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  • Milioni di follower con engagement da paura: come funziona la strategia social di Matteo Salvini

    Dal tono di voce al social listening, così l'attuale vicepresidente del Consiglio si guadagna consenso (e critiche) sui social

    30 Gennaio 2019

    Su Facebook piace a poco più di 3,3 milioni di persone. Su Twitter ha 947 mila follower. Su Instagram i seguaci sono circa 1 milione. Stiamo parlando di alcuni dei dati social di Matteo Salvini, negli ultimi giorni sotto i riflettori anche della stampa internazionale (ne ha scritto il New York Times) per la sua strategia. E se proprio vogliamo considerare like e follower come vanity metrics, possiamo guardare un po’ più in là, approfondendo l’analisi. Poco importa se il personaggio Matteo Salvini vi sia simpatico o meno e nemmeno la sua azione politica è al centro della questione, per quanto sia suscettibile di critiche soprattutto in relazione alle tristi notizie che riguardano il destino di alcuni uomini in mare: ciò che oggi ci interessa è capire se (e come) sia possibile raggiungere percentuali record nei sondaggi grazie a una sapiente e misurata orchestrazione dei canali pubblici, social in primis ma anche tv e altri media, attraverso la costruzione metodica di una fiction politica, destinata a entrare nelle nostre case in modo non troppo dissimile dalle altre produzioni televisive. LEGGI ANCHE: Quali sono le metriche che contano davvero sui social media (e come misurarle) Un’immagine è diventata emblematica sui social per identificare Matteo Salvini, trasformandosi in meme (un po’ come la lista di fine anno del collega Di Maio). È la foto del Ministro degli Interni che addenta una fetta di pane e Nutella, per dare il buongiorno ai suoi follower, ma soprattutto per proclamare la sua “italianità”. Questo è solo uno dei tratti dello stile comunicativo e della strategia social di Salvini, ma per analizzarla e comprenderne meglio le ragioni del successo, andiamo con ordine.

    I numeri

    Like e follower. Per analizzare la strategia social di Matteo Salvini partiamo da qualche dato: nel 2018 il segretario della Lega è diventato il politico italiano più seguito su Instagram. Dall’analisi dell’engagement delle pagine (includendo reazioni, commenti, condivisioni) emerge un picco di interazioni a giugno, subito dopo la nascita del governo Lega-5 Stelle, dovuto però anche al rafforzamento della strategia, con un numero sempre crescente di live streaming e post. Altri picchi, più in generale, si registrano in momenti di particolare polemica politica, dato che i post di Salvini sono sempre molto polarizzanti e registrano interazioni tanto con un sentiment postitivo, quanto negativo. Questo dato emerge anche dall’analisi di contenuti e mention, che mostrano chiaramente quali siano i topic più ingaggianti e quindi più spesso adoperati nella comunicazione del leader politico. Si va dalla sicurezza alla questione migranti, fino all’identità nazionale. LEGGI ANCHE: Quali saranno i social media trend del 2019 e come usarli al meglio

    I topic

    Entrando nello specifico degli argomenti trattati, i topic che suscitano maggior coinvolgimento da parte dell’audience (ampliata anche ai detrattori in questo caso), sono quelli dell’immigrazione, un tema caldo anche nella campagna elettorale del ministro. L’entourage social di Salvini monitora evidentemente con attenzione insight e trend, creando serie di post, in genere spalmati poi su tutti i canali in modo poco differenziato, per trainare reazioni, commenti e interazioni. Tutti gli argomenti utilizzati contribuiscono alla costruzione di un legame emotivo con i sostenitori, così come i video che appaiono volutamente non professionali, per divulgare un messaggio che, come sostenuto dal NYT, “per quanto polarizzato, è spesso confezionato come soluzione di buon senso”. Molto si è vociferato su un algoritmo che sarebbe stato in grado di fornire a Salvini e al suo social media team i trend da seguire e i topic su cui insistere, ma sembra ormai più probabile che la comunicazione nel suo caso sia un fatto “di pancia”, come si usa dire in questi casi nel linguaggio tipico dei talk televisivi. Un tool per il social media listening è sicuramente utilizzato – come in ogni strategia social basicamente strutturata – ma non ci sembra che si possa parlare di intelligenza artificiale e sofisticati software. LEGGI ANCHE: Che cos’è il Social Media Listening, come funziona e perché dovresti usarlo In tanti hanno parlato di storytelling interpretando la strategia social di Salvini come una narrazione continua, concepita per mantenere alto il livello di attenzione dei follower e aiutando il lettore a riconoscersi come destinatario del messaggio. A noi sembra, però, che si tratti di una comunicazione più frammentata e per temi, che segue una serie di argomenti cardine sulla base dei dati del momento e delle notizie del giorno, per infiammare il pubblico social al momento opportuno, senza timore di coinvolgere nella comunicazione anche i critici. Ma non tutti sono di questo parere: alcuni, infatti inquadrano perfettamente ogni post, tweet e video in un preciso piano di comunicazione, perfettamente adeguato per la piattaforma di riferimento.

    Lo stile e il tono di voce

    Matteo Salvini utilizza abilmente tutti i suoi popolarissimi account per provocare, demonizzare gli avversari, alimentare le paure, accusare (l’Europa ad esempio). E lo fa con un tono di voce che rasenta un registro violento, sempre eccessivamente assertivo, mai dubbioso e spesso autoreferenziale. Anche il maiuscolo, che la tradizionale netiquette attribuisce a un tono di voce urlato, è utilizzato con frequenza per sottolineare, enfatizzare, coinvolgere. Così come i puntini di sospensione, tipici di una comunicazione informale, che lasciano aperte le frasi a sottintesi e alle chiusure delle affermazioni da parte della stessa audience. Salvini sottolinea continuamente gli obiettivi raggiunti, anche quando questi sono discutibili, come a voler smarcare un compito segnato in agenda (la famosa lista di Di Maio), inizia spesso i suoi post con “Io”, rivolgendosi a elettori, concittadini, imprenditori con l’appellativo di “amici”, quasi a voler restringere con le parole il divario tra Paese reale e classe politica. Altrettanto importante per il successo di Salvini è l’aura di autenticità che ha creato intorno a se stesso (ecco spiegata la fetta di Nutella o la foto a letto pubblicata dalla ex-compagna). Un approccio in questi casi più umano e meno politico, che lo riporta nella dimensione della quotidianità comune. Un’immagine questa che probabilmente ha contribuito in modo sostanziale al suo successo, studiata sull’onda dei talk show e degli stessi social, con contenuti tanto amati in particolare da un determinato pubblico in cerca di paure su cui riversare le proprie incertezze, ma anche di condivisione delle “cose semplici”. Anche davanti alle polemiche (e alla denuncia da parte del sindacato dei Vigili del Fuoco) per l’uso delle divise, la risposta passa dai social e diventa un’immagine pronta ad essere diffusa dai follower.

    Il Social Media Team

    È evidente a tutti che una tale mole di post, video, immagini e più genericamente di contenuti non possa essere prodotta direttamente dallo stesso Salvini. Alle spalle della sua strategia social c’è infatti una squadra strutturata, che lo ha seguito in campagna elettorale, come normalmente avviene per tutti i politici, e che continua a seguirlo anche come ministro e personaggio pubblico, dando tempi, modi e trend alla comunicazione. Il team dei Social Media Manager, guidato da Luca Morisi, segue i topic trainanti sui social e li trasforma in contenuti con cui alimentare i feed dei follower di Salvini, con una strategia in grado di toccare spesso il cuore e lo stomaco degli italiani, infiammati dai loro problemi quotidiani e in cerca di risposte concrete dovunque, anche sui social. Aver compreso pienamente questa dimensione dei social media è forse il merito maggiore della squadra social di Salvini. I social sono oggi il luogo in cui le persone ricercano risposte, alle domande latenti quanto a quelle esplicite, eleggendo, poi, non la risposta più convincente, più supportata dai dati, o più “vera”, ma quella più rispondente alle proprie aspettative, come se in qualche misura ogni domanda sui social fosse retorica.

    “Purché se ne parli”, la retorica degli hater

    “Sono stata ‘stuprata’ da Salvini. Sono stata ‘stuprata’ da Salvini perché al di là di aspetti anche condivisibili (che pure ci sono) delle sue scelte concrete, e al di là del fatto che molte responsabilità non sono solo sue, Salvini ha riabilitato la peggiore cultura identitaria nazionalista, quella rappresentata dalla triade Dio-Patria-Famiglia”. Con una foto accompagnata da queste parole Valentina Nappi, poco tempo fa anche relatrice all’ultima edizione del TedX di Bari, ha denunciato su Instagram quello che definisce uno stupro culturale ad opera delle politiche del governo. La frase, che copre il corpo della porno-star, attira l’attenzione e la veicola verso il lungo messaggio che accompagna l’immagine, e che merita una lettura. Valentina si scaglia contro una cultura “di sapore fascista”, come i vecchi ‘sani’ valori identitari nazionali tradizionali e sul Ministro degli Interni, colpevole di ostacolare lo sviluppo di “un paese ateo, multietnico, con un’identità culturale che affondi le proprie radici nell’Illuminismo e nel marxismo più illuminato, e che sviluppi queste ultime all’altezza della modernità” per riportarci “una cultura tribale che produce una violenza contro il diverso (come abbiamo potuto vedere) simile a quella che si dà in molte specie di primati non umani”.
     
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    Sono stata ‘stuprata’ da Salvini. Sono stata ‘stuprata’ da Salvini perché al di là di aspetti anche condivisibili (che pure ci sono) delle sue scelte concrete, e al di là del fatto che molte responsabilità non sono solo sue, Salvini ha riabilitato la peggiore cultura identitaria nazionalista, quella rappresentata dalla triade Dio-Patria-Famiglia. Babbo Natale, la Befana, niente Ramadan, sì al panettone rigorosamente a Natale, la colomba a Pasqua, la cucina tradizionale, i gay sì ma la famiglia solo quella tradizionale, i crocifissi rigorosamente nelle aule, Dio nei discorsi degli esponenti politici e tutta la plebe unita comunitariamente dai vecchi ‘sani’ valori identitari nazionali tradizionali. Non so voi, ma questa io la chiamo cultura di sapore fascista. Ed è uno stupro culturale di proporzioni immani. La questione dell’immigrazione, al di là dei complessi aspetti pratici su cui non intendo dilungarmi (la mia opinione è che una gestione razionale dei flussi migratori è — e soprattutto sarà — necessaria), è una questione culturale. Io non voglio vivere in un paese con una cultura ufficiale unica, cattolica di destra, nazionalpopolare. Io voglio vivere in un paese ateo, multietnico, con un’identità culturale che affondi le proprie radici nell’Illuminismo e nel marxismo più illuminato, e che sviluppi queste ultime all’altezza della modernità contemporanea. Il linguaggio grezzo, i modi spicci e i toni al limite del violento, invece, ci riportano a una cultura tribale che produce una violenza contro il diverso (come abbiamo potuto vedere) simile a quella che si dà in molte specie di primati non umani. Rispetto a tutto ciò, il genocidio è qualcosa di differente solo per grado. #salvini #immigrazione #lega #leganord #matteosalvini

    Un post condiviso da Valentina Nappi (@instavalentinanappi) in data:

    Ma Salvini, durante una visita ufficiale, ha liquidato con una battuta quella che a qualcuno è sembrata un’intelligente operazione di personal branding o di guerrilla marketing: “Quel giorno ero con Saviano”, tirando a forza nella polemica lo scrittore e giornalista napoletano che non ha mai mancato di mostrare apertamente il suo dissenso alla linea del Viminale. Se Valentina Nappi e Roberto Saviano sono palesemente contrari alla linea politica del Governo di cui fa parte Matteo Salvini, non mancano affatto sostenitori del Capitano tra personaggi famosi e protagonisti del mondo dello spettacolo. Solo pochi giorni fa, lo scontro social e televisivo tra Heather Parisi e Lorella Cuccarini ha portato temi importanti come l’immigrazione e l’accoglienza nelle discussioni su Twitter: qualche botta e risposta al vetriolo scatenato da una serie di interviste e dichiarazioni in cui “la sovranista più amata dagli italiani” ha preso posizione su temi di politica economica, criticando anche alcune dichiarazioni del Papa. La discussione politica non è più ospite fisso dei talk show televisivi: il dibattito è online e in diretta e solo un grande sforzo in termini di risorse umane può essere in grado di monitorare le attività e sfruttare l’onda al momento giusto, decidere in fretta se attaccare o ignorare un commento o, semplicemente, postare la foto di un gattino.

    La viralità della comunicazione di Salvini

    La strategia di Salvini è solo storytelling della quotidianità o è qualcosa di più? Secondo Andrea Fontana, Managing Director di Storyfactory e docente di diversi corsi sullo storytelling per Ninja Academy, il suo modo di comunicare si integra perfettamente nei meccanismi di ricezione delle informazioni, come oggi sono intesi: «La strategia di Salvini è completamente basata sulla narrazione biografica: racconto di sé nei diversi momenti della vita, non solo politica: dalla stanza da letto, al biscotto della colazione. Questo perché nell’epoca della fast politics la politica è diventata fiction mirata per connettersi con quotidianità dei pubblici ed essere percepiti come “uno di noi”. Salvini inoltre, con un uso polarizzato ma efficacemente orchestrato dei social media, tende – come provo a spiegare nel mio ultimo lavoro “Regimi di verità. Convivere tra leggende e fatti alternativi (codice edizioni), 2019” – a costruire realtà alternative. Che non sono menzogne o bugie politiche, ma modi alternativi di intepretare i fatti costruendo nuove narrazioni significative per gli elettori affinché abbiamo diverse verità possibili tra cui scegliere. Si tratta del truth building, l’edificazione mirata di verità possibili, è una nuova tendenza nella politica contemporanea, definita da alcuni commentatori: il Paradigma Putin».   Cosa rende la comunicazione di Matteo Salvini così “virale”? I suoi movimenti social sono in grado di generare veri e propri “tsunami” online, coinvolgendo non solo esponenti del mondo della tv e giornalisti ma anche tante, tantissime persone comuni. Che dicono la loro. Mirko Pallera, CEO di Ninja.it e autore di “Create! Progettare idee contagiose (e rendere il mondo migliore)”  paragona le idee contagiose alle onde tanto care ai surfisti: «La differenza tra un’onda del mare e un’idea contagiosa che si propaga in Rete è il fatto che il mezzo di trasmissione non è fatto di materia fisica ma di bit e che l’energia che muove l’idea non nasce da una perturbazione ma da un’emozione». Sono proprio le emozioni a scatenare le energie creative che si muovono così velocemente tra le persone. Indipendentemente dai toni troppo accesi di commenti campanilistici più simili al tifo calcistico che alla manifestazione di un’opinione, la contrapposizione in fazioni crea un enorme scontro di energie, che si sviluppano e si contrappongono in una tensione forte e percepibile dall’opinione pubblica che ne viene condizionata, alimentando ulteriormente lo scontro. La comunicazione è spesso stereotipata, perché è più semplice fare riferimento a concetti archetipici, e focalizzata a generare ansia in chi riceve il messaggio, presentando con frequenza situazioni di emergenza. In questo clima, la produzione di contenuti facilmente condivisibili e rassicuranti, come una gustosa fetta di pane con la Nutella, sarà un perfetto campo di scontro tra chi la riterrà una foto simpatica e chi la giudicherà inadeguata. Il risultato? Engagement. Le persone parlano, intavolano discussioni, condividono, interagiscono riportando fonti a sostegno delle proprie idee e, in poche parole, creano contenuti e, in questo modo, alleviano la tensione. Emozione, tensione e, finalmente, catarsi. «La cosa migliore è lasciare il messaggio il più possibile aperto, ovvero permettere agli altri di interpretarlo, di renderlo significativo per loro […]. È quindi necessario puntare a creare piattaforme che possano essere riempite di senso attraverso il principio di riusabilità», precisa Pallera nel libro. L’anno scorso, sempre sulle pagine di Ninja, Jonah Berger ci spiegava che non si tratta semplicemente di suscitare emozioni positive o negative nelle persone, ma di riuscire a toccare quelle passioni in grado di innescare qualcosa nella gente. Come in una sorta di catarsi, appunto, sono proprio queste emozioni a generare una reazione, a smuovere qualcosa, portando le persone a voler “risolvere” in qualche modo quella emozione e quindi a condividere. La rabbia, così come la meraviglia o la paura ci spingono all’azione e quindi alla condivisione. «Proprio come quando senti qualcuno gridare per strada e questo ti spinge a correre, così anche i contenuti hanno lo stesso effetto sulle nostre emozioni e sulle nostre reazioni, portandoci a condividere».

    Matteo Salvini è un politico o un Influencer?

    Matteo Salvini è un politico di razza, il suo mondo di provenienza non è quello del web e il suo percorso ha davvero poco a che fare con le logiche di sviluppo dell’engagement tipiche di chi vede nella pubblicazione di un contenuto un valore puramente commerciale. Se non possiamo considerarlo un influencer in senso stretto, la capacità di coinvolgere fan e (tanti, tantissimi) haters nelle discussioni è però conclamata ed evidente, tanto che in un’analisi condotta per Adnkronos dal digital marketing strategist e docente di Ninja Academy Matteo Pogliani, le valutazioni economiche delle sue pubblicazioni raggiungono cifre da capogiro. Anche se le metriche possono essere opinabili, una forbice tra i 15mila e i 70mila euro non può che consacrare il politico della Lega come uno dei politici (e non) più influenti sulla rete, in grado di generare discussioni e condivisioni ma anche di spingere all’azione una grossa fetta dello zoccolo duro della sua fanbase. Infatti, secondo lo stesso Pogliani: «Salvini non è certo stato il primo politico italiano a capire quanto i social network possano, con i loro schemi e le loro caratteristiche comunicative essere uno strumento dal potenziale enorme, capace di poter non solo rapportarsi con le persone, ma farlo ad un livello impermeabile per tv e stampa. Ed è proprio questo punto che differenzia Salvini e, in parte, il Movimento 5 Stelle dagli altri politici italiani, l’aver compreso perfettamente e messo a frutto queste caratteristiche, adottandone stilemi, tono di voce, approccio. Non è un caso che ogni canale (Facebook, Twitter, Instagram) presenti contenuti diversi non tanto per oggetto, quanto per tipologia di contenuto, così da creare messaggi che, adattandosi perfettamente alla piattaforma, riescono conseguentemente ad avere un impatto maggiore anche sugli utenti. Se su FB sono i video a farla da padrone, su Twitter troviamo invece news e comunicazioni più in stile informativo, mentre su Instagram troviamo immagini, persone o meme a dimostrazione della volontà di usare l’ironia come chiave comunicativa per relazionarsi con la fanbase. Una differenziazione per canale che non è certo rivoluzionaria se parliamo di brand, anzi, ma lo è pensando alla comunicazione politica fin qui vista. Due le leve principali della sua comunicazione: l’indignazione e la volontà di apparire vicino, simile, al suo pubblico. Se nel primo caso rientrano i tanti post su immigrazione e, nell’ultimo mese, sul caso Battisti (con un uso del real time marketing da caso di studio), nei secondi vanno registrati i post con citazione a celebri prodotti di consumo italiani (Nutella, Barilla, ecc). Relazionandosi con tali prodotti, considerati da molti parte consueta della propria vita, non fa altro che apparire uomo comune tra altri uomini, condividendone passioni (calcio), necessità, rabbia». «Una capacità di coinvolgimento assolutamente rilevante e che va ben oltre la semplice figura pubblica», continua Pogliani. «A far la differenza sono le interazioni più ‘pesanti’ (commenti e condivisioni), segno della sua capacità di, nel bene e nel male, produrre impatto sul suo network, generando conversazioni in entrambi i fronti (sostenitori e non). Anche le tante critiche, infatti, sono segno di influenza, perché dimostrazione concreta, come un vero opinion leader, di non lasciare indifferenti. Il suo porsi al limite è infatti scelta strategica: così facendo attira sì critiche, ma anche, e in modo più netto, valorizza e rafforza il legame con chi lo segue, facendo leva su quello che viene definito effetto community, spingendo sul senso di appartenenza. Anche il buzz online su di lui conferma il suo impatto e la differenza dagli altri politici. Salvini, proprio per il suo stile comunicativo, non trova molto spazio solo su siti e canali d’informazione, ma anche e soprattutto sui profili degli utenti, quelle stesse persone che poi saranno chiamate al voto. Al di là dell’alto numero di mention (oltre 15 milioni negli ultimi 13 mesi), a impressionare sono gli oltre 560 mila autori unici, a dimostrazione di quanto sia trasversale il topic Salvini, e soprattutto le oltre 181 milioni d’interazioni prodotte». Dunque, analisi della strategia a parte, sono i numeri a sancire l’impatto comunicativo di Salvini e la sua autorevolezza online. L’immagine di Matteo Salvini è costruita in modo vero e autentico, comunissima senza diventare mai banale: mangia pane e Nutella, come noi e non se la cava granché bene ai fornelli (a giudicare da alcuni commenti inorriditi al suo piatto di bucatini). Ma c’è di più: se è vero che Matteo Salvini è un politico e non un influencer, è innegabile che le operazioni di sponsorizzazioni di alcuni prodotti ben radicati nell’immaginario collettivo come “made in Italy” ha certamente risvolti interessanti. Non si tratta più di capire quanto sia valutabile un singolo post in termini di retribuzione al Matteo infuencer; si tratta invece di individuare se, nonostante non siano coinvolti nell’operazione, quale flusso Barilla, Nutella a altri big brand ricevano in ingresso dalle esternazioni spontanee del Ministro. Abbiamo posto la stessa domanda a Emanuele Loiacono, autore di Ninja.it, e anche lui pensa che Matteo sia un politico che è riuscito a vedere nei social network le nuove piazze in cui comunicare con gli elettori. Matteo Salvini è un politico o un influencer? Secondo lui, entrambe le cose: «Sicuramente Salvini rappresenta il politico italiano più social di tutti i tempi. Tuttavia non possiamo considerarlo come un vero e proprio influencer, anche se la sua comunicazione fa pensare a ben altro. Il suo modo di parlare alla gente, di utilizzare temi caldi che l’opinione pubblica vuole leggere, modi di vestire e di dialogare con i suoi fan semplici e diretti, i suoi selfie con brand di cibo di largo consumo, fanno parte di una strategia di marketing ben precisa e tutt’altro che casuale. Il suo obiettivo, e quello del suo team social, è quello di avvicinare la figura di un politico e Ministro alla gente comune, parlare la loro lingua, consumare gli stessi prodotti. La propaganda politica oggi passa sopratutto dai social network. E quale miglior modo di farla se non con contenuti anche leggeri e di vita quotidiana? A mio avviso una strategia vincente: non sono i social le nuove piazze delle città? La seconda professione di Salvini non è quindi quella di influencer. I suoi post infatti sono privi dei consueti hashtag, tipo #adv o #advertising, utilizzati per segnalare attività di sponsorship e che sono invece obbligatori per tutti gli influencer di professione. Anche i brand che sono comparsi nei suoi selfie, Nutella e Barilla per citarne due, hanno categoricamente smentito che dietro a questa attività ci sia un’attività di sponsorizzazione o di finanziamento al partito. Tuttavia, visti i numeri da capogiro sui canali social di Salvini sorge un dubbio: ma se gli influencer sono obbligati a segnalare attività di advertising e collaborazioni con i brand, perché Salvini può sentirsi libero di pubblicare sui suoi profili ufficiali, un piatto di spaghetti Barilla o il primo piano della birra Heineken? Alla luce del suo ruolo istituzionale, i suoi post potrebbero creare dei problemi ai mercati, dare visibilità ad un brand piuttosto che ad un altro o ancora politicizzare alcuni famosissimi marchi di largo consumo. Non sarebbe giusto quindi analizzare questa attività e regolamentarla?».

    Un testimonial dell’industria italiana

    In sostanza, se è vero che il prodotto di casa nostra viene preferito in pagina social in una sorta di promozione dell’italianità, come fa notare Loiacono, è innegabile che indirizzare i sostenitori verso un brand invece che un altro muove un valore economico che, sebbene di difficile quantificazione, non può che risultare evidente. Salvini, testimonial spontaneo del comparto produttivo italiano, alleggerisce i complessi temi di sovranità e protezionismo con un bicchiere di vino e un piatto di pasta. Come sempre, un messaggio comprensibile alla portata di tutti. Se la retorica della comunicazione berlusconiana aveva rovesciato i paradigmi della propaganda politica regalandoci un “Presidente operaio”, con Matteo arriviamo svelti al Capitano Food Blogger, che si inserisce di diritto tra i grandi comunicatori di quell’ambita categoria di “divinità di internet” a cui tutti, consciamente o meno, sogniamo di appartenere: gli Influencer. E il nostro Matteo nazionale entra di diritto in cima alla lista degli “italian industry blogger“.