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  • I Big Data non sono la risposta a tutto: i bisogni più profondi dei consumatori sono svelati dagli Small Data

    Martin Lindstrom, ospite del World Marketing & Sales Forum 2019, spiega perché oggi è ancora più importante avvicinarsi ai consumatori all'interno di contesti reali

    15 Marzo 2019

    L’espressione Big Data è entrata negli ultimi anni in modo quasi prepotente nelle vite delle aziende a livello mondiale, creando un percorso paragonabile a quello della psicanalisi per tante realtà aziendali: obiettivi e risultati, strategie, tutto è stato riletto sotto la lente dei Big Data. E mentre sempre più aziende hanno iniziato a utilizzare i Big Data per migliorare il proprio business, hanno perso di vista i cosiddetti Small Data, cioè quei dati individuali relativi ai consumatori che possono rivelare la verità e portare ad una vera comprensione della realtà. Lo spiega Martin Lindstrom, uno dei maggiori esperti mondiali di costruzione di brand di successo destinati a durare, consulente per noti marchi da Coca-Cola a Nestlé e Red Bull. Pioniere di psicologia del consumatore, marketing, brand e ricerca neuro-scientifica, Lindstrom rientra fra le “100 persone più influenti al mondo” secondo il TIME Magazine e il suo libro BRANDsense è stato inserito dal Wall Street Journal tra “i cinque migliori libri di marketing di sempre”.

    Per migliorare i business è necessario conoscere gli Small Data

    Martin Lindstrom, che sarà ospite del World Marketing & Sales Forum 2019, il 12 e 13 giugno a Milano, nel suo ultimo libro, Small Data –The Tiny Clues That Uncover Huge Trends, spiega che per capire davvero i clienti è necessario uscire dagli uffici e scoprirne le emozioni e i desideri reali. “Gli small data potrebbero sembrare un semplice insieme di azioni comportamentali che non hanno alcun significato”, spiega Lindstrom, eppure con la tecnologia a disposizione oggi i software sono capaci di stabilire con una precisione del 78% l’umore di un utente prendendo in considerazione il modo in cui in un certo momento della giornata digita sulla tastiera del PC o le parole che utilizza mentre scrive una mail. Come? Attraverso il ricorso e l’analisi di Small Data. “La realtà è che siamo tutti un mix tra razionale e irrazionale: ciò implica l’incapacità di comprendere fino in fondo il consumatore soltanto attraverso i Big Data. Le aziende cominciano a capire che i Big Data rischiano di lasciarle all’oscuro su alcuni degli aspetti più importanti dei desideri e delle esigenze dei loro clienti” sottolinea Lindstrom.

    L’esempio di LEGO

    Un esempio a proposito è quello di LEGO. Nel 2002 l’azienda danese era vicina al fallimento: i bambini delle nuove generazioni preferivano i giochi digitali e sembravano non essere disposti a innamorarsi di un brand e di un prodotto del passato. In questa situazione i Big Data sono stati utili per identificare il problema. Nel 2003, quindi, LEGO ha preso una decisione epocale, cambiando le dimensioni dei piccoli mattoncini e trasformandoli in elementi più grandi, in “mattoni”. La decisione, presa seguendo i Big Data, si è ritorta contro l’azienda, tanto che a Natale di quell’anno l’azienda si è ritrovata a fare i conti con una perdita operativa di 240 milioni di dollari e debiti per 747 milioni di dollari. “LEGO – ricorda Lindstrom – stava affondando”. Fu allora che il team decise di far visita ad alcuni consumatori e mentre si trovavano in una casa in Germania, i rappresentanti della LEGO chiesero a un ragazzino di 11 anni quale fosse la cosa a cui tenesse di più al mondo: con grande sorpresa il ragazzino indicò un vecchio paio di scarpe da ginnastica consumate che, spiegò, erano la prova che lui con lo skateboard fosse il migliore in città. Le sneaker erano diventate un vero e proprio trofeo. Un minuscolo dettaglio raccontava, insomma, che anche i ragazzi delle nuove generazioni erano disposti a dedicarsi con pazienza a ciò che amano, perfezionando attraverso ore di allenamento le loro abilità sullo skateboard. O a costruire coi mattoncini LEGO. Così la società è tornata sui propri passi riportando i mattoncini alla loro dimensione originale ed oggi è il più grande produttore di giochi al mondo.

    I Big Data ci hanno fatto dimenticare uno dei fattori fondamentali del successo

    Questo esempio è la perfetta spiegazione di come un dettaglio apparentemente insignificante (gli Small Data appunto) può contrastare con i Big Data. Se negli ultimi due anni abbiamo creato il 90% di tutte le informazioni prodotte nella storia dell’umanità, oggi siamo letteralmente sopraffatti da una mole così massiccia di informazioni da non avere in realtà più alcuna informazione. Non si tratta quindi di avere dati, ma di cercarne la loro essenza. Dobbiamo concentrarci sulla correlazione dei dati e non sul perché e sul come si creano. Ed è proprio la combinazione dei Big Data con gli Small Data la chiave del successo: “tutte le analisi fatte ci suggeriscono che l’equilibrio tra i due concetti è il punto in cui dovremmo incontrarci”. Il concetto più importante che sembriamo aver dimenticato ma che è fondamentale per il successo è l’istinto. Un elemento che crea davvero la differenza. Quanti più dati riceviamo, più diventiamo insicuri, terminando per confidare sempre meno dei nostri istinti. Sia come essere umani che come aziende. È qui che intervengono gli Small Data, quei piccoli indizi che fanno la differenza. “È possibile creare un intera strategia basandola semplicemente su un gruppo di consumatori, osservandoli e spendendo del tempo con loro. C’è bisogno di vivere come un consumatore, bisogna andare per strada per capire cosa sta accadendo attorno a noi. È inutile avere migliaia di dati se ci si allontana dalla realtà del consumatore e dalle loro emozioni”.

    Dobbiamo riavvicinarci ai consumatori

    I Big Data, in sintesi, non devono diventare la bolla nella quale rinchiuderci allontanandoci dai consumatori e il nostro ruolo dovrebbe essere quello dell’osservatore all’interno del mondo e non dalla sedia del nostro ufficio. Il rischio, infatti, è quello di guardare la vita solo attraverso uno schermo, un filtro che non ci permette più di raggiungere gli assetti emozionali di ciò che ci circonda. “Oramai non ci annoiamo più, siamo sempre e costantemente occupati nel fare qualcosa, la tecnologia ha cambiato il nostro comportamento. Ora non siamo mai pienamente presenti o soli. Questo nuovo approccio alla realtà però comporta un problema poiché diminuisce la nostra attitudine alla creatività. La noia è ciò che ci spinge ad essere creativi. Allo stesso modo le aziende stanno sempre più dimenticando il contatto con i consumatori, perché finiscono per confrontarsi solo tra di loro dimenticando che la cosa veramente importante è il consumatore. L’unica soluzione, quindi, è quella di “mettersi nei panni dei consumatori”, in modo da creare ipotesi e cercare gli squilibri nella vita delle persone che costituiscono la base per la trasformazione delle imprese. Questo articolo si basa sullo speech di Martin Lindstrom al World Business Forum organizzato da Wobi.