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  • Viva il Doge! Ecco chi è l’uomo che vuole l’indipendenza di Venezia

    Abbiamo incontrato Albert Gardin, auto-proclamato 121° Doge della Serenissima. Tra revanscismo antinapoleonico e tabarri, sognando un'Europa dove comanda San Marco e non Bruxelles

    31 Ottobre 2019

    • Il veneziano Albert Gardin si è auto-proclamato il 121° Doge della Serenissima
    • Nel 2018 Gardin ha protestato all’interno del museo del Louvre, chiedendo la restituzione dell’opera “Le Nozze di Cana” per riportarla nella parete del refettorio del Palladio
    • Gardin ora punta a far proclamare Venezia come Capitale dell’Europa 2.0
    ___ Venezia è sempre un buon posto dove incontrare qualcuno. C’è una cosa che rende unica questa città: qui le cose non potranno mai andarti male. Come scriveva Iosif Brodskij, che tra le calli e le fondamenta aveva trovato riparo alle tempeste della vita, e che ora riposa nell’isola di San Michele. Qui nessun dolore può essere davvero definitivo, nessun male incurabile. Nessun incontro, aggiungo io, può mai essere deludente. Ad aspettarmi in campo San Polo non c’è un veneziano qualsiasi ma Albert Gardin, l’auto-proclamato 121° Doge della Serenissima. Il nostro appuntamento è all’ora di pranzo, io sono in ritardo e ho una fame terribile. Ci sediamo in un tavolo all’aperto di una birreria; tra qualche settimana qui monteranno una pista per il ghiaccio. Accanto a noi, una coppia di turisti biondi in pantaloncini e reflex, sono corteggiati dai piccioni. «Una Coca Cola piccola per me». Albert non ordina la pizza, né la birra. «Non ho fame e sono astemio, ora che ci penso saranno anni che non bevo una Coca Cola». Mentre brindiamo penso a quanto sarebbe bello se davanti a me vi fosse davvero un uomo del ‘700, lui a raccontarmi dei quei brutti problemi coi turchi, io a spiegargli cos’è una bibita gassata. Tabarri e cappelli: Albert non viene dal passato, ma il suo negozio vicino a San Giacomo ha tutta l’aria di voler prendere le distanze da questo tempo. Sospeso, come tutto, quaggiù. Albert Gardin Apro la mia agenda e inizio a scrivere, un tempo i commercianti fabbricavano il corno dogale per il Doge, adesso il Doge vende cappelli. Ironia della sorte ma non delle discendenze nobiliari: a Venezia al sangue blu si è sempre preferito il denaro sonante. La più eclatante città simbolo dell’Occidente era fondata sul libero mercato e non su Re e Regine.

    Il 121° Doge di Venezia

    Nel 1779 Ludovico Manin abdicò tra tumulti, qualche vittima, arresti e i famosi cannoni sul ponte di Rialto. Erano a migliaia i soldati di Napoleone pronti ad entrare e all’ultimo Doge non restava che prenderne atto. Venezia non aveva più la forza di un tempo, quella forza così ben rappresentata da Palazzo Ducale, privo di fortificazioni ma ricco di ornamenti. Un balletto di pizzi e finestre orientali che guarda un po’ smargiasso in direzione dell’Adriatico: provate a prendermi, se ci riuscite. L’elezione del Doge avveniva dopo una serie di procedure talmente lunghe e farraginose da fare impallidire qualsiasi legge elettorale attuale. Ma nel 2016 le cose andarono diversamente. A ottobre Gardin, assieme a un drappello di fedelissimi, entrava in Palazzo Ducale (facendo il biglietto!) e in quattro e quattr’otto metteva in scena una versione semplificata della cerimonia di investitura; la DIGOS (dimostrando ben poco romanticismo) intervenne sgomberando l’adunata, ma ormai era troppo tardi: il 121° Doge era stato eletto!
    Doge
    Il ritratto ufficiale di Albert Gardin con il corno dogale.
    Non chiamate il Doge “indipendentista”: lui con i movimenti per il Veneto secessionista non vuole avere nulla a che fare. Con un certo snobismo mi dice che quei signori là non conoscono la storia e che la battaglia del Maggior Consiglio (il fu organo politico più importante della Repubblica di Venezia n.d.r) è quella di dare una continuità storica e giuridica alla Repubblica di Venezia. «Gli storici dicono che il Maggior Consiglio si sia dissolto. In realtà la delibera diceva che l’assemblea si dimissionava in favore di un governo provvisorio e rappresentativo. Tuttavia, i francesi ostacolarono questa continuità, accettando solo una ‘riunione della municipalità’. Tempo qualche mese Venezia sarebbe stata ceduta all’Austria, in cambio della Lombardia: è quel famigerato trattato di Campoformio che noi vogliamo rinegoziare».
    Albert Gardin commenta gli esiti del nuovo evento a Camporformio, svolto a ottobre 2019.
      «Nel 2022 dichiareremo l’indipendenza». Albert lo dice, si guarda intorno come se qualcuno potesse sentirlo, ma i piccioni non badano a noi e la mia birra è già finita. Approfitto della pausa e ne ordino un’altra. «Beh, insomma un anno più un anno meno non farà differenza, mi capisci no?».  
    Illustrazione di: Aurora Franino (IG @aurora_designer)

    La solitudine del Veronese

    Si dice che la domanda più frequente dei visitatori del Louvre sia: dov’è la Gioconda? Tuttavia, nella stessa sala dove tutti passano per adempiere a uno di quei tributi da raccontare a casa, c’è un altro dipinto. Tanto il capolavoro di Leonardo è piccolo e affollato, tanto l’enorme tela de le Nozze di Cana del Veronese è poco considerata. Nel 2018 Gardin e altri “venetisti” mettono in scena un vero e proprio picchetto di protesta all’interno del museo, chiedendo la restituzione dell’opera. Sì, perché una delle battaglie del Doge è riportare Le Nozze di Cana dov’era e com’era: ovvero nella parete del refettorio del Palladio sull’isola di San Giorgio Maggiore.
    I membri del Maggior Consiglio al louvre mentre richiedono la restituzione delle Nozze di Cana del Veronese.
    Quello del Veronese non fu l’unico furto che Napoleone perpetrò nei confronti di una Venezia pigra e stanca: furono migliaia le opere e i libri sottratti e portati al di là delle Alpi, con la scusa del risarcimento per una guerra che – di fatto – non avvenne mai. «Non tutti i francesi sono ladri ma Bonaparte». Il Doge tira fuori dal corno dogale un vecchio adagio veneziano un po’ da osteria, che dice sia tuttora sia in voga nei bacari, tra i gondolieri e i mercanti di Rialto. «Siamo un popolo millenario rapinato da Francia, Impero Asburgico e adesso Italia. Ma sono appena iniziate le trattative diplomatiche con Parigi e Vienna…». Interrompo Albert, non voglio essere deluso dall’esito di suddette trattative. A volte meglio non sapere.

    Per terra e per mar

    Il messaggio è così difficile da far passare? «Le persone sono ubriacate e stordite dalla propaganda nazionalista. Hanno permesso l’annessione di San Marco all’Italia, ci hanno fatto perdere la memoria di chi eravamo». Continua Gardin, che sostiene che i veneti discendano dai troiani. «Immaginati la Repubblica di Venezia oggi, con la sua storia e la forza di allora: sarebbe competitiva in tutto il mondo. Per questo proponiamo una federazione europea che possa mediare tra Occidente e Russia». La capitale di questa Europa 2.0? Naturalmente Venezia. Albert è un uomo colto e lucido nelle sue idee, la frustrazione di non vederle andare mainstream si legge un po’ dal suo sguardo malinconico e alla sua camminata a testa bassa. Come si comunicano certe idee? «Sensibilizzando le persone. Sono schiavi e non se ne accorgono, vogliamo risvegliare le coscienze. Vorrei anche stampare delle t-shirt a tema religioso». Posso scattarti due foto? Il sole è alto su San Polo e Albert non sembra un turista. Ci congediamo, mi regala una cartolina con il suo ritratto e io gli chiedo una dedica per la redazione di Ninja Marketing. Magari un giorno varrà qualcosa. Al parcheggio di piazzale Roma apro il portafoglio e vedo la mia brutta patente italiana e sì, un Leone di San Marco sopra non ci starebbe per nulla male.
    La dedica del 121° Doge della Serenissima Repubblica alla redazione di Ninja Marketing.
      *Illustrazioni di: @aurora_designer

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