Amazon Prime non è a costo zero (infatti costerà il doppio)

Questa mattina quasi tutti ci siamo svegliati con un’email da parte del customer care di Amazon che ci spiegava che l’abbonamento Amazon Prime sarebbe passato da 19,99 a 36 euro. Ovvero un abbonamento che ci costa tre euro al mese per avere, in cambio, spedizioni gratuite in circa 48 ore, Amazon Prime Video con una raccolta di serie tv e film, tra cui alcune serie originali premiate e riconosciute a livello internazionale come Transparent e American Gods, Twitch Prime per lo streaming video in diretta e chatting e Prime Foto, uno spazio di archiviazione illimitato sicuro e protetto in Amazon Cloud.

Già provati dal nome di Leone dato al bambino di Ferragni e Fedez, gli internauti sono esplosi nell’hashtag #AmazonPrime lamentandosi dell’aumento di prezzo giudicato improvviso e immotivato.

I primi (turbolenti) mesi del 2018 per Amazon

Sembra essere iniziato un anno complesso per Amazon in Italia. é di marzo la notizia che vedeva i dipendenti Amazon dotati di una braccialetto elettronico che ne ottimizzasse le prestazioni e che li aiutasse a districarsi nella complessa struttura di smistamento merce. In quel frangente l’opinione pubblica si è detta indignata per quello che a loro avviso appariva uno strumento di controllo piuttosto che di efficenza.

Allo stesso modo era entrato nel dibattito il salario dei dipendenti, facendo notare ironicamente come il costo di abbonamento fosse troppo basso per ricevere, in cambio, spedizioni gratuite in 48 ore. Ovviamente non sappiamo se questo aumento di Prime si traduca in un aumento dei benefici per i lavoratori, ma sicuramente in un aumento dei benefici dei consumatori, che vedono il numero dei beni garantiti dalla spedizione Prime aumentare.


Del resto Amazon Prime è un servizio a pagamento ben lontano da essere un bene di consumo primario, ma – fortunatamente per Amazon – i consumatori è così che lo percepiscono. In questo modo Amazon si è configurato in poco tempo non come una multinazionale dell’eCommerce, ma come un bene di consumo essenziale per gli utenti benestanti.

Cosa ha sbagliato Amazon

Quello che però effettivamente è mancato, se proprio vogliamo trovare una colpa, è proprio la mancanza di comunicazione da parte di Amazon dell’aumento dell’abbonamento. Ai genii dell’eCommerce che ci hanno fatto innamorare dei loro servizi è mancata un po’ di strategia comunicativa proattiva che andasse subito a preparare il terreno in vista di possibili crisi di comunicazioni online. Le idee potevano essere molte, più creative o più istituzionali, per interagire meglio e prima con gli utenti raccontando perché Amazon Prime aumentava. Renderli partecipi di quello che è un servizio percepito come parte integrante della nostra quotidianità e non perdere una ghiotta occasione per fidelizzare maggiormente nuovi utenti e fare brand awareness.

Questa occasione è stata invece mancata e anche con grande rammarico, visto come la community iper-fidelizzata di Amazon Prime si sia invece mobilitata per difendere la multinazionale e giustificarne l’aumento di prezzo dell’abbonamento. Gli utenti si sono così mossi da soli, senza il loro brand-ispiratore, difendendolo certamente, ma non potendo da soli generare lo stesso effetto che avrebbe sortito una campagna che li coinvolgesse davvero.

Comunque vada, continueremo ad usarlo

Contro l’eCommerce si accaniscono in molti e sicuramente Amazon rappresenta il punto di riferimento del settore. Per questa ragione si guarda con tanta attenzione alle azioni del colosso che, secondo le profezie, metterà in fallimento i negozi fisici già in crisi, probabilmente, per l’incapacità di ripensarsi nell’era dell’iperconnessione.

Prime ha modificato quell’idea – prima che il consumo – che comprare online fosse una fregatura. Perché dietro Prime c’è una strategia di comunicazione (soprattutto online, ovviamente) che rassicura chi acquista garantendo la ricezione rapida della merce.

Ora la palla passa nuovamente ad Amazon e ci chiediamo quale sarà la prossima mossa comunicativa della multinazionale. Un’idea potrebbe essere comunicare come l’aumento del costo dell’abbonamento si ripercuote positivamente sulla condizione dei lavoratori: un buon modo per unire insieme customer care e HR.

Isabella Borrelli

Digital strategist, attivista per la parità di genere e LGBT+. Sono esperta a livello agonistico nel riempire i carrelli dello shopping online e nella gestione strategica della comunicazione digitale di istituzioni, organizzazioni e grandi aziende. Sono una social addicted allo stadio terminale convinta che Lorelai Gilmore sia una grande icona del femminismo moderno.

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