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L'editoriale

Quali sono le vere sfide dietro la Formula E, spiegate senza giri di parole

«Formula E è come un luna park, un circo, con tendoni che vengono allestiti e disallestiti in meno di una settimana. Ma c'è di più, molto di più». L'editoriale del direttore Aldo V. Pecora

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Aldo V. Pecora 

Giornalista

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Pubblicato il 15/04/2018

Diciamolo senza mezzi termini: ieri l’Italia si è fatta vedere al mondo bella, come sempre, e con tanto ancora da dire. Roma non è stata solo bella, ma pronta. Stazioni metro presidiate da personale e biglietterie mobili Atac, Polizia di Roma Capitale, Carabinieri, Polizia. Tutti. E poi i romani, e chi è venuto da tutta Italia con mogli e figli. Davvero un bel clima, quello dell’ePrix di Formula E: niente urla, niente litigi, solo sorrisi. Ed anche se si tratta di una competizione internazionale dove tra piloti e team ci sono più bandiere tedesche, inglesi e brasiliane che altro, a Roma ho visto tutti tifare per tutti. Per un sorpasso, per una volata, per quello che nel calcio potrebbe essere definito il "gesto atletico".

Foto: Aldo V. Pecora (Instagram)

Foto: Aldo V. Pecora (Instagram)

LEGGI ANCHE: Formula E, tutti i numeri dell'ePrix di Roma (che lo ospiterà per 5 anni)

Come spiegare la Formula E

Ma cos’è, davvero, questa Formula E di cui in questi giorni tutti abbiamo parlato? Certamente è la manifestazione più importante di chi fa ricerca e sviluppo in tema mobilità, con team misti di provenienza tanto automotive quanto elettronico-tecnologico. Ma soprattutto la Formula E è una delle più grandi e intelligenti campagne di comunicazione e di marketing che siano mai state pensate. Immaginate quelle tre-quattro case automobilistiche che, dopo anni di turbo diesel, common rail, eccetera eccetera, a un certo punto hanno deciso di cambiare tutto e investire sull’elettrico. Fatta questa scelta, serviva un sogno da dare alla gente, a chi sempre più preferisce l’uso al possesso, e che nei prossimi 10 anni dovrebbe preferire una moto o un’auto elettrica a una alimentata a combustibile.

Qui il genio: clonare il campionato di Formula 1, e farlo dentro le città. Mentre per la Formula 1, ad eccezione del Gran Premio di Monaco e poco altro, tutti i circuiti sono esterni alla vita quotidiana, con lingue d’asfalto sempre più perfette tracciate nelle campagne dell’hinterland cittadino, parcheggi, box, la Formula E è come un luna park, un circo, con tendoni che vengono allestiti e disallestiti in meno di una settimana. Un circuito “umano”, con l’asfalto rattoppato, con quegli stessi semafori ai quali magari sei abituato a restare incolonnato, la pensilina dove aspetti il bus rientrare dal lavoro, il tuo supermercato preferito, eccetera. Qui il concetto è chiaro: gli altri motori questo non lo potrebbero fare, con l’elettrico le emissioni sono zero (o quasi). E poi, a proposito di sogni: vuoi mettere il farci tornare tutti bambini per un giorno, con quell’inusuale sibilo delle monoposto elettriche tanto simile alle dinamo ed alle macchinine telecomandate con cui giocavamo da piccoli? Geniali, punto. Ma c'è di più, molto di più.

Studiata nel minimi particolari anche la “confezione”, cucita su misura per non nascondere e anzi sensibilizzare sul problema del secolo: le batterie. In questo contesto va inquadrata la simpaticissima corsa dei piloti ai box a metà gara per cambiare le loro autovetture, perché scariche, e il livello di carica della batteria aggiornato in tempo reale nella grafica della classifica.

Ma soprattutto, pensateci bene: Formula E è una grande e intelligente operazione di lobbying. Non è un caso che in Italia si sia scelto di correre a Roma. Quella stessa Roma dove da tempo qualcuno sogna di far sfrecciare, proprio all’Eur, le monoposto di Formula 1. Quella stessa Roma dove una delle isole (quasi) felici tra le società a partecipazione pubblica è rappresentata proprio dall’Acea, la società elettrica capitolina. Quella stessa Roma sempre meno sede di grandi competizioni sportive internazionali. Quella stessa Roma delle targhe alterne, delle buche, eccetera. Quella stessa Roma che si parla tanto addosso, ma che alla fine decide. La Roma del Papa, che ha benedetto a San Pietro un’autovettura, e la Roma del potere politico, del Parlamento. E questi sono chiari segnali più che semplici coincidenze.

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Quanto vale davvero il passaggio all'elettrico

Nella partita della mobilità elettrica c’è uno switch di mercato, politico e ambientale epocale. Che non riguarda solo le case automobilistiche. Anche pensando solo all’Italia, qualcuno dovrà pur dare (vendere) energia al quasi milione e mezzo di vetture elettriche che potrebbero circolare in Italia non entro i prossimi dieci ma i prossimi sette anni. Lo ha capito, ad esempio, Enel, che non è più solo la società elettrica di bandiera ma una multinazionale, e che sull’electric mobility con le sue colonnine di ricarica Enel X sta scommettendo tantissimo divenendo, anche grazie alla commessa-scommessa di Formula E, una case study di successo a livello globale.

LEGGI ANCHE: Il motore elettrico è anche sulle velocissime auto da corsa. Quando tocca a noi?

In Europa lo hanno capito le tre grandi società automotive tedesche, Audi, Bmw e Mercedes-Benz, che se da un lato una FCA sempre più americana flirta con Google, dietro l’angolo ci sono la Tesla di Elon Musk, c’è Uber, c’è la digital economy, e quindi adesso tocca iniziare a fare squadra.

Intanto, restando sul pezzo, il team che ha vinto il #RomeEPrix è a marchio Virgin (ovvero Richard Branson, che quindi non investe solo in viaggi spaziali e treni proiettile) e DS Automobiles, quindi Citroën.

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E poi, tornando al tema uso contro possesso: non è un caso che oramai le stesse case automobilistiche incentivino formule come il noleggio o il car sharing. Quelle stesse case automobilistiche che, ad esempio sul car sharing, hanno smesso di fronteggiarsi. Un esempio su tutti: l’amore scoppiato recentemente tra Car2Go, ovvero Daimler, ovvero Mercedes, e il suo principale competitor-rivale, DriveNow, ovvero Bmw, che hanno scelto di fondersi. Uniti, per non farsi uccidere da Uber.

Anche perché infine, non dimentichiamolo, dentro la partita dell’elettrico c’è quella per le smart city. Colonnine di ricarica, Internet of Things, mobilità condivisa e interconnessa. È questa la partita del futuro di ogni grande città se vorrà restare davvero grande.

@aldopecora

In Europa lo hanno capito le tre grandi società automotive tedesche, Audi, Bmw e Mercedes-Benz, che se da un lato una FCA sempre più americana flirta con Google, dietro l’angolo ci sono la Tesla di Elon Musk, c’è Uber, c’è la digital economy, e quindi adesso tocca iniziare a fare squadra.

Scritto da

Aldo V. Pecora 

Giornalista

Aldo Vincenzo Pecora, è nato a Reggio Calabria nel 1986. È giornalista, scrittore, blogger e imprenditore nel settore della comunicazione. A Roma dal 2004, per Rai Educati… continua

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