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Claudio Marchiondelli 

Consulente

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Pubblicato il 12/04/2018

Nel momento stesso in cui ci connettiamo al web, riveliamo una grande quantità di informazioni su di noi: il contesto in cui siamo, gli strumenti che usiamo, solo per cominciare. Alcune informazioni le forniamo volontariamente, anche se spesso inconsapevolmente. Altre possono essere carpite senza che ce ne accorgiamo e senza il nostro consenso, neanche quello dato spesso superficialmente a certe app o siti: nella foga di fare un test o scaricare qualcosa accettiamo termini e condizioni d’uso senza nemmeno leggere la prima riga.

Cosa riveliamo, quindi, ogni volta che navighiamo?

sorveglianza globale

Il browser è il primo spione

Senza chiederci alcun permesso, il sito a cui ci colleghiamo può leggere alcune informazioni chiedendole direttamente al browser.

Spesso usati così come sono, senza studiare impostazioni e contromisure possibili, tutti i browser rivelano qualcosa di noi: l’indirizzo IP, il sistema operativo, la lingua usata, a quali siti abbiamo fatto l’accesso, la nostra ubicazione presunta.

Volete mettere alla prova il vostro browser e dispositivo?

Potete provare webkay  e anche Panopticlick per averne un assaggio.

Il primo strumento mostra le informazioni che rivelate e mostra alcune contromisure possibili.

Il secondo è un progetto della Electronic Frontier Foundation (EFF). Il nome fa riferimento al panopticon, il carcere con un unico sorvegliante che poteva osservare tutti, ideato dal filosofo Bentham a fine ‘700 e ripreso poi (sorpresa!) da Orwell.
Lo strumento ideato dalla EFF vi mostra quanto siete protetti dal tracciamento (tracking) e quanto sia unica la vostra impronta digitale (fingerprinting): per essere meno identificabili, meglio avere una impronta identica a quella di molti, moltissimi altri, in modo da confondersi con essi.

LEGGI ANCHE: Manipolare gusti e opinioni sui social, dopo lo scandalo Cambridge Analytica

Best-browser-extensions-to-protect-your-privacy

E poi ci sono i cookies

Un semplice e controverso file di testo che il sito visitato chiede al nostro browser di scrivere e mantenere nel nostro computer o nel dispositivo usato per navigare.

Benevolmente usati per riconoscere l’utente ad una successiva visita (e fargli trovare il sito secondo le sue preferenze, per esempio), possono essere usati anche per identificare l’utente e veicolare pubblicità mirata.

Non lo fanno solo Google e Facebook, ma moltissimi siti, compresi quelli degli editori che, dopo lo scandalo Cambridge Analytica, puntano il dito solo contro quei due.
Dal proprio browser è possibile gestirli e chiederne la cancellazione automatica dopo ogni visita, per esempio.

Sul sito Evidon  si può fare un opt-out globale da ben 781 network diversi che raccolgono dati attraverso cookies.

Visitando il sito di Ghostery potrete controllare come siate tracciati da un determinato sito e, se lo desiderate, scaricare l’estensione per il vostro browser che vi permette di controllare, prevenire e limitare il tracciamento.

serv2

La sorveglianza globale di Google e Facebook

Ai due giganti consegniamo una gran parte della nostra vita online. Ma anche di quella offline.

Basta avere in tasca o in borsa un dispositivo mobile con la cronologia delle posizioni attiva. Google registrerà accuratamente tutti i luoghi che abbiamo visitato, con tanto di data e ora. Volete controllare? Potete farlo da qui.

Naturalmente Google sa anche quali siti abbiamo visitato: guardate voi stessi seguendo il link.

Sia Google che Facebook, poi, conoscono bene le nostre preferenze in fatto di pubblicità.

Secondo il primo quelle che gradiamo sono queste, per il secondo invece sono queste altre.

Nel caso di Facebook, come potrete notare visitando la pagina al link, le informazioni usate per indirizzarvi della pubblicità si basano anche sulle informazioni del vostro profilo e sui mi piace ad altre interazioni, oltre che sulle preferenze impostate. Ma questo, ormai, non è un mistero, no?

LEGGI ANCHE: Terremoto Cambridge Analytica, Facebook perde miliardi in borsa. E Zuckerberg tace

Volete scoprire tutto, ma proprio tutto ciò che entrambi sanno di voi? Potete scaricare una copia di tutti i dati regalati negli anni o mesi in cui li avete utilizzati.
Nel caso di Google basta vistare la pagina google.com/takeout.
Su facebook potete fare la stessa cosa dalla pagina delle impostazioni generali del vostro account, cliccando sulla dicitura “scarica una copia”.

sorveglianza globale

Siate dunque molto prudenti con le credenziali di accesso ai vostri profili: chiunque se ne impossessi potrebbe, in un colpo solo, scaricare tutti i vostri dati.

Siamo davvero scemi digitali?

Sì, da un certo punto di vista lo siamo completamente. Abbiamo volontariamente ceduto i nostri dati a (più o meno) chiunque ne facesse richiesta. E lo abbiamo fatto consapevolmente, per avere un servizio a cambio di un piccolo prezzo: tanto non abbiamo nulla da nascondere, noi, vero?

Ma se è vero che siamo complici noi stessi di questa sorveglianza globale, è anche vero che in molti casi le impostazioni per limitare i dati che comunichiamo, se ci sono, sono nascoste, poco accessibili o poco chiare, specie per l’utente base.

Non siamo tutti tenuti ad essere degli specialisti di sicurezza, dopotutto.

LEGGI ANCHE: Perché Facebook non ruba i nostri dati ma siamo noi che siamo scemi digitali

Ancora peggio è che spesso tutte le impostazioni sono in origine (per default, direbbe uno specialista) attivate affinché i dati possano essere prelevati o comunicati.
Basti, come esempio, pensare che la schermata della impostazioni sulla privacy di Windows 10 ha ben 16 sottomenu tra cui scegliere e poi impostare.

Proteggersi totalmente contro ogni possibile e immaginabile attacco alla nostra privacy e ai nostri dati è impossibile. Ma proteggersi almeno da quelle minacce che riteniamo più concrete e probabili nel nostro specifico caso e contesto è fattibile. Un buon inizio è consultare alcune ottime guide, come quella della EFF, dal titolo Surveillance self defense.

Perché anche se non abbiamo nulla da nascondere, potrebbe essere necessario difendersi da chi ci attaccherebbe o perseguiterebbe volentieri solo per ciò che siamo: un giornalista di inchiesta, un attivista dei diritti umani (magari in paesi che non li rispettano più di tanto), un ambientalista in America Latina (solo in Brasile ne sono stati uccisi 46 nel 2017, su un totale di 197 nel mondo) o un attivista per i diritti LGBTQIA in estremo oriente, oppure… chissà. Fate voi. Ma sempre con prudenza e consapevolezza.

Proteggersi totalmente contro ogni possibile e immaginabile attacco alla nostra privacy e ai nostri dati è impossibile. Ma proteggersi almeno da quelle minacce che riteniamo più concrete e probabili nel nostro specifico caso e contesto è fattibile.

Scritto da

Claudio Marchiondelli 

Consulente

Sono un immigrato digitale e non: nato in Argentina, Italiano per cultura e sangue, mi occupo di informatica e digitale da sempre, con la stessa passione. Curioso, sempre in … continua

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