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  • Decathlon blocca la vendita dello hijab sportivo in Francia dopo le minacce di boicottaggio dei politici

    Dietrofront da parte della famosa azienda francese di vendita al dettaglio di articoli sportivi

    28 Febbraio 2019

    La popolazione francese conta circa 6 milioni di musulmani e, tra loro, ci sono un certo numero di donne che indossano uno hijab e praticano sport. Per soddisfare il loro bisogno di fare entrambe le cose contemporaneamente, Decathlon aveva programmato l’introduzione di un “hijab da corsa” nel paese. Ma pare che adesso ci sarà un dietrofront da parte della famosa azienda francese di vendita al dettaglio di articoli sportivi, dopo la minaccia del boicottaggio da parte di alcuni politici francesi.

    La Francia non ama molto le donne in hijab

    Decathlon aveva già introdotto l’hijab sportivo in Marocco e, secondo la BBC, intendeva iniziare a vendere il prodotto in 49 paesi, incluso il suo paese d’origine, a marzo. L’hijab, tuttavia, è diventato un argomento particolarmente controverso in Francia:molti nel paese lo considerano un affronto alla legge francese, come ha spiegato Annabelle Timsit di Quartz dopo che i politici francesi hanno criticato Gap per una pubblicità con una giovane ragazza che indossava un hijab. Nonostante la popolazione musulmana francese sia cresciuta, le difese dei valori nazionali si sono concentrate molto sull’Islam e lo hijab, un simbolo altamente riconoscibile che i critici nel paese hanno definito sessista, mezzo patriarcale di oppressione delle donne. Agnès Buzyn, ministro francese per la solidarietà e la salute, ha dichiarato, in una radio intervista, di non condividere la figura delle donne come rappresentate dall’Islam e ha aggiunto: “Preferirei che un marchio francese non promuovesse il velo”. La mia scelta di donna e cittadino sarà quella di non fidarmi più di un marchio che si distacca dai nostri valori“, ha dichiarato su Twitter (link in francese) Aurore Bergé, deputato e portavoce del partito politico del presidente Emmanuel Macron.

    La risposta di Decathlon

    Decathlon ha risposto che il suo obiettivo era rendere lo sport più accessibile e che alcune donne non avevano un hijab adatto. “Il nostro obiettivo è semplice: offrire loro un prodotto sportivo adatto, senza alcun giudizio in merito“. La pressione non è diminuita a seguito della dichiarazione dell’azienda: un portavoce di Decathlon ha detto all’Independent che il personale al lavoro nei suoi negozi era “stato insultato e minacciato, a volte fisicamente”, e che in una sola mattinata il suo team di assistenza clienti ha ricevuto più di 500 chiamate ed email. In seguito, sempre durante una diretta radiofonica, Xavier Rivoire, il responsabile della comunicazione dell’azienda, ha annunciato la decisione di interrompere i piani di produzione del suo hijab sportivo, con queste parole: “Stiamo davvero prendendo una decisione responsabile: non commercializzare questo prodotto in Francia in questo momento“.

    Quando Nike lo aveva già fatto (resistendo ai flame)

    Anche Nike qualche anno fa, era incappato in un incidente di percorso simile: l’azienda è stata il più grande marchio internazionale a mettere sul mercato un hijab pensato per lo sport. Nonostante le inevitabili proteste, negli USA l’azienda ottenne moltissime lodi da più parti, mostrando chiaramente la voglia di abbracciare diversità e inclusività. Nike non è nuova a mosse di questo tipo: anche recentemente aveva fatto molto parlare di sé grazie a una campagna di comunicazione potente, coraggiosa, evocativa e, a tratti, politica, che sviluppa la propria raison d’etre attorno a un testimonial controverso e un messaggio che lascia poco spazio all’interpretazione. Il volto della campagna è quello di Colin Kaepernick, ex quaterback della National Football League, passato alla storia per essersi inginocchiato durante l’inno nazionale americano che precede l’inizio delle partite di football in segno di protesta contro la discriminazione verso le minoranze etniche negli Stati Uniti. Dopo l’episodio, Donald Trump aveva chiesto esplicitamente ai proprietari della NFL di lasciare in panchina tutti quei giocatori che non avessero rispettato l’inno. nike LEGGI ANCHE: La campagna Nike che sta facendo il giro del mondo, spiegata Da quel giorno Kaepernick è stato considerato una sorta di untore ed è stato volutamente emarginato dalla NFL (l’atleta è tutt’ora in causa) e oggi il suo volto è stato associato a una frase lapidaria: “Credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto quanto”.

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