescindere da una supervisione costante.  La squadra dovrebbe essere gestita come un insieme di curve a S: la composizione ideale di un team è un gruppo di persone ciascuna delle quali si trova su una fase diversa della propria curva individuale. Circa il 15% del team si troverà sull’estremità inferiore: questo gruppo composto da persone che avranno un mix di disagio ed entusiasmo per la novità, faranno continue domande ai più esperti perché sono nella fase di acquisizione di competenze. Il 70% del gruppo  sulla parte più ripida ovvero nel tratto di massima crescita, sviluppo, motivazione e felicità. Il restante 15% si troverà sulla parte alta, l’estremità della padronanza e al tempo stesso del possibile disimpegno.   Un altro consiglio è quello di scoprire e focalizzarsi sui “superpoteri” dei propri collaboratori. Per dare il massimo ciascun membro del team deve operare da una posizione di forza personale, cosa sa fare meglio rispetto alle altre persone e quali problemi riesce a risolvere. Come manager, il compito è individuare le competenze peculiari di ognuno e associarle ai giusti progetti, per aiutare la persona a crescere lungo la curva. Dobbiamo inoltre capire quando una persona è pronta a provare qualcosa di nuovo e cambiare ruolo, saltando su una nuova curva: limitare le persone a certi ruoli o posizioni non offre vantaggi all’azienda». LEGGI ANCHE: Per migliorarci come leader (e come persone) dovremmo sperimentare continuamente e iniziare a fare le domande giuste Cito dal tuo libro: “anche il coltello più affilato si smussa a forza di usarlo”, dopo tre o quattro anni i dipendenti non offrono prestazioni elevate se non si modifica l’orizzonte temporale delle loro attività.  «Concludo: se vogliamo che i manager facciano crescere i propri collaboratori, vanno ricompensati quando lo fanno. Ad esempio, le aziende dovrebbero valutare che una parte del bonus annuale sarà versata solo se i team leader avranno saputo far crescere i propri diretti riporti».