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La Customer Experience (CX) è una delle buzzword che ha caratterizzato il 2017 e il 2018 non sarà da meno.
Le esperienze rivestono ormai un’importanza a tratti maggiore rispetto all’offerta aziendale proposta. Anche per via della loro capacità non solo di attrarre le persone all’interno del mondo di marca, ma soprattutto proprio per l’abilità di trattenerle in esso. Ed è una certezza che la customer retention sia di gran lunga più conveniente rispetto alla customer acquisition.
L’attuale arena competitiva è guidata da organizzazioni e marchi che riescono a organizzare le esperienze migliori garantendosi la testa (e il cuore) delle persone, evitando così il circolo vizioso della guerra dei prezzi.
In sintesi, la competizione sul piano delle esperienze è sempre più accesa.
Per tutte le ragioni elencate finora, brand e organizzazioni devono passare da uno stato di product-mindset e dalla relativa visione prodotto/servizio-centrica (product space) a un nuovo experience space.
LEGGI ANCHE: Customer Experience Design: il libro per progettare esperienze di marca memorabili sui media digitali
Uno dei nuovi fronti dell’innovazione organizzativa consiste nell’espandere tali spazi esperienziali.
Come ogni parola chiave di business diffusa a macchia d'olio, il rischio che la stessa venga approcciata in modo scorretto è alto. Questo post si pone l'obiettivo di diventare una guida per chiunque abbia necessità di approcciarsi alla progettazione e gestione di CX di rottura.
Di esperienze, negli ultimi tempi, si fa un gran parlare. A volte, anche in modo esagerato ed eccessivo.
L’elenco potrebbe continuare all’infinito: ci sono anche i casi della catena di alberghi internazionale Radisson Blu, che propone ai propri ospiti l’organizzazione di experience meetings e di MSC Cruises, compagnia di crociera che ha lanciato insieme a Technogym una nuova wellness experience proprio “per rispondere alla crescente domanda di turismo wellness”.
Infine, le etichette di alcuni shampoo o di altri detergenti proposti sugli scaffali dei supermercati comunicano all’acquirente la presenza di seta o miele. Si tratta di caratteristiche spesso del tutto inutili dal punto di vista funzionale, ma che aggiungono valore da una prospettiva edonistica.
Cosa si intende davvero per Customer Experience?
La Customer Experience è l’insieme integrato e perfettamente coeso di tutte le esperienze che i clienti di un'azienda o una marca vivono nelle interazioni con queste, attraverso i punti di contatto (touch point) digitali e non solo.
Il focus di questo articolo, come già accennato, è sulla CX veicolata e gestita attraverso i media digitali. Per avere impatto, le Customer Experience più efficaci dovranno diventare sempre di più parte integrante della modalità con cui un business si definisce e compete, mentre l’esperienza dovrà consolidarsi in experience philosophy ed essere istituzionalizzata all’interno delle organizzazioni.
Dopo avere analizzato brevemente alcuni dettagli caratteristici dell’Economia dell’Esperienza, consideriamo i cambiamenti che il paradigma esperienziale ha portato all’interno delle aziende, incidendo su orientamenti strategici e definizione dei modelli di business.
A tal fine, introduciamo il concetto di platfirm, neologismo che nasce coerentemente con le più recenti evoluzioni sul tema e l’applicazione del platform thinking. A questo link trovi un paper che spiega il termine più in profondità.
Il termine “platfirm” si sviluppa dalla fusione tra “platform” e “firm” e indica la prospettiva che vede le organizzazioni non attraverso le classiche metafore della biologia (organismo) o della meccanica (meccanismo), ma con la metafora della “piattaforma”, concetto derivato dalle tecnologie digitali.
Il concetto di piattaforma è sempre più impiegato come lente per interpretare la disruption digitale. Così, anche il pensiero di management ha cominciato a guardare alle organizzazioni come piattaforme.
Le società digitali nascono come piattaforme (Facebook, Ebay, Google, Uber, Aibnb) ma anche Nike, ad esempio, si sta strutturando come rete di piattaforme di interazione per la co-creazione intensiva di valore, beneficiando di scalabilità rapida, dell’effetto di rete, dell’apertura agli attori e community dell’ecosistema (non solo consumatori, ma community di developer, acceleratori di soluzioni, etc.).
Anche i luoghi fisici (si pensi agli store di Apple), vengono pensati come piattaforme per il social learning, il coinvolgimento e le attività di supporto al cliente. In una prospettiva platform-oriented, il mantra dell’essere “customer-centric” risulta fuorviante. Le organizzazioni viste come piattaforme devono essere in grado di abilitare e mobilitare attori diversi (umani e non, individuali quanto collettivi) per ottenere benefici e vantaggi quali:
Uno degli aspetti più rilevanti è che la piattaforma abilita interazioni fra produttori e consumatori di valore esterni all’impresa – come i casi di Airbnb e Uber fanno facilmente comprendere. Ciò rappresenta una netta discontinuità rispetto ai modelli economici tradizionali, attivando percorsi non lineari di valorizzazione di cui possono beneficiare, in forme diverse, sia coloro che entrano nella piattaforma con fini co-produttivi, sia coloro che vi entrano per utilizzarne i servizi.
Le implicazioni strategiche e organizzative portate dalla trasformazione di molti business in platfirm è forte e dirompente. Il modello è utile per comprendere l’evoluzione aziendale anche dal punto di vista dell’Economia dell’Esperienza. Come citato da Brian Solis nella sua ultima opera "X, When Experience Meets Design": "Coca-Cola e Nike non stanno creando solo esperienze individuali: esse stanno generando spazi comuni dove consumatori e marche condividono esperienze dense di significato. Quando l’esperienza è al centro del modo in cui i prodotti sono fatti e venduti sul mercato, vengono stimolate le relazioni con i clienti e la fidelizzazione alla marca".
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Alla base di tali experience platfirm risiede infatti la piattaforma esperienziale, ben descritta nel libro classico di Mauro Ferraresi e Bernd Schmitt "Marketing Experienziale. Come Sviluppare l'Esperienza di Consumo" e il cui obiettivo è proprio quello di articolare al meglio il posizionamento di un’azienda, una marca e/o un prodotto.
Utilizzando gli stimoli provenienti dal mondo esperienziale delle persone e dalle attività di benchmarking esperienziale, essa si compone di tre principali componenti:
In quanto dimensione principale della platfirm, la piattaforma esperienziale diventa fondamento per il disegno dell’esperienza di marca complessiva e per le dinamiche di relazione e interfaccia con il cliente.
Ma qual è il ruolo delle esperienze per le platfirm?
Diverse analisi di marketing esperienziale e marketing tribale propongono una visione delle organizzazioni in quanto attori nell’Economia dell’Esperienza, non più solo come entità organizzatrici di esperienze, ma invece in quanto realtà proponenti artefatti e contesti che conducono alle esperienze, e che possono essere adeguatamente utilizzati dai consumatori per co-creare le proprie.
Il ruolo delle aziende e dei brand è diventato quello di fornire l’ambiente e il contesto adeguato a fare emergere la giusta esperienza, cioè quella desiderata dalle persone.
Alcune realtà possono addirittura essere definite come dei veri business experience-based: aziende del calibro di Apple, Siemens e Disney, che hanno fatto dell’esperienza una leva di forte differenziazione. Anche Vodafone, colosso internazionale delle telecomunicazioni, ha avviato da tempo un percorso che – pur rimanendo aderente alle idiosincrasie organizzative – presenta forti connotati di platfirm: dal ridisegno e trasformazione degli asset digitali in “luoghi” di incontro definiti dall’interazione tra specifiche categorie di utenti, alla capacità di fare vivere a utenti diversi esperienze totalmente personalizzate attraverso analitiche avanzate e sulla base di dati raccolti online e nel punto vendita.
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Compresa l'entità delle esperienze e il loro impatto nella (ri)progettazione dei business e delle strategie aziendali, vediamo 10 variabili che giudico strategiche per progettare e governare Customer Experience rilevanti.
Alcuni risultati ottenuti da uno studio del 2014 di Harvard Business Review Analytic Services in collaborazione con il SAS Institute su un campione di 403 executives dal titolo “Lessons From the Leading Edge of Customer Experience Management” sono indicativi.
Se infatti il 45% dei rispondenti vede la CX come una priorità strategica, la stessa percentuale (!) ha difficoltà a collegare gli investimenti sostenuti per disegnarla, implementarla e ottimizzarla con i ritorni su tale investimento in termini di business – principalmente a causa della difficile integrazione tra i sistemi aziendali, della complessità generata dall’omni-canalità e dalle strutture organizzative non sempre capaci di internalizzare e incanalare correttamente gli insight.
La variabile determinante, allora, non è tanto se progettare Customer Experience, ma invece come progettarle.
Uno degli aspetti più rilevanti è che la piattaforma abilita interazioni fra produttori e consumatori di valore esterni all’impresa – come i casi di Airbnb e Uber fanno facilmente comprendere.