La prospettiva di un futuro in cui la robotica sarà sempre più predominante nelle nostre vite suscita sensazioni e pensieri contrastanti: c’è chi ne è entusiasta, chi invece ne ha molta paura. Quello che tuttavia accomuna entrambe le posizioni è la presenza massiccia di dubbi e perplessità; non è infatti un caso che il dibattito in materia di robolaw si faccia sempre più acceso.
Con il termione robolaw ci si riferisce ad una sorta di disciplina che si occupa dei princìpi e delle regole applicabili alle tecniche di robotica avanzata e di Intelligenza Artificiale. Questa disciplina ha come oggetto tutte quelle normative in grado di rispondere efficacemente a queste domande (ma non solo): quali saranno le conseguenze sociali della diffusione sempre più massiva dell’Intelligenza Artificiale? Quali saranno le implicazioni giuridiche di queste nuove tecnologie? Le innovazioni robotiche sono regolamentabili oppure no? Spostandoci sul piano più puramente lavorativo: come potrà un’azienda che si avvale della robotica e dell’AI farlo in maniera responsabile, utilizzando saggiamente queste tecnologie, nel pieno rispetto dei propri dipendenti?
In poche parole, ci stiamo chiedendo: quali dovrebbero essere le leggi della robotica applicabili sul posto di lavoro?
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Per tutti gli amanti della fantascienza, il dibattito attorno a questo argomento sembra quasi una profezia che si avvera. Facciamo un passo indietro e andiamo al 1942, l’anno in cui Isaac Asimov pubblicò il racconto Circolo vizioso, ambientato sul pianeta Mercurio, teorizzando le tre leggi della robotica:
Nel 1950 Asimov vi aggiunse la Legge Zero, esplicitata nel suo racconto Conflitto evitabile:
LEGGE 0. Un robot non può recar danno all’umanità e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento, l’umanità riceva danno.
Il più famoso scrittore fantascientifico scrisse queste leggi per i robot prima che la tecnologia robotica entrasse davvero nel mondo reale; l’idea che si era fatto Asimov dei robot rispecchiava solo marginalmente quello che sarebbe stato il futuro: immaginava robot che svolgevano perlopiù lavori meccanici e ripetitivi in ambienti molto controllati.
Oggi la situazione è molto diversa: riprendendo un ragionamento di Filippo Cavallo, esperto di robotica sociale alla Scuola superiore di studi universitari e perfezionamento Sant’Anna di Pisa, i robot lavorano spesso in ambienti che non sono strutturati, in cui hanno a che fare con eventi casuali e non predicibili, il che può portare a situazioni inattese.
Automobili che si guidano da sole, algoritmi che prevedono le abitudini e gusti delle persone, robot antropomorfi in grado di sostenere una normale conversazione: queste e molte altre sono tutte situazioni che sfuggono completamente al dominio delle Leggi di Asimov.
Il fatto che le leggi di Asimov non siano più applicabili perché non attuali, non vuol dire che, in generale, le leggi non vadano applicate alla robotica; semplicemente vanno ripensate in un’ottica moderna.
Le aziende che utilizzano la tecnologia robotica mettono i propri dipendenti nella condizione di lavorare fianco a fianco con questi robot i quali, spesso, automatizzano compiti ripetitivi consentendo agli umani di essere più produttivi.
La paura che la situazione cambi è forte: la percezione che la manodopera umana possa essere sostituita totalmente da quella artificiale non è trascurabile. Ecco uno dei motivi per cui le industrie hanno una responsabilità forte verso i propri dipendenti: quella di utilizzare questi strumenti in maniera saggia e responsabile, allo scopo di creare un beneficio non solo per l’azienda, ma anche per i lavoratori.
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